Possiamo leggere nella Treccani: “La pantomima, ossia una rappresentazione scenica muta, nacque in Grecia e si diffuse a Roma a partire dalla fine del 1° sec. a. C.; in seguito si conservò come genere nel medioevo, ed è restata in uso, specialmente in Francia e in Inghilterra, e viene tuttora praticata in varie forme”. Ebbene, quella a cui stiamo assistendo in questi giorni, principalmente in Italialand, ma anche altrove, è l’applicazione pedissequa di tale rappresentazione a dir poco teatrale.

Da noi si esplica in forma di crisi di Governo, fatta “scoppiare” da Renzi. Pantomima messa in atto quando al bulletto di Rignano sull’Arno è stato detto di farla scoppiare. Infatti né lui, né alcun altro dei nostri politicanti può far nulla che non si voglia altrove. E così è arrivato il nuovo “messìa”, il “salvatore” della Patria, il “santo”: super Mario Draghi, classe 1947 (così ricorda più quel che è, ossia una sorta di videogioco).

Breve cronistoria di un “salvatore” della Patria

Non tutti ricordano con esattezza chi in realtà costui sia, anche perché il tam tam quotidiano di tutti i media indistintamente ne tesse le lodi sperticate, senza un commento negativo. In pratica il quadretto da teatrino che ne viene fuori è una santificazione ante-dipartita all’altro mondo, comprensiva di ricordi di perfetti sconosciuti o di gente più o meno nota (intervistata da sosia di comici del passato) che, per un motivo o per l’altro, aveva anche solo toccato il mantello del “santo”.

Al di là della sua innegabile competenza (anche perché sennò non sarebbe stato fatto arrivare alle cariche più alte dove è stato, nel corso degli anni, dalle élite finanziare che comandano il mondo), quel che si omette di dire è l’aspetto totalmente negativo della figura dell’uomo e dell’abile esperto economico-finanziario. A parte ciò che ne pensava quel gran maneggione della politica italiana che era Francesco Cossiga (‘o picconatore), il buon Mario, salvatore della Patria, era criticato anche dal ministro Paolo Savona (massone come lui, ma di loggia avversa alla sua e di Visco, altro ex Governatore di Banca d’Italia). Ma in questo caso si potrebbe dire che fossero gente “di parte”. Allora conviene far parlare i fatti, o per meglio dire i “misfatti” compiuti dall’ex capo della Banca Centrale Europea.  Ci si dimentica infatti, come per magia, che super Mario, ex allievo di Federico Caffé (che si starà rigirando nella tomba), economista di stampo keinesiano, misteriosamente scomparso nel 1987, ben presto aveva per così dire “dirazzato” dalle dottrine del maestro. Il nostro santone, infatti, dopo aver frequentato il MIT di Boston (1971) rientra in Italia dove, dopo alcuni incarichi universitari, nel 1983 diventa consigliere di Giovanni Goria, ministro del Tesoro nel governo Craxi. L’anno dopo, il nostro eroe inizia la sua carriera per così dire “internazionale” diventando direttore esecutivo della Banca Mondiale a Washington, carica che ricoprirà fino al 1990, e presidente del Comitato economico e finanziario dell’Unione Europea. Nel 1991 viene nominato  Direttore Generale del ministero del Tesoro, ruolo che ricoprirà per 10 anni, fino al 2001. Ed è proprio durante questo lungo incarico (voluto da Guido Carli, sarà confermato da Ciampi, Amato, Berlusconi, Dini, Prodi e d’Alema. Insomma tutta bella gente…) che promosse le privatizzazioni selvaggie delle aziende pubbliche italiane. Sempre per conto del nostro Paese fu il capo negoziatore che accettò i vincoli di bilancio del Trattato di Maastricht.

La crociera sul “Britannia”

C’è da notare che nel giugno del 1992 il “nostro” partecipò alla famosa crociera sul panfilo “Britannia” di sua maestà regina del Regno Unito (al secolo l’immarcescibile Elisabetta II). Non era il solo italiano presente. Con lui c’erano infatti Carlo Azelio Ciampi e Beniamino Andreatta, in seguito protagonisti del famoso divorzio tra Banca d’Italia e il Tesoro, oltre ad i vertici di Eni, Iri, Comit ed Ina.

Si partì così nel luglio 1993 con la vendita, o svendita, della prima tranche del gruppo SME, controllato dall’Iri. L’onore di aprire la strada toccò ai surgelati e ai dolci: Motta, Alemagna, Surgela più varie e molte altre eventuali. Se li aggiudicò tutti la svizzera Nestlè. Ci fu poi una frenata con il governo Berlusconi del ’94 (fino al ’96), per poi riprendere la galoppata delle svendite con i governi Prodi e D’Alema. Il gruppo IRI fu smembrato e messo in vendita: il ricavo immediato fu di 30mld di lire, lievitati poi però sino a 56mila e passa. Una cordata capitanata dagli Agnelli si aggiudicò Telecom. Ciampi, allora ministro del Tesoro, spiegò che serviva ad impedire che la Fiat fosse venduta all’americana General Motors. D’Alema, arrivato al governo alla fine del 1998 patrocinò il cedimento di Autostrade a Benetton, introducendo una delle principali specificità delle privatizzazioni all’italiana: la vendita allo stesso soggetto sia del servizio che delle infrastrutture, le autostrade e i caselli, Telecom e i cavi sui quali viaggia il segnale. Successivamente furono privatizzate quote di Enel ed Eni, passando per il disastro di Alitalia. Da allora il debito pubblico, anziché essere risanato come dicevano di voler fare, triplicò. Si perse oltre un milione di posti di lavoro e ci fu un agglomerato di privati che formarono veri e propri monopoli di mercato, di fatto affossando la libera impresa.

