Quam stultum est aetatem disponere ne crastini quidem dominum! o quanta dementia est spes longas inchoantium: emam, aedificabo, credam, exigam, honores geram, tum deinde lassam et plenam senectutem in otium referam. [5] Omnia, mihi crede, etiam felicibus dubia sunt; nihil sibi quisquam de futuro debet promittere; id quoque quod tenetur per manus exit et ipsam quam premimus horam casus incidit. Volvitur tempus rata quidem lege, sed per obscurum: quid autem ad me an naturae certum sit quod mihi incertumest? [6] Navigationes longas et pererratis litoribus alienis seros in patriam reditus proponimus, militiam et castrensium laborum tarda manipretia, procurationes officiorumque per officia processus, cum interim ad latus mors est, quae quoniam numquam cogitatur nisi aliena, subinde nobis ingeruntur mortalitatis exempla non diutius quam dum miramur haesura. [7] Quid autem stultius quam mirari id ullo die factum quod omni potest fieri? Stat quidem terminusnobis ubi illum inexorabilis fatorum necessitas fixit, sed nemo scit nostrumquam prope versetur a termino; sic itaque formemus animum tamquam ad extremaventum sit. Nihil differamus; cotidie cum vita paria faciamus. [8] Maximum vitae vitium est quod inperfecta semper est, quod [in] aliquid ex illa differtur. Qui cotidie vitae suae summam manum inposuit non indiget tempore;ex hac autem indigentia timor nascitur et cupiditas futuri exedens animum. Nihil est miserius dubitatione venientium quorsus evadant; quantum sit illud quod restat aut quale sollicita mens inexplicabili formidine agitatur. [9] Quo modo effugiemus hanc volutationem? Uno: si vita nostra non prominebit, si in se colligitur; ille enim ex futuro suspenditur cui inritum est praesens. Ubi vero quidquid mihi debui redditum est, ubi stabilita mens scit nihil interesse inter diem et saeculum, quidquid deinceps dierum rerumque venturum est ex alto prospicit et cum multo risu seriem temporum cogitat. Quid enim varietas mobilitasque casuum perturbabit, si certus sis adversus incerta? [10] Ideo propera, Lucili mi, vivere, et singulos dies singulas vitas puta. Qui hoc modo se aptavit, cui vita sua cotidie fuit tota, securus est: inspem viventibus proximum quodque tempus elabitur, subitque aviditas et miserrimus ac miserrima omnia efficiens metus mortis.
L.A.Seneca, Epistulae morales ad Lucilium, Liber XVII
L.A.Seneca, Epistulae morales ad Lucilium, Liber XVII
Lucio Anneo Seneca |
Come è insensato disporre della propria vita, se non siamo padroni neppure del domani! Come sono pazzi quelli che danno il via a progetti lontani nell’avvenire: comprerò, costruirò, darò denaro in prestito, ne riscuoterò, ricoprirò cariche, e alla fine passerò in ozio, stanco e soddisfatto, la vecchiaia. 5 Credimi: tutto è incerto, anche per gli uomini fortunati; nessuno deve ripromettersi niente per il futuro; anche quello che abbiamo fra le mani ci sfugge e il caso tronca l’ora stessa che stringiamo. Il tempo passa secondo una legge determinata, ma a noi sconosciuta: e che mi importa se per la natura è certo quello che per me è incerto? 6 Ci proponiamo lunghi viaggi per mare e un ritorno in patria lontano nel tempo, dopo aver vagato per lidi stranieri; imprese militari e tardive ricompense di fatiche guerresche, amministrazioni di province e avanzamenti di carriera, di carica in carica, mentre la morte ci sta accanto; e poiché non ci pensiamo mai, se non quando tocca agli altri, di tanto in tanto ci vengono messi davanti esempi della nostra mortalità, che, però, durano in noi solo quanto il nostro stupore. 7 Ma niente è più sciocco che stupirsi che accada un giorno quanto può accadere ogni giorno. Il termine della nostra vita sta dove l’ha fissato l’inesorabile ineluttabilità del destino; ma nessuno di noi sa quanto si trovi vicino alla fine; disponiamo, perciò la nostra anima come se fossimo arrivati al momento estremo. Non rinviamo niente; chiudiamo ogni giorno il bilancio con la vita. 8 Il difetto maggiore dell’esistenza è di essere sempre incompiuta e che sempre se ne rimanda una parte. Chi dà ogni giorno l’ultima mano alla sua vita, non ha bisogno di tempo; da questo bisogno nascono la paura e la brama del futuro che rode l’anima. Non c’è niente di più triste che chiedersi quale esito avranno gli eventi futuri; se uno si preoccupa di quanto gli resta da vivere o di come, è agitato da una paura inguaribile. 9 Come sfuggire a questa inquietudine? In un solo modo: la nostra vita non deve protendersi all’avvenire, deve raccogliersi in se stessa; chi non è in grado di vivere il presente, è in balia del futuro. Ma quando ho pagato il debito che avevo con me stesso, quando ho ben chiaro in testa che non c’è differenza tra un giorno e un secolo, posso guardare con distacco il susseguirsi dei giorni e degli eventi futuri e pensare sorridendo al succedersi degli anni. Se uno è saldo di fronte all’incerto, non può turbarlo la varietà e l’incostanza dei casi della vita. 10 Affrettati, perciò a vivere, Lucilio mio, e i singoli giorni siano per te una vita. Chi si forma così e ogni giorno vive compiutamente la sua vita, è tranquillo: se uno vive nella speranza, si sente sfuggire anche il tempo più vicino e subentra in lui l’avidità della vita e l’infelicissima paura della morte che rende altrettanto infelice ogni cosa.
Torniamo a studiare i classici: hanno già detto tutto in modo impareggiabile!