Come scrissi esattamente un anno fa, il tempo di mettere a frutto la lunga strategia preparatoria da parte degli “esportatori” di democrazia a suon di bombe sembra essere arrivato. E’ d’uopo ora assistere al solito balletto di dichiarazioni di principio del vicepresidente americano, piuttosto che del ministro degli estreri francese o quello inglese: tutta “brava” gente che s’affanna a spiegare al mondo intero come sia necessario non essere indulgente contro le solite “prove” non provate che l’Onu, prontamente ed immancabilmente, si sforza di trovare ora contro il regime di Bashar Hafiz al-Asad, così come ieri provava a giustificare l’attacco a Ṣaddām Ḥusayn. Immagini di morti, non si sa bene vittime di chi, quando decedute, messe in onda guarda caso proprio ora da media compiacenti sono il grilletto della solita pistola fumante. Anche fosse vero (fare vittime, per opera di qualunque mano questo avvenga, è un atto esecrabile a prescindere) che fossero state le truppe governative e non quelle dei ribelli, come da altre fonti si ipotizza, ad usare armi chimiche, ci sarebbe quantomeno da chiedersi come mai solo ora, alla fine dell’impegno statunitense in Afghanistan, ci si stia “finalmente” preoccupando di questo angolo di mondo. Senza parlare del vespaio politico che nel mondo musulmano una guerra dell’Occidente causerebbe, anche alla luce dello scontro tra Sciiti e Sunniti. E l’Italia? Il nostro ministro degli Esteri per il momento si limita a prospettare soluzioni “politiche”, ma vedrete che ben presto, quando il caldo vento delle bombe inizierà a soffiare con più forza, anche il Paese che preferisce gli F35 al benessere sociale troverà un suo posticino sul carro dei “giusti”.


Nemulisse

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