Voglio spezzare una lancia a favore delle giovani generazioni. In particolare mi riferisco non tanto a quella dei ventenni o più giovani ancora, quanto a quella dei trenta-quarantenni, i cosiddetti Millennial. Questo, premetto, è inusuale da parte mia, perché ritengo che sia una generazione impreparata, spesso non colta pur volendolo apparire, e molto supponente. Inoltre, a rincarare la dose di critica, c’è il fatto che gran parte di coloro che ne fanno parte oggi costituisce la nostra “classe dirigente”, a tutti i livelli e in tutti i campi.
Detto ciò spiego il perché di questo mio, apparente, cambio di pensiero.
In realtà queste generazioni sono quelle dei nati a cavallo della caduta del Muro di Berlino, che sono cresciute con il mito dell’Europa unita, della “pace perpetua” (come avevamo creduto anche noi), ma che a differenza di quanti nati prima di quel periodo sono stati educati in scuole e Università appositamente per loro preparate, con un sistema educativo nuovo che è andato avanti di pari passo con quello del pensiero economico neo-liberista. Ed è proprio quest’ultimo, il neo-liberismo, che ha messo su una gigantesca opera di mistificazione del reale, ad uso e consumo delle nuove generazioni, utilizzando ingenti mezzi e destrutturando sistematicamente la realtà preesistente, riuscendo perfino a renderla estranea a quanti avevano contribuito negli anni a produrla o, almeno, a viverla.
Ma andiamo con ordine per capire come ciò sia avvenuto nel corso del tempo.
La Scuola
Tale opera di destrutturazione è partita dal sistema educativo, la Scuola pubblica, che è stato sistematicamente distrutto tanto nei mezzi che nelle metodologie d’insegnamento. Si è costantemente fatta una campagna tendente a denigrare il ruolo del pubblico (come per il resto delle attività dello Stato), facendo passare attraverso i media compiacenti o semplicemente superficiali, il messaggio che il privato era migliore, più efficiente e più “al passo con i tempi”. Questo è avvenuto tanto nell’ambito della Scuola che dell’Università. Quest’ultima vide un flebile movimento di protesta denominato la “Pantera” (poi conclusosi come al solito all'”italiana”, ovvero con un nulla di fatto) contro le riforme che l’allora ministro Antonio Ruberti voleva introdurre (dicembre 1989). Tali riforme, fra le altre cose, prevedevano il finanziamento privato delle ricerche e l’ingresso delle aziende nei consigli di amministrazione degli Atenei. In pratica l’inizio della privatizzazione delle Università. Fatta eccezione per alcuni emendamenti alla legge concessi da Ruberti, la privatizzazione iniziò. Lo stesso processo lo subirono le scuole. Soprattutto con la riforma voluta dal ministro Luigi Berlinguer (1996-98) che ha ridotto, con le successive modifiche degli altri Governi, la Scuola ad una succursale delle aziende. Il processo di “aziendalizzazione” è ben stato spiegato da Pietro Ratto, in particolare in questa intervista. Contemporaneamente è stata messa mano ai programmi scolastici, provando a più riprese ad eliminare lo studio del Latino, del Greco e della Filosofia, per fortuna non riuscendoci. Ovviamente non è un caso che si sia tentato ripetutamente di fare ciò, perché sono materie che fanno pensare e problematizzare l’esistente, cosa che il Nuovo Ordine Mondiale non vuole per ovvie ragioni. Invece tagli notevoli sono stati fatti allo studio della Storia, perché bisogna “dimenticare” il passato, per vivere in un eterno presente, senza memoria (se non per “fascismi” e “ismi” vari inventati di sana pianta, perché utili a stigmatizzare chi non pensa come il mainstream vuole).
