Auf Wiedersehen mia bella Italia

Auf Wiedersehen mia bella Italia

“Partire è un po’ morire, rispetto a ciò che si ama, poiché lasciamo un po’ di noi stessi in ogni luogo ad ogni istante.”.Così recita una bella poesia di Edmond Haraucourt (Rondel de l’adieu).
Il partire per un futuro ignoto ed incerto è proprio l’oggetto del bel libro Auf Wiedersehen Italia, in fuga verso il futuro, edito da Armando Editore, scritto da Leopoldo Innocenti, giornalista Rai ed inviato di guerra per oltre 40 anni. L’autore ha saputo condensare in 16 interviste fatte ad altrettanti nostri connazionali “emigrati”, i motivi che li hanno spinti a lasciare il proprio Paese, attraverso le più disparate esperienze di vita e di lavoro in molte parti del mondo, per approdare infine in Germania, meta di speranze e nuovi propositi per molti.
Cosa spinge tutte queste persone a vedere nel Paese dei crauti e del freddo intenso, dove la lingua sembra essere uno scoglio insormontabile da superare e le abitudini così dissimili da quelle latine, una scelta in molti casi definitiva di vita? E’ tutto vero quanto si pensa comunemente circa la proverbiale efficienza tedesca? Cos’hanno in più da offrire ad un giovane che ha deciso di andare via dall’Italia i rigorosi ed intransigenti tedeschi?
Queste alcune delle domande che si è posto da attento osservatore, ancor prima che da esperto giornalista, Innocenti, ricavando un quadro completo dei pro e dei contro riscontrati da quanti ha intervistato: dalla giovane pugliese in fuga dalla provincia italiana che corona il suo sogno d’insegnante d’italiano in Germania, al videomaker siciliano che ha realizzato i suoi sogni professionali e di vita privata in una città come Berlino, dove i tabù sessuali non fanno parte della propria storia civile e sociale; dalla corista di fama internazionale, al musicista di jazz; dal medico affermato professionista presso l’ospedale Charité, alla guida turistica che fa scoprire le particolarità della capitale tedesca a disinformati turisti italiani che credono che l’Oktober Fest si tenga proprio qui; oppure la giovane bresciana che è diventata parte del management di un’importante azienda che si occupa di start up.
Tutti spaccati di vita, tutte storie ancora in fieri che hanno contribuito all’analisi di un fenomeno purtroppo in crescita in Italia, appunto quello della ricerca di un futuro esistenziale altrove. Innocenti, con delicatezza sì, ma con esperienza e maestria, come la levatrice di socratica memoria, tira fuori dai racconti dei suoi interlocutori un quadro a tutto tondo del rapporto fra i due Paesi, mettendo in risalto tanto i punti a vantaggio quanto quelli a sfavore di entrambi.
Un antico adagio dice: “I tedeschi amano gli italiani, ma non li stimano; gli italiani stimano i tedeschi, ma non li amano”. Forse è vero, comunque questo significa che il rapporto tra le due nazioni è stretto e questi 16 figli della madre-madrigna Patria sono fra le più belle testimonianze che uno scrittore potesse regalarci sull’argomento.
Feierabend: un gemellaggio in fondo all’anima

Feierabend: un gemellaggio in fondo all’anima

Eh sì, la riservatezza è proprio una delle cose che maggiormente colpiscono gli italiani circa il modo d’essere dei tedeschi. Quel senso di “chiusura” non consono con il modo d’essere di noi gente mediterranea: poche parole, gesti misurati e poca, anzi pochissima, confidenza.

