In ricordo di due geni

In ricordo di due geni

Il 28 luglio è una data importante per l’umanità. Infatti, a distanza di 9 anni, nel 1741 a Vienna il primo, e nel 1750 a Lipsia il secondo, morirono due dei più grandi geni assoluti della musica: Antonio Vivaldi e Johann Sebastian Bach.
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Antonio Vivaldi

 

© Youtube La Voz por Excelencia
Antonio Vivaldi era nato 63 anni prima, nel 1678, a Venezia, dove studiò musica grazie al padre, Giovanni Battista, barbiere e violinista nella Cappella di S. Marco. Alcuni sostengono che suo vero insegnante fosse Giovanni Legrenzi, maestro di cappella a San Marco, ma di questo non si hanno notizie certe. Era comunque talentuoso tanto che a soli dieci anni sostituiva occasionalmente il padre nell’orchestra. La sua era una famiglia numerosa (era il maggiore di 6 fratelli) e poco agiata, pertanto studiò in seminario e nel 1703 fu ordinato sacerdote, guadagnandosi il soprannome di Prete Rossoper il colore dei suoi capelli. Era da sempre stato malato (probabilmente soffriva d’asma) tanto che nell’atto di battesimo si riportò che “hebbe l’acqua in casa per pericolo di morte dalla Comare allevatrice”. Proprio a causa della salute malferma, ottenne presto la dispensa dall’esercizio sacerdotale e poté così dedicarsi interamente alla musica, per la sua e per la nostra fortuna, verrebbe da dire. I suoi concerti venivano dati in differenti chiese veneziane, dove egli stesso si esibiva come virtuoso del violino impressionando i testimoni dell’epoca.
 
© Youtube sgarboo1
Nel 1708, durante il carnevale, venne dato alla Pietà un concerto di musica sacra in onore del re di Danimarca, Federico IV. Fu così che la sua fama travalicò i confini italiani. Nel 1711 venne pubblicato ad Amsterdam L’estro armonico, op. 3, una raccolta di dodici concerti per violino. Fu di tale successo che l’altro nostro autore, Bach, ne trascrisse una parte per tastiera.
Dal 1717 Vivaldi iniziò a lasciare la natia Venezia e a viaggiare. Prima ricoprì l’incarico di maestro di cappella presso la residenza del principe Filippo di Hesse-Darmstadt a Mantova, città nella quale soggiornò dal 1719 al 1722, poi dopo un breve ritorno di tre anni nella Laguna, ripartì alla volta delle maggiori corti europee. Tra il 1722 e il 1725 si recò a Roma, dove suonò per il Papa (Benedetto XIII), per poi tornare a Venezia dove compose diversi concerti di cui il lavoro più famoso sono “Le quattro stagioni” (che fanno parte del Il Cimento dell’Armonia e dell’ Invenzione). Seguì un decennio costellato di viaggi a Mantova (1726), Trieste (1728), in Germania (1729), a Praga (1730), a Verona (1731), ancora Mantova (1732) e Vienna (1733). Tornò a Venezia e nell’estate del 1740 Vivaldi decise di lasciare la sua città. Dopo un passaggio a Dresda, dove suonò i famosi “Concerti di Dresda”, si trasferì a Vienna, città nella quale sperava di ritrovare la fama che pian piano era andata scemando.
 
© Youtube Luis Peres
Ma non fu così. Morì per una “infiammazione interna”, il 28 luglio 1741, solo e indigente. A Vienna fu seppellito in cimitero di un ospedale per poveri che oggi non esiste più. Oltre alle 73 sonate, Vivaldi compose 223 concerti per violino e orchestra, 22 per due violini, 27 per violoncello, 39 per fagotto, 13 per oboe e molti altri per flauto, viola d’amore, liuto, tiorba e mandolino.
Si era ispirato ad altri maestri, come Corelli, Torelli e Albinoni, e fu a sua volta la base per lo sviluppo del concerto solista del periodo classico di Mozart e Beethoven. La sua musica (oltre 760 composizioni), proprio perché così innovativa ed inusuale, cadde ben presto nell’oblio. Fu solo grazie alla riscoperta ottocentesca di Bach che il nome di Vivaldi iniziò a circolare come compositore, da quando cioè i musicologi tedeschi scoprirono che il compositore di Eisenach aveva ripreso le melodie da un gran numero di concerti, circa una ventina, di quello di Venezia.
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A. Vivaldi, Nulla in mundo pax sincera – Emma Kirkby
 

