Il famoso adagio secondo cui “Il genio è una lunga pazienza”, attribuito a diversi scrittori che vanno da Goethe a Gide, l’ho sempre trovato molto particolare. Il significato ultimo di tale affermazione è che anche la genialità è frutto delle cognizioni che l’hanno preceduta nel corso del tempo. Questo è vero senz’altro: ciascuno di noi si forma attraverso ciò che apprende, ciò che lo circonda, chi lo circonda. E’ pur vero, però, che la genialità è al medesimo tempo la capacità di osservare la realtà, ciò che ci circonda, chi ci circonda, sotto un profilo del tutto nuovo, che mai altri prima di allora avevano saputo trovare od esporre. Da Einstein a Bach, da Platone a Dante, da Leonardo a Galileo la caratteristica comune è data dalla capacità di vedere il mondo, di dare un quadro della propria epoca, d’interpretare il senso comune in modo del tutto nuovo ed originale. Dunque a cosa si potrebbe ricondurre la genialità? A quel quid che solo alcuni hanno innato, alla rielaborazione della realtà che li circonda e direi alla libertà di cui hanno potuto godere per esperire questa loro capacità. La libertà è essenziale tant’è che, nel corso dei secoli, chi ha individuato un pericolo in tale genialità ha in tutti i modi cercato di limitarne se non addirittura stroncarne le capacità creatrici: Galileo ne è un esempio per tutti. Il genio è dunque anche manifestazione tipica di anticonformismo, spesso in dura polemica con la visione del mondo a lui contemporanea: è proprio per questo che va al di là del periodo temporale che ne vede l’esistenza. Spesso solo le epoche a lui successive lo riconosceranno e ne apprezzeranno le doti. Qualcuno ha nomi da fare a candidato rappresentativo della nostra di epoca? Si accettano proposte!