Questa è una storia vera, una storia d’amicizia e lealtà. La persona che me la raccontò non c’è più e certo non si sarebbe mai immaginata di finire in un racconto come questo.
Italia, 1942. Fausto era un giovane ufficiale di complemento, con incarico di traduttore presso gli alti comandi tedeschi. Proveniva da un paesino della provincia di Rieti, Castel di Tora, sul lago del Turano, a pochi chilometri da Carsoli. Quest’ultimo era un centro nevralgico per l’esercito tedesco nell’Italia centrale, durante la seconda guerra mondiale, ed ospitava un ospedale militare aperto anche ai civili per tre giorni alla settimana.
Franz era un ufficiale medico della Wehrmacht (Forza di difesa) tedesca, di stanza in quel presidio medico. Era nato a Berlino, 26 anni prima, ed era uno poco tagliato per la guerra, come Fausto del resto; forse pure per questa ragione fra i due era subito nata una simpatia spontanea.
Ad unirli, inoltre, c’era il comune amore per le lettere antiche (Franz andava in guerra con Tito Livio in tasca mentre Fausto insegnava Latino e Greco) e la poesia tedesca ottocentesca; Hölderlin ed Heine in particolare, anche se le poesie di quest’ultimo Franz le doveva recitare quasi di nascosto, poiché era di origine ebraica.
I giorni sembravano passare in fretta in quel periodo e, con il trascorrere dei tragici avvenimenti della guerra, si accumulavano in mesi. Accadde così che, in un giorno di ottobre, due caccia spitfire della RAF (Royal Air Force) britannica venissero abbattuti dalla contraerea tedesca presente nella zona.
I piloti riuscirono a lanciarsi fuori dei veicoli prima della loro esplosione e subito furono cercati dalle pattuglie germaniche ed italiane. Per loro fortuna furono trovati dagli abitanti del paese e subito nascosti sui monti circostanti.
Si sa, italiani brava gente, e Fausto incarnava alla perfezione questo stereotipo. Pertanto ben presto i due inglesi si ritrovarono a mangiare in casa sua, anche per sfuggire alla morsa del freddo invernale che sui monti della Sabina è particolarmente rigido.
Il diavolo fa le pentole ma non i coperchi, così Franz, che si trovava a passare con una pattuglia da quelle parti, decise proprio quel giorno di andare a far visita al suo amico italiano. Mein Freund, wo bist du? Gridò spalancando la porta del tinello dove i tre stavano mangiando.
Ci sono momenti nella vita di ciascun individuo in cui ci si sente il sangue gelare nelle vene. Questo è appunto quello che accadde ai presenti in quella stanza. I due piloti inglesi, ovviamente in abiti civili, guardarono l’ufficiale tedesco tenendo in sospeso nell’aria il cucchiaio ricolmo di una calda brodaglia, che voleva somigliare ad una minestra.
Gli occhi di Fausto e Franz s’incrociarono: le parole non avrebbero saputo descrivere lo stato d’animo che sentivano crescere proprio lì, alla bocca dello stomaco, come se qualcuno gli avesse dato ad entrambi un calcio con gli anfibi militari.
Un senso di smarrimento, quasi di disperazione per tutti e due. Lo sguardo sa spesso esprimere sentimenti e sensazioni come nessun altro mezzo di comunicazione sa fare; ed è proprio attraverso lo sguardo che dovette passare fra i due un messaggio misto di fiducia tradita, smarrimento e richiesta d’aiuto, da ambo le parti. Passarono pochi secondi, ma sembrarono essere un’eternità.
Poi, come un raggio di Sole fra le nubi nere che coprono il cielo, arrivarono le parole dell’amico che c’era dietro la divisa, lo stesso amico con il quale fino a pochi giorni prima Fausto aveva condiviso la gioia di quei versi stupendi: Der Herbstwind rüttelt die Bäume, Die Nacht ist feucht und kalt*…
Lieber Freund, du bist im Moment beschäftigt wie ich sehe. Du hast Gäste bei dir. Ich werde ein anderes mal kommen **, disse Franz girandosi verso la porta. Poi salutò con un cenno della mano con la quale stringeva forte i guanti che si era appena poco prima sfilati, nell’entrare con entusiasmo. Fausto gli sorrise, quasi a liberare l’anima da quella morsa. E rispose a mezza voce: Bis bald, mein Freund!
Non parlarono più di quell’episodio. Arrivò il settembre del ’43. L’Armistizio sanzionò una separazione “formale” fra i due amici di un tempo. Tuttavia ciò che lega due anime non può essere separato da un’uniforme. Franz continuò ad aiutare l’amico di un tempo, cercando di “proteggerlo” dalle ire del comando tedesco, ormai nemico dell’esercito italiano.
Quando arrivarono gli americani ed i tedeschi si ritirarono oltre la Linea Gotica, Franz scrisse una cartolina a Fausto per dargli sue notizie e dirgli che stava in salvo, sulla strada per la Germania. L’indirizzo che mise per non comprometterlo direttamente fu: “Alla signora Comune Castel di Tora”, ed il messaggio era “Ich bin zu Hause”***.
Dopo la guerra, si rincontrarono solo una volta, molti anni dopo, a Berlino.
Chi fra voi visitasse Castel di Tora, nella bella Sabina, potrà leggere una scritta sulla tomba di un certo Fausto D., posta nel piccolo cimitero del paese: “Scuote gli alberi il vento d’autunno, nella notte umida e gelida; avvolto nel mio grigio mantello, cavalco tutto solo nel bosco…”*.
A Berlino invece, il visitatore di quello di Dorotheenstädtischer, poco distante dalla tomba di Bertolt Brecht troverà quella di un certo Franz K. Sopra ci sono incise quest’altre parole: “Der Herbstwind rüttelt die Bäume, Die Nacht ist feucht und kalt; Gehüllt im grauen Mantel Reite ich einsam, einsam im Wald”*.
Un silenzioso filo lega questi due “sconosciuti”: ora sapete il perché.