 
© Youtube Kate Price
 

 

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Johann Sebastian Bach

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© Youtube Ahmed Barod
Johann Sebastian Bach, come dicevamo poc’anzi, era nato nel 1685 (soli 7 anni dopo Vivaldi) ad Eisenach, una cittadina extra-circondariale della Turingia (all’epoca ancora Sacro Romano Impero). La sua era una famiglia di musicisti e apprese i primi rudimenti della musica dal padre, Johann Ambrosius, musicista civico (Stadtpfeifer).
Johann era il minore di 7 figli e dopo la morte di entrambi i genitori a distanza di 8 mesi l’una dall’altro, nel 1694, si trasferì dal fratello Johann Christoph, organista ad Ohrdruf, che gli fece conoscere la musica di Pachelbel, Lully, Marchand, e Buxtehude, e dove continuò a studiare organo e clavicembalo. Nel 1699 si trasferì a Lüneburg, in Bassa Sassonia, dove grazie ad una borsa di studio si perfezionò nei due strumenti a tastiera e probabilmente imparò italiano e francese. Nel 1703 divenne musicista di corte a Weimar, in Turingia e nel 1706 divenne organista a Mühlhausen, dove sposò sua cugina Maria Barbara Bach. Due anni dopo si trasferì a Weimar, dove ricevette l’incarico di organista di corte e maestro di concerto di Guglielmo Ernesto, duca di Sassonia-Weimar. Fu in questo periodo che compose la maggior parte del suo vasto repertorio di fughe, il cui esempio più famoso è “Il clavicembalo ben temperato” (48 fra preludi e fughe).
 

© Youtube BachHarmony
Tuttavia i rapporti con il duca si deteriorarono a tal punto che Bach fu anche arrestato per qualche settimana. Si trasferì quindi a Cöthen, in Sassonia Anhalt, presso la corte del principe Leopoldo, dove prese servizio come maestro di cappella, o piuttosto, direttore di musica da camera. Fu in questo periodo che scrisse i “Concerti brandeburghesi” e molta parte della sua musica strumentale (tra cui le suite per violoncello solo, le sonate e partite per violino solo, la partita per flauto solo e le suite per orchestra). Nel 1720 rimase vedovo (la cugina gli aveva già dato 7 figli) e sposò l’anno dopo Anna Magdalena Wilcke, una giovane musicista di soli 20 anni.
 

© Youtube Michael Armstrong
Nel 1723, dopo il trasferimento di Georg Philipp Telemann ad Amburgo, ottenne il posto di organista e cantor (doveva anche insegnare) a Lipsia. Nella città sassone Bach rimase per oltre 20 anni (1723-1750) e in virtù del suo incarico fu costretto a scrivere cantate e oratori quasi ogni settimana. Sono di questo periodo opere del calibro delle due Passioni (secondo Matteo e secondo Giovanni), i tre oratori (di Natale, del Venerdì santo e di Pasqua), il Magnificat, la Messa in si minore e le famosissime Variazioni Goldberg (dal nome del suo allievo Johann Gottlieb Goldberg). Nel 1747 compose l’Offerta musicale per Federico II di Prussia e l’Arte della Fuga. Nell’ultimo anno della sua vita perse l’uso della vista (probabilmente soffriva di glaucoma). La riacquistò per pochissime ore, a seguito dei postumi di un intervento sbagliato fatto da un oculista inglese, ma poco dopo venne colpito da un ictus. Morì pochi giorni dopo, la sera del 28 luglio 1750. Era un piccolo compositore di provincia. Lasciò 20 figli e un patrimonio materiale di 1.159 talleri*. All’umanità quello musicale, che è immenso ed inestimabile.
  • Il guadagno annuale di un mastro artigiano era tra i 200 e i 600 talleri.
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J.S. Bach Concerto for Oboe and Orchestra, BWV 1059, II. Largo – Aria Heinz Holliger, Academy of St Martin in the Fields Chamber Orchestra
 

