Cartina della Germania dopo le elezioni del 23 febbraio

Es war einmal “Deutschland, Deutschland über alles. Über alles in der Welt” (c’era una volta “La Germania, la Germania prima di tutto. Su tutto quello che c’è nel mondo”). Così inizia il “Canto dei tedeschi”, composto da August Heinrich Hoffmann von Fallersleben nel lontano 1841 durante la disputa dei territori del Reno con la Francia, inneggiando all’unità degli Stati della Germania divisa contro il nemico comune, sulle note di uno splendido quartetto d’archi del compositore austriaco Franz Joseph Haydn (per la precisione il secondo movimento del quartetto n° 3, opera 76). Il canto dei tedeschi fu in seguito utilizzato in varie occasioni militari-propagandistiche fino a che i nazisti lo fecero proprio, modificandone il senso ad intendere una superiorità tedesca nei confronti delle altre nazioni. Ma si sa, le interpretazioni spesso la fanno da padrone sulla realtà.

Ad ogni modo non c’è dubbio alcuno che la Germania abbia rivestito, nel bene e nel male, un ruolo cruciale almeno negli ultimi 150 anni in Europa e nel mondo intero. Sconfitta in due Guerre mondiali si è “rialzata” e si è posta a capo del Vecchio continente come leader indiscusso. Dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, però, ha rivestito un ruolo egemone prevalentemente in campo economico e non più militare. Questo per la precisa volontà dei nuovi “padroni del mondo” che da oltre oceano hanno colonizzato il territorio europeo, facendone ciò che loro più aggrada. È stata così messa “a capo” dell’Unione Europea, permettendogli di diventare la “locomotiva d’Europa” e facendone il Paese più ricco dell’intera Unione. Questo almeno fino a poco tempo fa.

Da quando il padrone ha deciso che l’Europa non fosse più così importante per la propria visione di dominio mondiale, e quindi fosse sacrificabile nel suo complesso, anche la prima della classe ha iniziato ad essere oggetto di bordate politiche ed economiche volte a distruggerne le capacità produttive in primis, e sociali in secondo luogo.

Non sto qui a dilungarmi circa i diversi episodi di “avvertimento” avvenuti negli ultimi anni in Germania e mandati dallo zio Sam. Basterebbero il “Dieselgate”, lo spionaggio del cellulare della Cancelliera Merkel ad opera dell’”alleato” americano, proprio mentre era in visita il premio Nobel per la pace Barack bombardatore Obama a Berlino, la misteriosa esplosione di un deposito d’armi avvenuta pochi anni fa alle porte di Berlino, gli attentati vari in tutta la Germania (inclusi i recenti prima delle elezioni) e, dulcis in fundo, il sabotaggio al gasdotto Nordstream che collegava la Russia alle coste tedesche, fornendo alla Germania energia a gogo a bassissimo costo. Il vero motore dell’industria tedesca.

Iconica l’immagine del Cancelliere Scholz, muto, mentre in conferenza stampa Joe sleepy Byden rispondeva ad una precisa domanda affermando che gli Stati Uniti avevano il modo di impedire che i russi continuassero a fornire gas alla Germania.

 

Un crollo economico senza freni

Decine e decine di aziende chiudono i battenti ogni giorno in Germania. Secondo uno studio del Centro Leibniz per la Ricerca Economica Europea (ZEW) di Mannheim, in collaborazione con Creditreform, ogni tre minuti chiude un’azienda in Germania. La situazione economica generale è peggiorata ovunque. Solo per fare un esempio, perfino quella che era considerata la “Mecca” degli artisti e liberi pensatori, la città di Berlino, ha visto il, fino a poco tempo fa, munifico Senato cittadino, stringere i cordoni della borsa in tutti i settori: da quello dei finanziamenti alla cultura a quello dell’assistenzialismo sociale, da quello dell’assistenza medica a quello dei trasporti. La sensazione in generale è che le Istituzioni siano alla ricerca disperata di soldi.