Sono stati man mano cambiati i piani scolastici e le scuole assieme alle Università, come dicevamo, sono state sempre più trasformate in aziende che devono far quadrare il bilancio. I presidi sono diventati dei ragionieri e i finanziamenti dello Stato variano a seconda del numero di alunni che frequentano gli istituti. Per questa ragione ha preso piede via via l’andazzo a non bocciare più così spesso nelle scuole, per evitare la probabile emorragia di alunni. Si è perfino arrivati a vedere veri e propri episodi di bullismo e di vessazione nei confronti degli insegnanti, tanto da parte degli alunni che dei loro genitori. La scuola, una volta luogo di formazione (pur se criticabile per diversi aspetti) è stata costantemente svilita di contenuti e di autorità educativa, pur scaricandole addosso ogni genere di colpa circa il comportamento degli alunni che la frequentano. L’Università, dove i privati sono entrati a man bassa, non è da meno. La ricerca è mortificata e si sono istituite facoltà a numero chiuso là dove una volta era possibile accedervi liberamente. Si sono semplificati i programmi, un po’ perché devono passare solo i messaggi educativi voluti (ci sono libri di testo estremamente validi che sono stati sostituiti volutamente con altri, scritti ex novo), un po’ perché i “nuovi” alunni spesso non sono in grado di comprendere i testi che una volta venivano usati per i programmi proposti dai docenti della “vecchia guardia”. Ne ho avuta esperienza diretta di ciò già alla fine del corso dei miei studi universitari. Gli atenei, man mano che andavano in pensione i cosidetti “baroni”, che saranno pur stati tali, ma molto spesso erano comunque docenti di spessore e qualità, hanno rimpiazzato la classe docente con i portaborse di questi ultimi, o con gente “nuova” formatasi nel solco della nuova ideologia imperante. Ovviamente non è un discorso che si può generalizzare al cento per cento, ma in buona parte è senz’altro corretto.
Molto in sintesi è questa l’educazione scolastica avuta dai “giovani”, ossia coloro che sono cresciuti con l’idea che l’Europa fosse un’opportunità (come se prima non ci fosse stata) di viaggiare e formarsi con gli appositi programmi come l’Erasmus, quest’ultimo vero totem intoccabile per molti di costoro. Ho personalmente conosciuto una donna (di poco più di trent’anni) che ha chiamato il figlio Erasmus (sic.) e che la figlia che portava in grembo voleva (almeno così mi disse) chiamarla Europa. La ragione era che si era conosciuta con il marito proprio grazie a questo bellissimo programma di interscambio universitario. Mi sembra una ragione più che valida per rovinare la vita a due bambini. Un po’ come chi in passato chiamava i propri figli “Palmiro”, “Bettino” o “Benito”.
Europa Europa, tutti verso il Sol dell’avvenire
I “diversamente giovani”, come il sottoscritto, si ricorderanno quasi certamente un bel programma televisivo di Rai Uno, ideato da Michele Guardì, Giorgio Calabrese e Mario Di Tondo e condotto dal duo Frizzi-Gardini, che si chiamava “Europa Europa” (1988-1990, guarda caso). A chi non piaceva l’idea dell’unione, almeno spirituale e culturale dei popoli europei? Certamente a me piaceva, e come a me piaceva a tantissimi altri della mia generazione e anche di quelle precedenti. Peccato però che di illusione si trattava e non ce ne rendevamo conto. Anche con trasmissioni come quella di cui ho appena parlato si instillava pian piano l’idea nella massa che l’Europa era la terra promessa. Nessuno di noi, o almeno la maggior parte di noi, immaginava che in realtà era una pietanza avvelenata accuratamente preparata, e che prevedeva una portata unica: quella economica attraverso cui governare i popoli. Cuoco prescelto? La Germania, of course.
Diritti civili in cambio di quelli sociali
Il mainstream, televisivo, di giornali e in Internet ha per anni martellato l’opinione pubblica con messaggi tendenti da un lato a sdoganare alcune categorie di persone quali gli omosessuali, la comunità lgtb e quanti erano stati ingiustamente mortificati ed emarginati dalla società, dall’altro ha fortemente caldeggiato la progressiva concessione di diritti civili, nella stragrande maggioranza dei casi sacrosanta, a favore di tali categorie. Ma si è ben guardato dal mettere in evidenza il fatto che tutto questo è stato ottenuto in cambio dei cosiddetti diritti sociali, conquistati con anni e anni di dure battaglie e duri confronti delle generazioni precedenti. In pratica da un lato è stato fatto passare il messaggio che togliere, ad esempio, l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori fosse un qualcosa di ineluttabile, per via dei tempi contemporanei in cui l’evoluzione dell’economia imponeva un mercato del lavoro “snello” e “mobile”, ma dall’altro si è concesso, sempre ad esempio, il diritto per le coppie omosessuali di contrarre regolare matrimonio. Come se quest’ultimo sacrossanto diritto civile fosse in qualche modo compensativo del furto fatto sul piano sociale. Tutto ciò è stato sapientemente orchestrato, complice una classe politica nel migliore dei casi inetta, nel peggiore collusa.
Ebbene si sono movimentate le masse giovanili per dare supporto a questa voce, sapientemente mobilitate tramite le piattaforme su Internet, con manifestazioni di solidarietà e supporto a queste cause, così come era accaduto in ambito internazionale per le manifestazioni organizzate a favore della “primavera araba” o della “rivoluzione arancione”. Peccato che i giovani non abbiano fatto altrettanto a favore del mantenimento dei diritti sociali che sono stati loro sottratti costantemente nel corso degli ultimi anni, facendo della loro stessa generazione una massa di persone senza lavoro e precaria a vita.