Fin dal mio arrivo a Berlino per la prima volta, tanti anni fa, salendo sulla metro rimasi colpito dal silenzio e dalla compostezza della gente; perfino i cani erano, e lo sono tutt’ora, poco inclini a cedere ai richiami per una carezza. Com’era possibile? C’era un incantesimo che regolava il modo di essere di questi alieni dalla lingua incomprensibile? Erano veramente così freddi, come lo stereotipo tipico di noi latini voleva che fosse il tedesco “medio”? Il sospetto che la cosa stesse in un altro modo mi venne una sera, quando entrai in quello che all’epoca era uno dei centri sociali più in voga di tutta la città, situato in Oranienburger Straße, il Tacheles. Ad assistere al concerto di un gruppo rock, che definirei piuttosto “alternativo”, c’era un campionario di umanità del tutto inaspettato ed insospettabile: dal punk con la cresta arancione che svettava sul resto del cranio rasato alla dolce ragazza bionda con le espadrillas e la minigonna mozzafiato, dal tipo con enormi baffi in pantaloni neri e borchie sugli stivali all’attempato signore …enne, in giacca color cachi e camicia verde. Oltre a questi, c’era una miriade di altri tedeschi e stranieri di ogni parte del mondo, di ogni età e look, ma tutti, e sottolineo tutti, con una caratteristica in comune: un assoluto anticonformismo e gioia di stare lì ad ascoltare musica bevendo birra.

Berlino oggi: il Tacheles è stato chiuso, aihmè! Nella metro tutte le mattine incontri colonne di persone silenti, con al limite le cuffiette del cellulare nelle orecchie oppure gli occhi bassi intenti a leggere un libro. I pochi sguardi che incroci sono di gente che scende frettolosa di lì a poco. Allora? I robot sono tornati? Il carattere di rigore in campo economico si riversa sul carattere generale della nazione? La risposta arriva il venerdì sera, alle 18.00 in punto: Feierabend, ovvero il tempo del riposo serale.

D’improvviso l’atmosfera cambia, la metro si popola di più e meno giovani dall’aria festante che, chiacchierando allegramente e bevendo da una bottiglia tenuta in mano come fosse un’appendice del corpo, si dirigono in ogni locale della città. Allora puoi vedere l’animo profondo del tedesco; allora capisci che non sono dei robot caricati a molla; allora senti che il calore umano è una caratteristica che ti unisce al di là della lingua, al di là di modo di essere che te li rende agli occhi così diversi e che Thomas Mann, il grandissimo scrittore tedesco, sosteneva, credo giustamente, derivare dalla loro educazione luterana intimista, rivolta all’interiorità, cioè l’esatto contrario di quanto la nostra di educazione, per lo più cattolica, ci ha inciso nel DNA, ovvero essere aperti ed esternare i nostri sentimenti agli altri.
Ecco la chiave di volta: la differente educazione. Così ti accorgi che la voglia di divertirsi è la stessa, la voglia di fare “casino” ti accumuna, la voglia di comunicare ti unisce e per due giorni il compassato vicino di casa si trasforma in un essere più “umano” ai tuoi occhi e pensi di non essere nell’austera Germania; ti senti un po’ a casa tua laggiù, nel tuo paese, in Italia.

La calma della domenica ti riporta alla quiete ordinata delle famiglie a spasso nei parchi di Berlino; lo apprezzi, ti godi il sole che illumina le vie appena ripulite dai bagordi di due giorni di libere sensazioni. Vivi con serenità il momento.
 La sera, rincasando, incontri Herr Baumanns, il tuo dirimpettaio che hai visto festoso ed un po’ brillo soltanto il giorno prima. Lo saluti, contraccambia già in modo austero. Sapete entrambi che le vostre anime s’incontreranno di nuovo soltanto il prossimo venerdì!
Una terra che divide

Una terra che divide


Sempre stata nazione divisiva quella ucraina, già a partire dal suo etimo che significa terra sul confine.

Oggi più che mai questo confineè simbolo di una separazione fra due mondi contrapposti: da una parte gli Stati Uniti e l’Unione Europea, dall’altra la Russia, ex grande competitor nella spartizione del mondo. Tra gennaio e febbraio di quest’anno “improvvisi” focolai di ribellione nella capitale Kiev hanno portato alla cacciata del Presidente V. Janukovič, alla liberazione dell’ex leader J. Timoshenko, all’instaurazione di un nuovo esecutivo guidato da O. Turčynov ed infine ad un legalissimo referendum indetto in Crimea, con la vittoria dei sì alla sua annessione alla Russia.