© Youtube Vihor189
 
J.S. Bach – Partita n° 1 in Si bem. magg. BWV 825 Grigory Sokolov
 

 
© Youtube a vma
 
Delphine Galou, Erbarme dich, mein Gott, dalla Passione secondo Matteo BWV 244
 

 
© Youtube MehdiCapsII
I padroni delle Ferriere

I padroni delle Ferriere

Ta daaa! E dopo 3 giorni rieccomi a voi! (su Facebook) Purtroppo, diranno le malelingue, ma fate attenzione che il Signore vi vede, e non sia mai che decida di punirvi per la vostra insolenza… così come ha deciso di fare FacciaLibro con il sottoscritto.
Cos’è accaduto? Dunque, per quelli che in fondo in fondo (ma molto molto in fondo) mi vogliono bene sono stato bannato per aver osato, per la terza volta da un annetto a questa parte, “violare” le sacre “regole” (i cui criteri conoscono solo loro) di anti fake news del nostro ospite (nel senso di ospitante, in questo caso). Quanto è meravigliosa la lingua italiana! (Letteraria e poetica). Dico sul serio.  Ma non divaghiamo.
Dunque, come dicevo, per la terza volta (le altre due era sempre per due cavolate) hanno deciso che sono un pericoloso spargitore di notizie false e infondate  e  per questo andavo “punito” con il non permettermi di commentare, mettere like, o, soprattutto, postare qualsivoglia contenuto da parte mia. L’oggetto in questione lo trovate al seguente indirizzo di quest’altra piattaforma dove sono iscritto e dove ho deliberatamente lasciato visibile il post incriminato:
https://vk.com/wall562785996_5