Greta, i “gretini”, senza dimenticare… le “Sardine”
Una generazione fragile e (quindi) volubile e facilmente manipolabile. Questo è il risultato del lavoro fatto costantemente da molteplici organizzazioni internazionali sui più giovani, facendo pressione martellante sulle loro coscienze attraverso i social media, ampiamente utilizzati ormai da tutti noi. Sono nati movimenti in favore dell’ambiente, come quello della diciassettenne svedese Greta Thunberg, ragazzina arrivata improvvisamente alla ribalta internazionale proprio grazie al grande battage pubblicitario fatto, dai media di tutto il mondo, alle sue proteste in favore del clima messe in atto, inizialmente, davanti al Riksdag di Stoccolma. Da metà agosto 2018 iniziò a fare uno sciopero scolastico fino alle elezioni svedesi di settembre, oltre le quali divenne un appuntamento fisso ogni venerdì, lanciando così il movimento Fridays for future cui iniziarono ad aderire soprattutto grandi masse di giovani. Quest’ultimi sono senz’altro stati mossi da buone intenzioni (chi potrebbe dire che la tutela del clima non sia importante?), ma il “fenomeno Greta” era veramente stato solo l’impegno di una ragazzina sconosciuta che, improvvisamente, è diventata una vera e propria star ricevuta in pompa magna da capi di Stato e autorità religiose? Solo un ingenuo potrebbe pensarlo o le menti più manipolabili. Che dietro un fenomeno così ci sia stata la grande industria internazionale produttrice di tecnologie “green” è abbastanza intuitivo, anche se non provabile direttamente. Adesso, buona grazia dell’arresto forzato in tutto il mondo di attività produttive e dei mezzi di locomozione, vedrete che per il conseguente calo delle particelle inquinanti nell’aria si dirà che “Greta aveva ragione”. Si dirà che occorre convertire tutte le tecnologie produttive al “green”, senza dire, però, che molto spesso quest’ultime inquinano l’ambiente più di quelle tradizionali, come nel caso dell’energia necessaria e del problema delle scorie derivanti dal processo di smaltimento delle batterie elettriche per auto. Comunque sia, sull’onda emotiva del messaggio della giovane svedese, grande rilancio hanno avuto quei partiti politici che si rifanno all’idea di una società compatibile con l’ambiente. I Verdi, in particolare in Germania, ne sono un esempio lampante. Alle elezioni federali del 2017, infatti, avevano raggiunto appena l’8,9 per cento dei consensi elettorali. Solo due anni dopo, alle elezioni europee, sono balzati al 20,5 per cento, scalzando alla grande la seconda posizione della più antica socialdemocrazia al mondo, quella rappresentata dalla SPD (crollata al 15,8 per cento), prendendone di fatto il posto nelle preferenze dei tedeschi in un’ipotetica nuova coalizione governativa. Ed indovinate un po’ chi ha votato in maggioranza il partito green per eccellenza? Bien sûr, i giovani nella fascia d’età compresa fra i 25 e i 40 anni. Was für eine große Überraschung! direbbero da queste parti (ossia una vera sorpresona).