Fin qui i fatti. La loro analisi richiede però alcune considerazioni che vadano oltre l’apparenza e c’è da porsi una serie di domande: perché proprio ora tutto ciò? Qual è l’importanza dell’Ucraina, regione non particolarmente ricca di materie prime, per l’Occidente? E’ stato tutto frutto di sollevazioni spontanee oppure ci sono state “infiltrazioni” esterne a spingere alla rivolta?

Per rispondere a questi interrogativi occorre far riferimento in realtà alla sottile guerra già da molto tempo in atto fra Usa e Russia, frutto della strategia statunitense propugnata dall’influente (tutt’ora membro della Trilaterale) Zbigniew Brzezinski, già consigliere politico ai tempi di Carter, che tende a “conquistare” attraverso le cosiddette rivoluzioni pacifiche aree geopolitiche economicamente fondamentali per l’indebolimento dell’influenza di Mosca. E’ successo in Serbia nel 2000, poi in Georgia nel 2003 e nella stessa Ucraina nel 2007. In quel caso Putin prese delle contromisure facendo poi arrivare al potere Janukovič a danno del progressista Juschenko (il leader politico che nel 2004 subì l’avvelenamento da diossina, sfigurandolo).

In particolare l’escalation alla quale stiamo assistendo oggi è dovuta essenzialmente alla corsa che gli Stati Uniti stanno facendo per invadere il mercato energetico europeo con il loro gas e con quello canadese, investendo centinaia di milioni di dollari per costruire infrastrutture per la sua liquefazione. E’ già pronta, inoltre, un’imponente flotta di navi cisterna per trasportarlo sulle coste europee dove, in appositi impianti, avverrebbe il processo di riconversione allo stato gassoso. Per ottenere ciò bisogna però abbattere l’indiscusso primato del maggior concorrente mondiale, la Russia per l’appunto, i cui gasdotti rivolti al mercato europeo passano proprio per l’Ucraina. Se a questo aggiungiamo il fatto che il programma russo per aprire le proprie riserve energetiche alla Cina e all’India è in ritardo e non sarà pronto prima dei prossimi 7/10 anni, si comprende come la posizione di Putin sia, a dir poco, difficile.

A tutto ciò fanno seguito le mosse economiche collaterali dell’FMI e degli Stati Uniti in veste, questi ultimi, di Paese mediatore con i creditori finanziari, (l’Ucraina è in debito per oltre 15mld di dollari ed a un passo dal default) da una parte e il ritiro nell’ultima settimana di ben 104mld di dollari dalle casse americane per finire, molto probabilmente, in Paesi off-shore e banche russe dall’altra. Quest’ultima è in pratica una contromossa di Putin, portandosi via un pezzo di debito pubblico americano.

Come andrà a finire la faccenda non ci è ancora dato di saperlo e la sola cosa certa è che, al di là dell’ovviamente auspicabile abbassamento della tensione bellica, coloro i quali ne subiranno senz’altro lo scotto saranno proprio gl’involontari protagonisti, gli ucraini.
Continuiamo così, facciamoci del male!

Continuiamo così, facciamoci del male!

-“Scusi, ma cosa sta facendo?”
–“Come! Non lo vede? Sto costruendo una solida scala!”
-“Per fare cosa?”
–“Come per fare cosa? Per avvicinarmi alla Luna, no?”
-“Per avvicinarsi alla Luna? Si rende conto di ciò che sta dicendo? La Luna è a centinaia di migliaia di chilometri dalla Terra!”
–“E allora? Mi ci avvicino comunque, no?”