Come potrete vedere da soli si tratta di uno screenshot fatto alla pagina di un Tg di Sky (in lingua inglese, ma facilmente comprensibile anche a chi non la conosce). Tale post era evidentemente ironico, visto anche lo “stato d’animo” che vi avevo aggiunto, ma l’algoritmo censorio di FacciaLibro è stato inesorabile, e zac! Mi ha tagliato le pudenda. Ovviamente a nulla è valso il fatto che accettassi la loro decisione (le altre volte, pur essendomi opposto, il risultato era stato identico,  seppur per sole 24 ore). E sono stati buoni e caritatevoli, perché oltre ad avvertirmi che la prossima volta di giorni me ne daranno 7, come la galera (ah, se potessero!), mi hanno anche scritto che sono stati compassionevoli non cancellandomi del tutto l’account.
Lo screenshot lo trovate qui: https://vk.com/wall562785996_6
Dunque, perché vi metto a parte di tutto questo? Semplicemente per farvi meditare sul fatto a chi stiano in mano i mezzi di comunicazione che utilizziamo quotidianamente.
Direte: “Eh, ma li utilizzi gratuitamente ed hai accettato implicitamente le loro condizioni nel momento in cui hai sottoscritto quello che è un vero e proprio contratto quando ti sei iscritto…”. Vero! Ma ci sono, proprio per questa ragione, due piccoli particolari. Il primo è che questi grandi colossi dell’informazione (per lo più americani) fanno transitare solo le notizie che vogliono loro sulle loro pagine,  arrogadosi così un diritto di censura  circa cosa non è loro gradito (lo ha fatto anche Twitter con Trump. Solo che quest’ultimo ha avuto il potere, che un semplice utente non ha, di rispondergli per le rime modificando la legislazione locale in merito). Quel che da un punto di vista giuridico non torna è che loro affermano di essere “solo” dei “contenitori” e non degli editori (che, in quel caso, avrebbero sì diritto di censura). Se fossero tali dovrebbero pagare gli utenti per i contenuti che pubblicano, e di cui si appropriano i diritti d’autore non pagando per questi ultimi. Come semplici “contenitori” tale diritto di censura non dovrebbero a nessun titolo esercitarlo. Neanche se questo fosse previsto dalla legislazione dello Stato in cui sono presenti gli utenti (che come tali sono legalmente responsabili davanti alle pubbliche autorità del luogo in cui vivono). In questo modo, invece, si erigono a “sceriffi” della loro (che entità statali pubbliche non sono) di legge, del tutto privata. E ripeto,  a questo punto dovrebbero pagare per i contenuti gli utenti, e le tasse per i profitti derivanti dalla pubblicazione  degli stessi agli Stati sul cui territorio “virtuale” operano (cosa quest’ultima che, come ben si sa, non avviene).
Il secondo, ma per questo non meno importante, punto della questione è che episodi come il mio, o come quello della recente chiusura dell’account di YouTube di “Radio radio” (con accuse assurde di diffusione di contenuti pedo-pornografici, poi ritirate con riapertura del canale medesimo a seguito delle proteste degli utenti e della minaccia di querela per diffamazione da parte della radio stessa) fanno meditare circa il fatto che l’informazione pubblica, soprattutto quella per così dire “virtuale” della Rete, passa praticamente tutta attraverso i rubinetti di società, o per meglio dire colossi  dell’informazione PRIVATI (il fatturato annuo di Google, solo per fare un esempio, è di gran lunga superiore al PIL dei Paesi Bassi). Se domani decidessero di bloccare le poche voci libere e dissenzienti rispetto al mainstream (cosa che già stanno da più parti applicando) chi potrebbe contrapporglisi? Non di certo noi, semplici utenti singoli. E cos’è questa se non una forma neanche tanto velata di dittatura alla “grande fratello”?

Meditate gente, meditate. 

La messa cantata del neo-liberismo

La messa cantata del neo-liberismo

Un’immagine, alle volte, è più esplicativa di mille parole. E proprio l’immagine di una riunione (nonostante le restrizioni dovute all'”epidemia” di Coronavirus) tenutasi, purtroppo, nella mia città natale, Roma, la città “eterna” (lo sarà ancora a lungo? Speriamo!), di una massa considerevole di decerebrati, ops, pardon, volevo dire giovani benintenzionati, mi ha ispirato questo post.
L’immagine in questione, o meglio il filmato, è quello che trovate qui in calce dove, appunto a piazza del Popolo, migliaia di giovani si sono “spintaneamente” radunati per gridare il loro sdegno per quanto accaduto a George Perry Floyd, uomo di colore (quale?), come si usa dire al giorno d’oggi (perché nero, o peggio ancora negro – termine derivante dal latino nĭger – sembra che sia diventato politicamente “non corretto” da utilizzare), ucciso da un poliziotto, anche questo di colore (bianco. In questo caso il colore non è offensivo), nella città statunitense di Minneapolis, in Minnesota. Con questa ironica (s’era capito?) distinzione non intendo dire che non vi sia discriminazione razziale (in questo caso il termine razza lo si può usare, secondo i benpensanti), ma che un criminale è tale a prescindere dal colore della pelle.