Berlin, du bist so wunderbar
Una particolare attenzione riguardo al fenomeno giovanile tedesco andrebbe riservata alla città di Berlino, vero e proprio esperimento sociale a tal riguardo (tanto quanto, sempre a mio parere, l’Italia lo è di fenomeni di massa derivanti da fattori emozionali, molto istintivi e per niente razionali). La Capitale tedesca è infatti un catalizzatore (non a caso) dei giovani provenienti da tutto il mondo. A dire il vero lo è da lungo tempo e per due ragioni storiche ben precise. La prima è che Berlino è sempre stata considerata una città “libertina” e dai costumi liberi. E questo addirittura dalla fine del 19° secolo. La seconda è che il Muro creò nella parte occidentale un micro-cosmo del tutto particolare, visto l’isolamento all’interno della ex DDR, che faceva sì che solo i giovani e i fuggiaschi volessero vivere nella enclave. Questo in cambio di notevoli vantaggi economici e di un ampio margine di libertà dovuto alla implicita complicità dei governi della BRD (Bundesrepublik Deutschland), che avevano il problema non secondario di mantenere “viva” una città in cui nessun tedesco voleva recarsi. Pertanto si chiudeva un occhio, o anche tutti e due, di fronte ad evidenti “anomalie” nel quadro delle regole statali, oltre a foraggiare con un autentico fiume di denaro e di droga Berlino Ovest proprio per questo scopo “sociale”. Insomma libertà a gogo, in tutti i sensi, che attirava gli “spiriti liberi” da tutte le parti del mondo. Tutto ciò creò il “mito” di Berlino che i media compiacenti contribuirono ad amplificare anche dopo la caduta del Muro, quando le cose iniziarono in realtà a cambiare, e non poco (tranne per la droga). Ma tanto basta. Berlino nell’immaginario collettivo è rimasta la città del “possibile”, dove tutto è concesso e la trasgressione è all’ordine del giorno. Il che sicuramente, almeno in parte, è ancora vero. Quello che non è più vero è il fatto che sia proprio il paese di Bengodi. Anzi… Tuttavia, per le ragioni dette sopra, rimane un elemento di attrazione irresistibile per i giovani, che ne vengono attratti come fa il miele con le api, scambiando il multiculturalismo (multi-kulti) con l’egualitarismo. Non è vero che siamo tutti uguali, semmai abbiamo i medesimi diritti, in uno Stato di diritto, ma ciascuno con le proprie caratteristiche e capacità che ci rendono individui unici ed irripetibili. Per questi giovani la società aperta di popperiana memoria è un altro totem, non capendo che il cosmopolitismo è ben altra cosa rispetto all’omologazione, e che le differenze vanno semmai preservate e non annullate in nome di un’accoglienza pelosa, come si sarebbe detto in altri tempi.
Se si osservano le statistiche ufficiali la più alta percentuale di abitanti berlinesi è proprio quella della generazione compresa fra i 25 e i 45 anni, ossia proprio i “Millennial” di cui si parlava all’inizio di questo lungo articolo. Quale migliore campo di sperimentazione sociale si potrebbe trovare per chi volesse “testare” l’influenzabilità, o quand’anche la manipolazione, di una fascia giovanile resa nel corso del tempo “sensibile” a messaggi di empatia sociale e a tematiche, appunto, di ordine civile o ecologico? E non è sempre un caso che la più grande fetta dell’elettorato dei Grüne, ossia i Verdi tedeschi, sia proprio della stessa fascia d’età.
Se si osservano le statistiche ufficiali la più alta percentuale di abitanti berlinesi è proprio quella della generazione compresa fra i 25 e i 45 anni, ossia proprio i “Millennial” di cui si parlava all’inizio di questo lungo articolo. Quale migliore campo di sperimentazione sociale si potrebbe trovare per chi volesse “testare” l’influenzabilità, o quand’anche la manipolazione, di una fascia giovanile resa nel corso del tempo “sensibile” a messaggi di empatia sociale e a tematiche, appunto, di ordine civile o ecologico? E non è sempre un caso che la più grande fetta dell’elettorato dei Grüne, ossia i Verdi tedeschi, sia proprio della stessa fascia d’età.
Piccolissimo capitolo a parte sono i giovani italiani presenti in Germania, in particolare nella Capitale. Mi astengo dal fare commenti su persone in particolare, che pure potrei citare tra “influencer” e no, per calare un velo pietoso su persone che sono di una saccenza stomachevole, contraddittorie nelle “idee”, e di un’ignoranza abissale, in senso tecnico del termine e non.
Anti… qualcosa e Sardine a volontà
Quello di Greta non è il solo movimento che ha messo in moto le generazioni più giovani. Recentemente in Italia c’è stato infatti quello delle cosiddette “Sardine“. Nato spintaneamente (no, non è un errore d’ortografia), si è manifestato come un afflato contro l’orco cattivo, “bocio” come si direbbe a Roma, l’anticristo della politica italiana, ossia Matteo Salvini, ex ministro dell’Interno e capo politico della Lega.
Avviso per i naviganti: non sono leghista, non lo fui mai né mai lo sarò, quindi eventuali polemiche o etichette che mi si volessero mettere addosso (come è stato già fatto) non coglierebbero affatto il punto della questione da me sollevato, e lasciano il tempo che trovano. Il mio personale giudizio politico sul personaggio in questione, pur essendo negativo al pari di quello nei confronti di tutti gli altri leader politici di rilievo del nostro disgraziato Paese, non è rilevante ai fini di questo discorso. Il tema non è infatti Salvini o la Meloni, quanto le idee che stanno dietro chi li vorrebbe contrastare. Ossia il nulla assoluto. Personalmente ritengo che tale “movimento” e quei quattro personaggetti portati alla ribalta dai media nostrani, lecchini del potere, siano il frutto di una un’élite finanziaria internazionale che ha ben compreso che i partiti, in particolare il PD, che finora hanno per così dire tirato la carretta del messaggio neo-liberista mascherato da valori di “sinistra”, non abbindolano più così bene come una volta un popolo esausto da anni di vessazioni economiche e raggiri intellettuali. Lo stomaco non ha orecchie, diceva Catone il censore. Quando si tira troppo la corda si rischia che si rompa definitivamente. E l’antifona cantata dai partiti al servizio del grande capitale internazionale è arrivata quasi alla fine del suo ciclo, essendo venuto alla luce anche il bluff dei Cinque Stelle, partito creato a tavolino per imbrigliare la rabbia della gente.