Nel 1998 infatti il “santo” aveva firmato il testo unico sulla finanza – noto anche come “Legge Draghi” (Decreto Legge del 24 febbraio 1998 n. 58, entrato in vigore nel luglio 1998) – che introdusse la normativa per l’OPA (Offerta Pubblica di Acquisto) e la scalata delle società quotate in borsa. Telecom Italia sarà la prima società oggetto di OPA, da parte dell’Olivetti di Roberto Colaninno, a iniziare l’epoca delle grandi privatizzazioni. A questa seguiranno appunto la liquidazione dell’IRI e le privatizzazioni di ENI, ENEL, Credito Italiano e Banca Commerciale Italiana di cui ho parlato prima.

Dal 2002 al 2005 il “salvatore della Patria” diventa vicepresidente per l’Europa di Goldman Sachs, quarta banca d’affari al mondo. Alla fine del 2005 viene nominato Governatore della Banca d’Italia, il primo con un mandato a termine di sei anni, rinnovabile una sola volta. Nel 2012 (il 24 giugno) viene ufficialmente “incoronato” Presidente della Banca Centrale Europea (BCE), mentre ad ottobre dell’anno prima aveva preso il suo posto in Banca d’Italia Ignazio Visco (di cui ho parlato prima).

La pantomima con i “cattivi” tedeschi

Proprio nel 2012 farà il discorso nel quale pronuncerà la famosa frase: «But there is another message I want to tell you. Within our mandate, the ECB is ready to do whatever it takes to preserve the Euro. And believe me, it will be enough», ossia «Ho un messaggio chiaro da darvi: nell’ambito del nostro mandato la BCE è pronta a fare tutto il necessario a preservare l’Euro. E credetemi: sarà abbastanza». Fu così che introdusse il cosiddetto quantitative easing (che vide la luce a partire dal 2015), immettendo in pratica liquidità comprando i titoli di Stato, fra cui quelli italiani, sul mercato secondario (la BCE non può fare acquisti diretti su quello primario). Grande scandalo, soprattutto nelle parole dei tedeschi, in primis quelle del capo della Deutsche Bundesbank Jens Weidmann. A questo proposito non c’è che dire: un bel balletto di dichiarazioni fra i due, secondo il mio modesto parere, di assoluta facciata. In realtà ad entrambi quel che premeva (e che preme tutt’ora) era solo una cosa: salvare l’Euro, ossia il metodo di comando in Europa. Il primo in quanto facente il gioco di chi l’Euro l’ha creato a questo scopo (la Finanza internazionale -leggi anglo-americana-, ossia i veri padroni del mondo), il secondo perché cosciente del fatto che la Germania, messa a guardia del continente dagli stessi di cui sopra, ha avuto solo che da guadagnare dalla moneta unica. Ho infatti già scritto altrove (secondo questo studio qui di cui ho scritto in “Ri-pensare l’Europa” e qui) come risulti evidente da ricerche, compiute peraltro dagli stessi tedeschi, come a guadagnare dall’Euro siano stati proprio loro, e a perderci siano state soprattutto l’economia e le famiglie italiane.

Ebbene, una volta portato a termine il suo compito di salvaguardia dello scettro del comando (l’Euro) il “salvatore della Patria” si è messo “in panchina”, o meglio direi sulla riva del fiume, aspettando che i tempi fossero maturi per ritornare in scena come fosse il “messia”. Ora, dopo la parentesi di Giuseppi, messo lì anche lui per preparargli il terreno, il momento è arrivato. Oggi il Governo, che finirà ciò che ha già iniziato, poi la presidenza della Repubblica.

Quel che è certo è che allo strapotere delle élite si sono piegati tutti, ivi compresi quelli che nei finti partiti di opposizione (leggi Lega o Fratelli d’Italia) sembravano essere le sole luci di speranza di una tenue resistenza. Mi riferisco in particolare ad Alberto Bagnai e Claudio Borghi (che casualmente sono nella Lega, ma che avrebbero potuto rappresentare gli interessi del nostro povero, disastrato Paese, ovunque avessero militato). Entrambi hanno, a mio parere, dovuto cedere agli interessi di partito. Per non parlare della Meloni che è entrata direttamente nell’Aspen Institute, al cui interno ci sono nomi come Romano Prodi, Giuliano Amato, Paolo Mieli e Mario Monti. Amen.

La sconfitta (o sarebbe meglio dire il furto perpetrato ai suoi danni) di Trump ha determinato da noi un governo Draghi, che è la resa incondizionata di un Paese alle élite finanziarie che tale nazione hanno portato alla rovina totale. Una guerra vera e propria (come la finta pandemia in corso), che rappresenta una seconda e, temo, definitiva Caporetto.

 

Nemulisse

One thought on “La pantomima è servita

  1. La biografia di Draghi è nota e solo i creduloni possono pensare di vedere un soggetto imparziale. I cd governi tecnici sono la manna dei politici. Lo sanno bene. Sono i sicari che fanno il lavoro sporco. L'ipocrisia cattolica avvolge questo paese come una coltre di fumo indissolubile ormai da decadi. Nulla di nuovo sotto il sole. Siamo pronti a porgere l'altra guancia.

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