C’era una volta l’uomo nero
Il punto è proprio questo: la discriminazione razziale c’era anche ai tempi del tanto venerato Barach Obama, il Presidente “democratico”, quello del Premio Nobel per la pace per capirci (il fatto che, dopo aver ricevuto il riconoscimento internazionale, abbia fatto ben 7 guerre in giro per il mondo è del tutto marginale, s’intende). Omicidi da parte di bianchi, poliziotti o no, nei confronti dei neri ce n’erano in abbondanza anche allora (come ce ne sono stati praticamente da sempre nella storia degli Stati Uniti e non solo). Anzi, se volessimo fare una conta dei morti, il picco si registrò nel 2015, quando a capo della Casa Bianca c’era il “nero” Obama. A questo aggiungiamoci il fatto che il sindaco di Minneapolis, il 38enne (dato questo importante) Jacob Frey, è di parte democratica, come si evince bene anche da questa evocativa immagine (sempre il potere che le immagini suscitano), esplicativa del suo endorsement (come dicono le persone colte) per quell’agnellino di Hillary Clinton. Ebbene, il giovane (fino ai 40 si è giovani oramai) pollo d’allevamento, ops, scusate, il giovane brillante politico, in prima battuta aveva deciso solo di licenziare i colpevoli dell’omicidio, senza processarli per tale reato. Solo quando si è sollevata la protesta da mezzo mondo ha “prontamente” messo rimedio a questo disguido. Ma si sa, la notte porta consiglio.
Ora, quello che è passato, complici soprattutto i mass media americani (e non), è che il cattivone, colpevole di questo ennesimo atto di violenza della polizia (a questo proposito ci sarebbe da sottolineare che ci sono altrettanti, anzi di più, atti di violenza compiuti da neri su bianchi, poliziotti e non), come ovvio è stato Donald Trump. #hastatotrump, per dirla in termini moderni. Inoltre, come per magia, allorquando sono scoppiate le rivolte in tutto il Paese e nel resto del mondo (evidentemente ci sono stati episodi analoghi in ogni nazione dell’orbe terracqueo), si sono visti poliziotti preparare pietre lungo il percorso dei “manifestanti” che, spintaneamente, sono scesi in strada per testimoniare il loro sdegno per la morte di Floyd brandendo lo slogan  #BlackLivesMatter.

Le nuove crociate

Negli Stati Uniti è in corso una, neppure tanto velata, guerra civile, con tanto di coprifuoco e guardia nazionale in campo. Intere città sono state messe a ferro e fuoco da orde di manifestanti, la cui furia si è manifestata anche con un rigurgito di iconoclastia, insozzando o distruggendo statue di personaggi storici, a torto o a ragione, considerati “colpevoli” di essere stati in qualche modo coinvolti con la segregazione razziale o di averla quantomeno indirettamente favorita. Fra le illustri vittime si annoverano anche Cristoforo Colombo e Ghandi, notoriamente quest’ultimo colpevole di aver discriminato le truppe di sua Maestà britannica nel suo Paese, la ricca (per gli autoctoni, ovviamente) India. È scoppiata una furia di stampo talebano, dove le vittime sono non solo le statue o i simboli, ma anche le persone. Episodi di follia collettiva, assalto ai negozi e ai negozianti, e una serie varia di atti di violenza pura gratuita girano in rete, filmati un po’ ovunque. Sembra di vivere in uno di quei film tipo “1997: fuga da New York”.
Tutto sommato, a ben pensarci, in tempo di Coronavirus, chi avrebbe tutto l’interesse di aggravare la già precaria situazione? Ovvio, non di certo Donald Trump, che vorrebbe essere rieletto il prossimo novembre. E allora? E allora potrebbe venire il dubbio che siano i suoi avversari, formati ovviamente dai “Democratici” (mai nome fu più sviante dalla realtà) e da parte dei Repubblicani, i cosiddetti falchi del “deep State” che con i primi hanno diversi obiettivi in comune. Il biondo Donald, sarà pure uno sporco affarista, ma non è uno stupido come lo dipingono. Non è manovrabile e non è possibile farlo fuori con mezzi “leciti”, minacciandogli le aziende, come fu fatto in Italia con quella mezza calzetta di Berlusconi. E allora come si fa? Ma ovvio! Si mette su una bella “rivoluzione” colorata, dopo che si è provato inutilmente per 4 anni a farlo fuori dipingendolo come il diavolo in persona tramite i mass media, completamente venduti (ecco alcuni esempi: qui, qui e qui) eccezion fatta per la Fox che sta dalla sua di parte. In questo caso non d’arancione, ma di nero è colorata la rivolta. Il malcontento, più che giusto della comunità nera già c’è, quindi versare benzina sul fuoco è un gioco da ragazzi. Un po’ come il famoso terrorismo islamico (che guarda caso è un po’ che non salta fuori con qualche attentatuccio da qualche parte nel mondo), messo su come messinscena dai servizi segreti di mezzo mondo, fomentando qualche “povero” invasato che poi, guarda tu sempre il caso, regolarmente viene fatto fuori dalle efficientissime forze d’intervento (che prima avevano, ma guarda tu sempre la casualità, fatto acqua da tutte le parti, tanto da non prevedere l’attentato).

