E siamo arrivati a Natale; anche quest’anno ce l’abbiamo fatta! Soprattutto di questi tempi è un gran successo, ovunque si viva. Diciamo che ci sono posti al mondo dove la percezione della festa non c’è mai stata, se non per l’onda lunga dei paesi “occidentali”, vedi l’Africa od il Medioriente. Da noi, gente civile (s’è colta l’ironia?), le feste che iniziano prima dell’anno e finiscono con il giorno della Epifania (celebrata nel mondo cattolico) sono in pieno svolgimento.
Questo è il primo anno che vivo questo periodo fuori dal Belpaese. Dall’estero si notano le differenze, i pregi ed i difetti di come la società italiana viva queste feste. Io non sono religioso, tuttavia non posso non notare come negli ultimi anni quella che un tempo era una festività prettamente legata al mondo religioso si sia oramai trasformata in un rito di carattere prettamente consumistico, di pessima qualità per giunta. Quando ero piccolo si sentiva nelle strade l’atmosfera differente da tutto il resto dell’anno. L’attesa per un evento che non aveva uguali e che s’era atteso per 12 mesi. Oggi mi sembra sia diventato più che altro un rito, ovvero quello dei regali. Più un’abitudine che un piacere, che con l’arrivo della crisi è diventata quasi un incubo per molti: la si vive come un obbligo morale impellente a cui dover dare seguito, spendendo il meno possibile. Non si regala più, insomma, per il gusto di farlo. Quando ero piccolo il regalino fatto ai nonni piuttosto che ai genitori era del tutto simbolico, ma sentito dall’animo di un bambino. Era la cosa più importante dell’anno, per la quale ci si era preparati in un così lungo periodo. Penso che anche gli adulti sentissero sinceramente un’atmosfera di “famiglia” che si è andata a perdere nel corso del tempo. Sarà forse perché sono sempre più rare le grandi famiglie, quelle che almeno in queste occasioni si riunivano attorno ad un tavolo per condividere, nel bene e nel male, un senso di appartenenza comune. Non perché non ci fossero differenze, ma il senso di un qualcosa che univa era presente comunque.
Oggi c’è molto solipsismo: sarà il consumismo, sarà che oramai è difficile trovare quel collante che era rappresentato dai nonni e dagli zii, quelli che erano sopravvissuti al tempo della guerra, quelli che sapevano che le radici comuni avevano una loro importanza e sapevano riunire tutti, almeno per quei giorni di festa. Oggi di famiglie così ce ne sono sempre meno; almeno io ne conosco poche. I nonni e gli zii di quell’epoca non ci sono più, sono andati a riposarsi dopo le tante fatiche della vita. Hanno dato, ciascuno a suo modo, il proprio contributo a questo senso d’appartenenza. I figli, oramai grandi, o li hanno seguiti o non hanno per lo più il medesimo carisma. I nipoti poi, fra i quali ci sono anch’io, sono presi da problemi personali e sociali che, spesso, li vedono distratti da una vita che li ha travolti. Non hanno più quel sentimento d’appartenenza che li vedeva “felici”, in modo inconscio, quand’erano piccoli. I bisnipoti, le nuove generazioni, vivono giustamente un mondo radicalmente cambiato rispetto a quello dei loro bisnonni e dei loro nonni. Molti sono stati costretti ad emigrare, molti preferiscono “il gruppo” degli amici alla famiglia. E’ giusto che sia così.
Sì, tornerò a “casa” questo Natale, ma so che sarà solo un viaggio come tanti, perché già so che non avrò quel senso d’appartenenza di quand’ero piccolo e questo, in fondo all’anima, mi rende un po’ più triste!