Secondo la società tedesca di consulenza Falkenstag il numero totale di fallimenti di grandi aziende nel 2024 ha raggiunto il livello record di 202, il più alto degli ultimi dieci anni. E questo senza contare i dazi che Trump vuole imporre all’Europa.

Ad aggravare la situazione determinata dal crollo industriale in tutti i settori (dall’automobilistico alla logistica, dall’industria pesante ai servizi) c’è stata la politica “senza se e senza ma”, voluta da tutti i partiti al Governo (ma in particolare dai Verdi) di sostegno militare ed economico all’Ucraina e ai profughi (sarebbero circa 1,3milioni secondo il Bamf, l’Ufficio per le migrazioni e i rifugiati, secondo altre fonti oltre 1,6milioni), cui vanno in media 1.250 euro mensili di sostegno economico, senza contare le famiglie con bambini che prendono 250 euro in più a figlio.

Insomma, come si sarebbe detto in altri tempi, “non ci sono più i tedeschi di una volta, signora mia!”.

A dire il vero è da un bel pezzo che non ci sono più. Noi siamo abituati a parlare di una sola Germania, dalla caduta del Muro (1989) in poi. Ma la realtà è veramente quella che ci è stata in più occasioni raccontata? Subito all’indomani della riunificazione tra l’allora Germania dell’Est (ex DDR) e quella dell’Ovest (ex BRD) si disse che quest’ultima, generosamente, si fosse fatta carico di assorbire economicamente, a fronte di enormi sacrifici, il praticamente fallito Stato della DDR. Ma le cose non stavano esattamente così, come ben ha spiegato Vladimiro Giacché nel suo Anschluss, l’annessione. Lo Stato tedesco dell’Est non era affatto uno Stato fallito, come fecero intendere l’allora Cancelliere Helmut Kohl e i suoi ministri. Anzi, tutt’altro. Quello che in verità accadde, come ebbe a dire pochi anni dopo il governatore della Bundesbank Karl Otto Pöhl, fu che la Germania dell’Est venne sottoposta ad una “cura da cavallo” cui nessun Paese sarebbe in grado di resistere. Adottando un tasso di cambio di 1 a 1 (contro quello che era allora in vigore tra le due Germanie di 1 a 4,44) volle dire che i cittadini tedeschi della ex DDR videro in una sola notte, quella tra il 30 giungo ed il 1° luglio del 1990 (quando entrò in vigore l’unità monetaria), un aumento del costo delle merci del 350 per cento.

Ad aggiungersi a questo disastro economico ci fu l’istituzione della “Treuhandanstalt”, ossia l’Istituto di amministrazione fiduciaria che operò dal 1990 al 1994 e che, dopo averne estromesso tutti gli esponenti dell’Est, venne tramutato in un ente dedito alla privatizzazione delle imprese della ex DDR. Aziende, industrie (ed i terreni su cui sorgevano) vennero ceduti a gente dell’Ovest (per circa l’87 per cento del totale, contro un 7 per cento ceduto in mani straniere) per cifre irrisorie, perfino per un solo Marco.

Il tasso di suicidi nei territori della ex Germania dell’Est aumentò esponenzialmente e il flusso migratorio avvenuto nei primi anni dall’Est all’Ovest fu di più di 4milioni di cittadini, su un totale di circa 16. Un vero e proprio esodo. Tutt’ora, dopo più di 35 anni dalla “riunificazione”, molte delle cittadine della ex DDR si presentano al visitatore come “stranamente” vuote.

Nella moderna Germania del 21esimo secolo i livelli retributivi e pensionistici, a parità di funzione lavorativa, tra un ex cittadino dell’Est ed uno dell’Ovest sono impari. Nel 2023, secondo il portale di ricerca del lavoro Stepstone, la forchetta massima tra tali retribuzioni arrivava ad oltre il 26 per cento.