Utili idioti di tutto il mondo, unitevi!

Ma lo stigma negativo affibiato a Trump (che sottolineo, a scanso di equivoci, non riscuote le mie simpatie in quanto affarista, con tutto quello che ne consegue) deve travalicare i confini degli USA. Così movimenti di protesta simili a quelli statunitensi si sono “magicamente” espansi in tutto il mondo. Sono stati arruolati per primi gli “utili idioti”, allevati dal sistema nel corso degli ultimi 30/40 anni, come ho scritto ne “L’altra faccia della Luna“. Quindi, istigati dai mass media, si sono mossi i vari movimenti, soprattutto giovanili, che sono scesi in piazza con slogan e canti contro l’odiato dittatore. La furia iconoclasta ha colpito le principali capitali mondiali, distruggendo e insozzando quelli che sono stati indicati come simboli (che stavano lì da decine di anni, se non secoli) della discriminazione e dell’oppressione. In nome di questa “necessaria” liberazione da tali simbologie si sono messe in atto devastazioni e violenze varie (anche omicidi, sempre in nome della libertà, s’intende).
E arriviamo dunque a noi, il laboratorio sociale per eccellenza in Europa, assieme a Svezia e alla città di Berlino. Come si evince dal filmato di cui parlavo all’inizio, sono state mobilitate le “truppe cammellate”, in prevalenza giovanili, che gravitano attorno a quella che ancora viene spacciata per “sinistra”, ma che altro non è che la gentaglia di appoggio creata appositamente dal grande Capitale internazionale per operare nel nostro disgraziato Paese. Della Sinistra storica non hanno proprio più un bel niente, se non negli slogan sbiaditi e nei titoli dei giornaloni italiani (tutti allineati, s’intende. Ci mancherebbe pure che non fosse così!). Così come la “Destra” storica non esiste più.
Ebbene sono scesi in piazza, in tutta Italia. Soprattutto Bologna è un laboratorio perfetto per testare questo tipo di movimenti “spintanei”. Non scordiamoci che è la città dove abita e opera Romano Prodi, artefice della svendita del patrimonio economico italiano assieme ad altri personaggetti come Beniamino Andreatta ed altri ancora, considerati quest’oggi “padri della Patria”. L’ex Presidente della Commissione Europea (1999-2004) nonché fondatore di Nomisma, società di consulenza e ricerche di mercato dove il Capitale italiano forma i giovani rampolli che serviranno a rimpiazzare i vari “Cottarelli & Co.” nel prossimo futuro. Insomma un crogiolo dove far crescere le “nuove” tendenze per influenzare i giovani (su come sia stata destrutturalizzata la Scuola ho già parlato sempre in “L’altra faccia della Luna”).
E infatti dove sono nate le “Sardine”? Ma a Bologna, ovviamente! Poi si sono “espanse” un po’ ovunque, anche fuori dei confini patrii. A Berlino, ad esempio, ce n’è una rappresentanza (sparuta, a dire il vero), ma che ricalca lo stesso cliché di quelle italiane. Le idee sono le stesse e si muovono in rete, soprattutto sui vari gruppi Facebook presenti in Germania e nella Capitale in particolare. Lo scorso 14 giugno, in concomitanza con una ben più grande manifestazione organizzata da circa 130 gruppi per “non permettere che i diritti umani, la giustizia sociale e la giustizia climatica siano messi l’uno contro l’altro”, sotto il motto #SoGehtSolidarisch e formando una catena umana ideale lungo diversi km nella città, le Sardine berlinesi si sono mobilitate per manifestare anche loro lo sdegno nei confronti di quanto accaduto a Floyd. Purtroppo però a Berlino c’erano circa 28 gradi e si sa, più che i principi poté la voglia di fare il bagnetto in qualche lago nei dintorni e dei circa 2mila e 100 membri iscritti al gruppo c’erano (evidentemente in rappresentanza) appena una ventina di eroici protestatori. Ma va apprezzato lo sforzo. Un po’ meno la capacità critica dei nostri connazionali e di tutti gli altri giovani (anche quelli della manifestazione principale #Unteilbar erano per più dell’80 per cento sulla ventina o poco più). Sono una generazione che non è più abituata a pensare con il proprio di cervello e, come spugne, assorbono ciò che gli viene propinato in Rete o tramite il tam tam collettivo ripetendolo con slogan e modalità anch’essi preparati per loro ad hoc.
Coronavirus o meno mala tempora currunt, come dicevano i Romani e il redde rationem sembra essere sempre più vicino. Molto più di quanto noi tutti ci aspettiamo, temo.