Bene, questo mi sembra il sottinteso dialogo che si sta sviluppando in Italia in questi giorni. Da un lato c’è un piazzista neocatecumeno che affascina tutti parlando di punti decimali (dopo lo 0, ovviamente) del rapporto deficit-pil, entro la fatidica soglia del 3%, di possibile impiego per “concedere” ad una decina di milioni di persone circa, udite udite, ben 80€ al mese in busta paga. Dall’altro c’è una pletora di gente che commenta tale mossa da piccolo piazzista di provincia come un mero annuncio da imbonitore, ovvero come la mossa geniale per risollevare l’asfittica economia italiana. In pratica ciò che mi domando è: ha senso parlare di queste cavolate difronte al vorticoso giro di miliardi di euro in ballo che, mai e poi mai, l’Italia potrà ragionevolmente appianare o converrebbe, piuttosto, ridiscutere proprio le basi di questa situazione senza via d’uscita? Stiamo ancora a girare dietro ai soliti discorsi dei “salvatori della Patria” a buon mercato (tanto a tirarli fuori dal cilindro non costano nulla, se non il loro lauto stipendio) e ci beiamo di discutere delle loro presunte capacità salvifiche in una situazione di epidemia conclamata. Costoro parlano di voler riempire un buco con le mollichine di pane, quando la voragine è di proporzioni colossali. Dove vogliamo andare di questo passo? Da nessuna parte per l’appunto! Come al solito!
Si stanno tutti preparando alle prossime elezioni europee e devono dare un senso alla voglia di vincere una poltrona a Bruxelles. Il guaio per tutti noi è che ci andranno senza avere la benché minima idea di cosa sia attualmente l’Unione Europea e come dovrebbe invece essere se volessimo veramente vedere sensibili cambiamenti in senso positivo, anche per le sorti di casa nostra.
Continuiamo così, facciamoci del male! (diceva sempre il mitico Apicella)

The great ugliness

The great ugliness

And the winner is: The great beauty. I’m proud as Italian for this prize Oscar! Yes, I’m. However I’m conscious that the film by Sorrentino isn’t a masterpiece. Toni Servillo, the main actor, is one of the best italian actors of ever, but one swallow doesn’t make a summer. The film talks about an image of Rome, my beautiful Rome, and about the style of life of some people, just few years ago, all told by Jep Gambardella, an italian journalist. The same style of life that the same people that are still today. So what is my problem with this film? The problem is that I think it is a bad copy of masterpieces of others directors, mainly Federico Fellini with his La dolce vita and Luis Buñuel with his Le charme discret de la bourgeoisie. All in one the film by Sorrentino would had been a mixture of the same topics that Fellini and Buñuel had talked about, without their brilliance. So, I’m sorry for the compatriot director but he would not have deserved the award, absolutely!
 
Le parole sono importanti

Le parole sono importanti

“Le parole sono importanti, chi parla male pensa male”, così diceva Michele Apicella, il personaggio di Nanni Moretti, nel film Palombella rossa. Sì, le parole sono importanti perché sono rivelatrici di un modo di pensare, di una cultura che si ha alle spalle, dei propri valori. Attenzione, ogni volta che faccio riferimento nei miei post al termine “valore” lo faccio nel modo più laico che si possa pensare; non a caso sono ateo! 
Ricordo per motivi, diciamo così, anagrafici quando la cosiddetta “intellighenzia” di sinistra (me compreso, non in quanto facente parte di quest’ultima bensì in quanto aderente ai valori che la sinistra propugnava) criticò con feroce ironia le gaffes di Silvio Berlusconi: dal “Romolo e Remolo” pronunciato nella base militare di Pratica di Mare al “culona” riferito alla Cancelliera tedesca Angela Merkel. Per non parlare di tutta la sequela di lunghissime chicche della nostra “classe politica” degli ultimi 20 anni, dal “tunnel” della Gelmini, Ministra della Pubblica Istruzione, fra il Cern in Svizzera e i laboratori del Gran Sasso, al nuovo posizionamento sulla carta geografica di Bari a nord del Gargano, fatto da parte del Governatore della Puglia Nichi Vendola.
Ebbene, ora che la “nuova sinistra” è al potere, come una volta si sperava ci andasse l’immaginazione, mostra chiaramente la stoffa di cui è composta. Un esempio banale, ma secondo me rivelatore della pasta di cui sono fatti i “giovani rampanti” di questa classe politica è l’uso dei termini usato in dichiarazioni di carattere squisitamente politico. E’ infarcito di tecnicismi proprii di un linguaggio inerente ad atre professionalità, quelle professionalità da cui in realtà provengono e che li vedrebbero sicuramente come persone di eguale successo. M’è capitato di sentire un’intervista a Filippo Taddei, giovane responsabile economico del PD di Renzi, il quale riferendosi alla disastrosa situazione finanziaria del Comune di Roma ha usato il termine “condizionalità” (traducendo probabilmente dall’inglese “conditionality“) che in italiano non esiste, anziché “condizione”. Questo banale errore di carattere etimologico in realtà vuol dire molto di più di quanto non sembrerebbe a prima vista. Non si tratta di mera ignoranza della lingua, come poteva capitare ai “vecchi politici” che magari avevano fatto la gavetta venendo dai più bassi strati sociali, anzi! Costoro fanno parte di una classe politica di laureati perlopiù, quando addirittura non abbiano alle spalle dottorati e prestigiosi masters conseguiti all’estero. Quindi il problema non è di carattare nozionistico quanto piuttosto di provenienza culturale. Termini quali “spending review”, cioé “revisione della spesa pubblica”, oppure “spread”, cioé “differenziale”, sono tutti derivati da un preciso linguaggio tecnico, quello dell’economia (anglosassone) e sono entrati nel comune linguaggio politico in quanto usati da “politici” di tipo nuovo, dai cosiddetti tecnici, Mario Monti in testa. Ebbene, questo dice molto, anzi direi tantissimo di come sia formata la nostra attuale classe dirigenziale nel Paese e ci dovrebbe far capire come si sia operato nella società un progressivo scambio di ruoli a cui ci siamo un po’ tutti abituati ed uniformati. I pubblicitari hanno sempre saputo bene che ripetere un messaggio ancorché falso decine di volte, alla fine, lo fa sembrare vero o almeno verosimile alle orecchie di chi lo ascolta, operando una sorta di lavaggio del cervello. Bene, proprio questo è accaduto e sta accadendo alla nostra Politica. Accorgersene è fondamentale, cambiare questo stato di cose è quantomeno auspicabile se si vuole tornare a considerare la società che ci circonda sotto un’altra Weltanschauung  (visione del mondo, termine filosofico tedesco stupendo). 
Sì, le parole sono importanti. Apicella aveva ragione.
La mistificazione delle competenze