 

AfD, ossia il Sol dell’avvenire

Perché tutta questa mia disamina economico-storica della Germania? Semplice, perché il risultato delle recenti elezioni politiche (23 febbraio scorso) che ha visto un’annunciata ascesa del partito AfD (Alternative für Deutschland) fino al 20,80 per cento delle preferenze dell’elettorato tedesco (secondo partito dopo l’Unione CDU/CSU), non deve in realtà stupire più di tanto. Se si vede la cartina della Germania dopo le elezioni, sembra di vedere con chiarezza i vecchi confini della nazione, quando le Germanie erano due.

Il celeste di AfD domina tutti i territori della ex DDR. E questo non significa che è tornato il Muro, come molti commentatori hanno scritto e detto. Il Muro, in realtà, per le ragioni che ho elencato sopra, non è mai crollato.

Fino ad alcuni anni fa, questi cittadini di “classe B” vedevano nel partito della Linke, la “sinistra”, il naturale sbocco politico che cercava di tutelare i loro interessi a livello nazionale e locale. Ma la Linke, a parer mio, non ricopre più un ruolo “di sinistra” da molto tempo oramai. Anzi, si è allineata a tutti gli altri partiti (che potrei definire come un “partito unico” da un punto di vista ideologico), eccezion fatta per la “transfuga” (secondo il suo ex partito) Sahra Wagenknecht che ha fondato un suo partito “BSW”, ossia Bündniss Sahra Wagenknecht (unione S. W.). In realtà quest’ultima è la sola figura politica di rilievo rimasta nel desolante panorama politico tedesco, ed è la sola rimasta a difendere quelli che una volta si sarebbero definiti i valori della “sinistra”, ossia la difesa dei più deboli. Siccome le sue idee includono, oltre ad una giustizia sociale, il ritorno a rapporti economici e politici normali con la Russia di Putin e l’immediata fine della guerra in Ucraina, oltre alla fine di un’immigrazione incontrollata, è stata boicottata durante tutta la campagna elettorale. E, dulcis in fundo, ha ottenuto (ma guarda tu un po’ il caso) solo il 4,97 per cento delle preferenze a livello nazionale, non entrando così per un soffio (la soglia minima è il 5 per cento) in Parlamento. I mancanti 13.400 voti hanno fatto sì che il numero di parlamentari che le sarebbero spettati (33) se li siano potuti dividere l’Unione e la SPD, cosa questa che gli consente di raggiungere la maggioranza necessaria a governare. Altrimenti le cose si sarebbero complicate ulteriormente per la formazione del futuro Governo tedesco. Tralascio le polemiche sulle schede aperte e sostituite (girano video in Rete al riguardo), ma il fatto che ben 230.000 tedeschi residenti all’estero (nei quali potrebbero rientrare i 13.400 di cui sopra) non abbiano ricevuto in tempo la scheda elettorale (per la cui spedizione c’era stato tutto il tempo necessario) per poter esprimere il proprio voto, potrebbe far sì che BSW faccia ricorso legale. Purtroppo gli avvocati stanno ancora considerando l’ipotesi, perché in Germania è molto difficile che venga accolto.

 

Parola d’ordine? “Normalizzazione”

Un ultimo pensiero che voglio esprimere è proprio su AfD, il partito inizialmente fondato nel 2013 in Assia, precisamente ad Oberursel im Taunus, da un gruppo di persone che voleva l’uscita della Germania dall’Euro, ivi compresi alcuni professori universitari. I primi portavoce federali dell’epoca furono Bernd Lucke, Frauke Petry e Konrad Adam. Nell’autunno del 2013 il partito non riuscì a entrare nel Bundestag con il 4,7 per cento dei voti. Negli anni successivi l’AfD è entrata nel Parlamento europeo, in tutti i parlamenti dei Länder tedeschi e, nel 2017, nel Bundestag. Pian piano si è allontanata sempre di più dai suoi temi centrali originali. Dei 18 membri fondatori, solo pochi rimangono nel partito, tra cui il presidente onorario Alexander Gauland.

Gli attuali presidenti del partito sono Tino Chrupalla e Alice Weidel. All’interno del partito, essi assumono il nome di “portavoce federali”. Chrupalla ha condiviso la carica con Jörg Meuthen fino al gennaio 2022. Tuttavia, quest’ultimo ha lasciato il partito perché, a suo avviso, si era spostato molto a destra e non si reggeva più sulle fondamenta del libero ordine democratico. Stephan Brandner, Peter Boehringer e Kay Gottschalk sono i deputati del consiglio di amministrazione.