In difesa dei tedeschi

In difesa dei tedeschi

Coronavirus © il Deutsch-Italia
Coronavirus © il Deutsch-Italia

Il titolo potrebbe essere fuorviante. In un periodo di tensioni varie, rese ancor più palesi dalla crisi del Coronavirus, parlare di “difesa” dei tedeschi potrebbe sembrare un paradosso per molti italiani. Tuttavia la mia “difesa” del popolo tedesco non riguarda direttamente gli aspetti squisitamente di politica internazionale o di economia, sui quali chi mi segue sa benissimo quanto io sia critico (almeno tanto quanto lo sono nei confronti delle identiche tematiche, per motivi differenti, affrontate nel nostro di Paese), quanto piuttosto per il modo in cui tutta la vicenda legata alla “pandemia” del Covid-19 è stata affrontata, sia a livello governativo che da parte della popolazione tedesca. Non è certamente un caso che il “Criticismo”, come indirizzo filosofico, sia nato in questo Paese cui tanto l’umanità deve negli ultimi tre secoli in questo di campo, così come in quello scientifico, letterario e musicale. Ovviamente i tedeschi non hanno bisogno di una mia “difesa”: sanno benissimo farsi valere da soli. Tuttavia sento l’esigenza di esporre, per senso civico e per amore della verità (merce rara in periodi confusionari come questi, soprattutto da noi in Italia), il modo in cui la Germania ha affrontato l’emergenza determinata dal Coronavirus.
Lascio la cronaca, pur importante, dei vari passaggi susseguitisi in questi mesi di “emergenza pandemia” al riquadro che troverete in fondo all’articolo, e preferisco soffermarmi su un altro aspetto della questione: quali sono state le differenze, di metodo e sostanziali, adottate nei due Paesi nell’affrontare tutte le varie problematiche dovute al Covid-19.
La Politica
Jens Spahn © CC BY-SA 3.0 Stephan Baumann
Jens Spahn © CC BY-SA 3.0 Stephan Baumann WC
Il primo caso conclamato di infezione per il virus si registrò ufficialmente il 27 gennaio, nel distretto bavarese di Starnberg. Ne parlammo anche noi a fine febbraio, quando oramai in Italia si era passati dagli aperitivi fra la cosiddetta movida milanese (proprio il 27 gennaio) e l’abbraccio fraterno dei cittadini cinesi presenti sul territorio italiano, allo scoppio del caso del “paziente zero” di Codogno (per l’esattezza il 20 di febbraio). La linea del ministro della Salute tedesco, il cristiano democratico Jens Spahn, fu quella della prudenza. «Wenn man mir in zwei Wochen vorwirft, übertrieben vorsichtig gewesen zu sein, bin ich zufrieden – denn dann hat sich alles gut entwickelt» (Se tra due settimane sarò accusato di essere stato troppo prudente, sarò soddisfatto – perché allora tutto sarà andato bene). La differenza si commenta da sé.
Il 13 febbraio il Bundestag, per la prima volta nella storia della Repubblica federale tedesca, discusse in un’unica sessione una legge in prima, seconda e terza lettura, approvandola lo stesso giorno all’unanimità e senza astensioni. Era quella che autorizzava il Governo federale ad adottare alcune misure immediate (indennità di lavoro a tempo parziale, in pratica la nostra cassa integrazione) con un decreto legislativo.
Il 26 di febbraio il Ministro della Salute dichiarò ufficialmente “l’inizio di un’epidemia in Germania” e dal giorno seguente si iniziarono a prendere misure quali la costituzione di un’unità di crisi tra il ministero dell’Interno e il ministero della Salute. Principali punti di riferimento scientifici per il Governo sono stati il Robert Koch Institut e l’Accademia delle Scienze Leopoldina.
Il 17 marzo il ministro degli Esteri, il socialdemocratico Heiko Maas, annunciò un poderoso piano di rimpatrio (da 50milioni di euro) dei cittadini tedeschi (e non solo) che si trovavano all’estero.
Angela Merkel © Emilio Esbardo per il Deutsch-Italia
Angela Merkel © Emilio Esbardo per il Deutsch-Italia