Pertanto, che fare? Ed ecco il coniglio tirato fuori dal cappello del saggio padre della Patria (uno dei tanti) Romano Prodi, l’artefice per ben due volte della sconfitta di Berlusconi (l’altro “bocio” sconfitto nel passato dal partito “de sinistra” di cui sopra). Se i partiti non tirano più, puntiamo sui giovani come traino. Et voilà, tirati fuori quattro trentenni, capitanati da Mattia Santori, soprannominato dalle malelingue “i ricci con il vuoto sotto”, che in occasione delle ultime elezioni regionali, in primis quelle dell’ultima roccaforte del PD, ossia l’Emilia Romagna, molto si sono dati da fare per chiamare a raccolta un assopito popolo “de sinistra” che oramai poco sembra attratto dalle sirene rotte di partito (altra generazione di 30-50enni allevati appositamente per prendere il posto dei vecchi dirigenti del PCI, oramai pallidissimo ricordo di pochi). È stata fatta una campagna mediatica incredibile dai nostri media compiacenti. I quattro dell’apocalisse sono stati invitati ovunque, come fossero grandi esperti di politica, salvo poi fare scivoloni incredibili come la famosa foto con Luciano Benetton e Oliviero Toscani. Caduti quasi nel dimenticatoio sono stati recentemente riesumati, guarda tu un po’ il caso, da Lilli Gruber in una puntata di Otto e mezzo. Ci si sta preparando per il dopo-Coronavirus. Ce ne sarà bisogno, visto l’andazzo soprattutto economico che sta prendendo il nostro Paese a seguito delle decisioni a dir poco infauste dell’attuale Governo di Giuseppi. Piccola perla del Santori è stata l’ideona di una “patrimoniale orizzontale, garantita dal Governo”. Come dire: poche idee, ma confuse. Comunque l’idea di una patrimoniale è stata ritirata fuori anche da un altro paladino del neo-pensiero “de sinistra”, ossia il genio della gastro-filosofia italiana Oskar Farinetti (grande amico del leader maximo oramai in calo di consensi, ma grande stratega politico, Matteo Renzi).
Riassumendo hanno forgiato individui dalla psiche fragile (molti giovani sono costretti a far ricorso a cure psicoterapeutiche), poco avvezzi a problematizzare la realtà e a cui hanno messo in mano un telefonino (a dire il vero ce lo hanno messo in mano a tutti), attraverso il quale inviano quotidianamente impulsi che dirigono verso determinate direzioni. Un gigantesco test di pavloviana memoria.
Riassumendo hanno forgiato individui dalla psiche fragile (molti giovani sono costretti a far ricorso a cure psicoterapeutiche), poco avvezzi a problematizzare la realtà e a cui hanno messo in mano un telefonino (a dire il vero ce lo hanno messo in mano a tutti), attraverso il quale inviano quotidianamente impulsi che dirigono verso determinate direzioni. Un gigantesco test di pavloviana memoria.
Insomma un bel quadretto quello che viene fuori da una disamina della generazione che dovrebbe guidare il nostro mondo in questo periodo di pandemie, finte o meno. La lancia che all’inizio ho detto che mi sento di spezzare nei confronti di questi giovani non è in effetti indirizzata nei confronti della maggioranza, semmai nei confronti di una piccola minoranza che ne fa parte e che qualche sforzo di comprensione della realtà che la circonda, al di là della messa cantata e dei piatti pronti facili che le hanno apparecchiato, lo fa. Cerca di farlo, anche se spesso (ma non sempre) non è in possesso di tutti i mezzi culturali adatti. Sono persone che quantomeno si sforzano di vedere al di là dell’ovvio, non accontentandosi della narrazione mainstream e del relativo bombardamento a cui sono sottoposte quotidianamente. Hanno curiosità, cercano. Anche di vedere l’altra faccia della Luna. Sono la sola speranza che ci rimane.
Un 'analisi lucida e spietata che mi sento di condividere in pieno