Molto discussi sono personaggi come il Presidente del Land della Turingia, Björn Höcke, il quale effettivamente si caratterizza per, diciamo così, un linguaggio ed un’esternazione di idee che se non sono naziste poco ci manca. E così anche altri membri del partito, tanto che quest’ultimo tutt’ora è sotto la costante lente d’ingrandimento dei servizi segreti interni tedeschi e nel 2014 fu avanzata in Parlamento la richiesta di estromissione di AfD dallo stesso.

Al di là di tali considerazioni quello che mi è parso sempre più evidente negli ultimi due anni è stato un progressivo spostarsi della dirigenza del partito verso posizioni “istituzionali”, pur mantenendo alcune caratteristiche e tematiche tanto care alla base dello stesso. Da ultimo, durante la campagna elettorale delle elezioni tenutesi il 23 di febbraio, più volte il partito ha ricevuto il plauso e l’appoggio (solo morale? O forse qualcosa di più?) da parte di quel personaggetto di Elon Musk. Secondo me non a caso, anzi. Ma questo non per le ragioni che molti commentatori tedeschi e di mezzo mondo hanno ipotizzato, facendo riferimento ad un’ingerenza diretta nella politica tedesca i primi, e adducendo argomentazioni relative al nazismo (per il famoso braccio alzato di Musk durante un suo recente discorso davanti alla platea repubblicana che aveva da poco rieletto il trumpone) i secondi.

Ebbene, secondo me, in realtà c’è un tentativo, forse messo in atto da infiltrati dei servizi stessi, di “normalizzare” il partito, per farvi convogliare un domani la protesta della massa, sia essa di derivazione estremista che non. Per capirci meglio è in atto un processo analogo a quello che è stato applicato al Movimento 5 stalle, ehm, pardon, 5 stelle in Italialand (avviso ai naviganti: io, illudendomi che fossero una reale possibilità di rottura con i vecchi partiti, nel 2014 li votai. Ahimé). Di qui la scelta di un’esponente quale segretario di partito e candidata alla Cancelleria come Alice Weidel, omosessuale, sposata con una produttrice cinematografica di origini srilankesi, Sarah Bossard, con la quale cresce due figli, avuti da due padri diversi.

Quanto di più “diverso” dalle idee della base estremista del partito e, nello stesso tempo, quanto di più “inclusivo”, proprio come piace oggigiorno al “sistema”. In pratica la figura perfetta per “traghettare” un partito, altrimenti visto come estremista di destra, verso un partito catalizzatore del malcontento popolare senza “colore”. Già, perché anche la ricca Germania dell’Ovest, visto quello che si è deciso che dovrà accadere al Vecchio continente (di cui la Germania rappresenta la punta di diamante), inizia a soffrire per la crisi. Crisi che, per inciso, è stata attuata direttamente o indirettamente (lasciando che gli avvenimenti “scorressero” senza porre resistenza, come nel caso del Nordstream), dalla classe politica ed economica tedesca stessa. Poi i servizi, tramite gli attentati e alle infiltrazioni, hanno fatto il resto. E così anche qualche Wessi (come vengono chiamati dai tedeschi dell’Est quelli dell’Ovest) ha iniziato a dare la propria preferenza agli “azzurri”.

Dunque l’AfD come partito conforme al sistema e non anti-sistema di stampo nazista. Ma alla vulgata comune lo specchietto per le allodole del nazismo (che certamente, lo ripeto, in una certa parte del partito è presente) fa comodo e devia il percorso che per questo partito è stato previsto.

Solo il tempo potrà dirci se mi sono sbagliato o se, come temo, il progetto di “normalizzazione” in funzione del governo unico mondiale stia procedendo a gonfie vele.

Lo vedremo presto: il 2030 è dietro l’angolo!

Nemulisse

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