La mistificazione delle competenze

“Alle elezioni, alle elezioni”, orsù andiam, andiamo a votar!
Già, siano esse elezioni nazionali od europee è ciò che caratterizza, o meglio dovrebbe caratterizzare, la democrazia nei Paesi cosiddetti democratici. Al di là di chi sia il vincitore, francamente, mi sembra che il problema principale delle democrazie occidentali sia diventato nel corso degli anni quello di un progressivo scambio di posizioni di responsabilità. Mi spiego meglio: come spesso ho sostenuto la Politica ha progressivamente lasciato il passo alla Finanza nel condurre i Paesi e quest’ultima s’è avvalsa di suoi “uomini” per condurre le redini delle nazioni che li hanno lasciati fare. In Italia la cosa ha assunto un carattere macroscopico e questo è avvenuto a partire da una ventina d’anni a questa parte attraverso una generale mistificazione, operata peraltro anche in altri Paesi, secondo la quale v’era una crescente necessità di porre i cosiddetti “tecnici” al posto dei politici. Questo avvenne perché si scambiò l’impreparazione e l’inettitudine della nascente classe politica con la necessità di personaggi “eccezionali” che risolvessero problemi “concreti” con competenze specifiche. Nacque in pratica il lunghissimo periodo di tecnocrati che ha preso il potere spolpando in senso letterale del termine le risorse economiche, in primis, e socio-culturale poi. Ci si dimentica che fino ad allora la Politica, cui spetterebbero le decisioni inerenti l’indirizzo in tutti i campi che un Paese dovrebbe prendere per il suo sviluppo e crescita, s’era presa il proprio compito e s’era avvalsa di più o meno ottimi “tecnici” che avevano il semplice compito di fare il loro di mestiere e non di sostituire la classe sociale che li nominava. Ad ognuno il suo mestiere, avrebbe detto mio nonno. Già, perché è un’usurpazione di competenze quella che s’è operata. Le soluzioni date ai bisogni concreti delle persone da parte della pura tecnica non costituisce la giusta risposta ad esigenze sociali che rispecchiano un panorama ben più vasto. Ad esempio i diritti civili non sono contemplati in decisioni di carattere economico se non si mediano, tali decisioni, con altre tipologie di valori che esulano completamente dall’orizzonte “tecnico” dei calcoli economici. In altre parole sarebbe come cercare di insegnare ad uno studente la metrica usata da Leopardi nel comporre L’infinito senza fargli scoprire l’intima bellezza e le emozioni che tutt’ora trasmette all’anima di chi lo legge. C’è ben altro oltre alla tecnica e questo altro deve essere lo scopo di mediazione della Politica, il mestiere della Politica.
Sì, mio nonno aveva proprio ragione. E mio nonno faceva solo il falegname!

L’importanza della differenza

L’importanza della differenza

Pensare non ti fa mangiare, ma ti aiuta a comprendere come farlo.
Il quadro purtroppo è sempre quello: adeguare al pensiero unico. Eric A. Blair, meglio conosciuto come George Orwell, ben aveva descritto in quello che forse è il più famoso dei suoi romanzi 1984 questo stato di cose. Quello che per allora era solo un mondo futuro possibile, oggi è triste realtà. 
Nella nostra piccola Italia, con una visione degli eventi del mondo molto limitata, è passata come quasi trascurabile, se non per “gli addetti ai lavori“, la notizia del progressivo tentativo di togliere dallo studio nelle nostre scuole dell’insegnamento della Filosofia. Personalmente vedo la gravità di tale “andazzo” nel fatto che, oltre ad un indiscusso ed indiscutibile impoverimento culturale del nostro Paese, si stia lentamente portando a termine un disegno molto più vasto a livello internazionale in direzione di una quieta accondiscendenza al pensiero dominante, in questo caso quello della Finanza internazionale, indiscussa padrona del mondo contemporaneo. Al di là, dunque, di un discorso per me ancor più coinvolgente (essendo il percorso di studi che ho scelto nella mia vita) l’importanza di difendere la Filosofia, come qualunque altra materia di studio, è una questione di civiltà e di sopravvivenza di valori fondanti la società. In questo, bisogna essere sinceri, le cosiddette materie umanistiche, sono sempre state la “cenerentola” del sistema di apprendimento nel tempo a noi contemporaneo; molto più che nel passato, quando invece erano il valore fondante senza cui le più grandi rivoluzioni sociali e di pensiero dell’umanità non avrebbero visto la luce. Il campanello d’allarme è quindi più che giustificato perché chi ha interesse a negare i diritti altrui ben sa che bisogna minare le basi del dissenso, ovvero il libero pensiero. Fa parte della guerra, quella che come ho già detto in questo blog è oramai in atto da un po’ di tempo. Svegliare le coscienze è proprio compito della Filosofia, promuovere il libero pensiero è compito della Politica. La seconda è oramai venuta meno, permettere la corrosione progressiva della prima è un completo suicidio. Non rendersene conto vuol dire avere perso in partenza. Nella sua XI° tesi su Feuerbach, incisa anche sulla sua tomba, Marx diceva: “I filosofi hanno finora soltanto interpretato il mondo in diversi modi; ora si tratta di trasformarlo“. Ecco, non dimentichiamocelo mai, bisogna combattere anche con le proprie idee per cambiare il mondo. Sta a noi comprenderlo!
Nagima

Nagima

Nagima is a nice film by Zhanna Issabayeva, an independent filmmaker and an outsider of the Kazakhstan film world. It’s the story of two orphan girls, Nagima and her friend Anya (who will die during childbirth). The end of the film is quite shocking, nevertheless it is plenty of significance. It is the same significance that we could find in the Neo realism of directors like Rossellini or Visconti or de Sica, after the 2nd World War, rather than in the filmography by Pier Paolo Pasolini.Unfortunately I’m sure that it will be never screen in Italian cinemas and this is a pity, however it has been shown during the Berlinale film festival.
If it will possible for you, go and watch this good film.





Ricominciare per non morire

Ricominciare per non morire

Mala tempora currunt, sed postea peiora parantur!*
Tutto sbagliato, tutto da rifare, tutto da ripensare. Il quadro socio-politico nazionale ed internazionale è quanto di più sbagliato potesse immaginarsi. L’Italia è un disastro, si sa e l’ho innumerevoli volte scritto su questo blog, ma non è che l’Europa, intesa come Unione Europea, sia migliore!
Ricapitoliamo: nel Belpaese c’è un Parlamento di gente altamente incompetente che segue un Governo di stupidi servetti o gente altamente furba ed in malafede. Gli unici, e sottolieno unici ad essersi opposti a tale andazzo sono stati i deputati del Movimento 5 stelle, gente che sicuramente peccherà d’esperienza, di maniere “consone” (quali sarebbero poi? Quelle di continuare a subire le angherie patinate di un sistema arroccato su se stesso e in difesa dei propri privilegi?), ma che avendo ben chiaro il quadro della situazione politica italiana tentano di cambiare lo status quo, passando per “sfascisti” nel bel mezzo di un sistema “fascista”. Il pensiero unico è oramai regola nel Paese ogni attività. Il populismo è senz’altro un pericolo che dovrebbero evitare quelli del Movimento, ma certamente non è con il finto attivismo dei “nuovi” giovani rampanti di PD e Forza Italia che il Paese potrà cambiare. Ora questi ultimi si “vendono” come gli uomini “del fare”, contrapponendosi al presunto solo “dire” dei “grillini”; già, tutt’è a vedere cos’è che fanno. Mi sembra, francamente che si stiano molto dando da fare ad avallare, non avendo proprie idee circa il da farsi per il futuro del Paese, le stesse politiche di smembramento del Paese messe in atto dalla gente che li ha preceduti, Monti in testa. Se regalare 7 miliardi di banche vuol dire “fare”, allora era meglio stare fermi! Per non parlare della legge elettorale e tante altre cose del “fare”, fatte male o non fatte affatto. La Boldrini poi, terza carica dello Stato, questa “Madonna” con un’aurea di maestrina dalla penna rossa che si permette di blaterale cose allucinanti, salvo poi non dire una parola in difesa della deputata del Movimento 5 stelle Lupo aggredita dal Questore Dambruoso. Per non parlare del provvedimento cosiddetto della ghigliottina messo in atto per la prima volta nella storia repubblicana, provvedimento non previsto in alcun modo dalla Costituzione o dal regolamento della Camera e peraltro criticato dallo stesso PD quando Presidente era Fini.
Questa la situazione in Italia, ben triste. In Europa non stiamo meglio purtroppo!
L’Unione Europea è tale solo da un punto di vista economico e poco più. Ciascuno con le proprie leggi, con i propri eserciti, con la propria politica estera. Purtroppo l’Europa è in grande ciò che negli stati sta accadendo più in piccolo. Un quadro lucido della situazione generale è ancora una volta data da N. Chomsky nell’ultimo libro uscito in Italia dal titolo I padroni dell’umanità. Saggi politici 1970-2013, dove il filosofo-linguista ben delinea i tratti fondamentali del processo finora compiuto dal potere delle multinazionali americane e quanto sono riuscite a mettere in atto, con segni direi indelebili, sia in campo sociale che politico, più in Europa che negli Stati Uniti. La situazione è grave, direi quasi irrimediabile a meno che i cittadini europei non si sveglino ed alle prossime elezioni non decidano di fare una “rivoluzione copernicana”, cioé invertire proprio il modo di pensare all’Europa steessa, non abolendola perché non avrebbe senso. Ri-pensare la politica si può, ri-fondare l’Europa è un dovere, altrimenti oltre 3000 anni di civiltà del vecchio continente non saranno serviti a nulla in un mondo globale, dove i confini fisici non sono più un ostacolo e quelli sociali sono guidati dalla finanza che schiavizza le menti per ottenere i propri scopi. Una volta c’erano i servi della gleba, tenuti sotto la minaccia delle armi del più forte, oggi ci sono i servi del pensiero, tenuti sotto la minaccia del pensiero unico, ottenuto con un impoverimento culturale generale che fa spavento. A forza di convincere la gente della necessità dello status quo, questa finisce per crederci. E chi lo impone lo sa perfettamente. Bisogna cambiare per non morire.
Eh sì, mala tempora currunt!

*Stiamo vivendo tempi non buoni, ma se ne preparano di peggiori!
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Everybody lies