Il 18 di marzo la Cancelliera Angela Merkel (CDU) con un messaggio alla nazione dichiarò: «Es ist ernst. Seit der Deutschen Einheit, nein, seit dem Zweiten Weltkrieg gab es keine Herausforderung an unser Land mehr, bei der es so sehr auf unser gemeinsames solidarisches Handeln ankommt», ossia: “È una cosa seria. Dalla riunificazione tedesca, no, dalla seconda guerra mondiale, non c’è stata più una sfida per il nostro Paese, che dipende così tanto dalla nostra solidarietà comune”. Così furono annunciate le prime misure “restrittive” per limitare il contagio e la Cancelliera fece appello alla responsabilità di ciascuno per limitare la diffusione dello stesso. Ma, cosa molto importante, precisò: «Es geht darum, das Virus auf seinem Weg durch Deutschland zu verlangsamen. Und dabei müssen wir, das ist existentiell, auf eines setzen: das öffentliche Leben soweit es geht herunterzufahren. Natürlich mit Vernunft und Augenmaß, denn der Staat wird weiter funktionieren, die Versorgung wird selbstverständlich weiter gesichert sein und wir wollen so viel wirtschaftliche Tätigkeit wie möglich bewahren. Aber alles, was Menschen gefährden könnte, alles, was dem Einzelnen, aber auch der Gemeinschaft schaden könnte, das müssen wir jetzt reduzieren», “Si tratta di rallentare il virus nel suo percorso attraverso la Germania. E nel farlo, dobbiamo fare affidamento su una cosa, che è esistenziale: chiudere il più possibile la vita pubblica. Naturalmente con la ragione e il senso delle proporzioni, perché lo Stato continuerà a funzionare, l’approvvigionamento continuerà naturalmente ad essere garantito e vogliamo preservare quanta più attività economica possibile. Ma tutto ciò che può mettere in pericolo le persone, tutto ciò che può danneggiare l’individuo, ma anche la comunità, dobbiamo ora ridurlo”. Continuò poi: «Lassen Sie mich versichern: Für jemandem wie mich, für die Reise- und Bewegungsfreiheit ein schwer erkämpftes Recht waren, sind solche Einschränkungen nur in der absoluten Notwendigkeit zu rechtfertigen. Sie sollten in einer Demokratie nie leichtfertig und nur temporär beschlossen werden – aber sie sind im Moment unverzichtbar, um Leben zu retten», ovvero: “Lasciate che ve lo assicuri: Per una come me, per la quale la libertà di viaggio e di movimento erano un diritto conquistato a fatica, tali restrizioni possono essere giustificate solo in caso di assoluta necessità. In una democrazia, non dovrebbero mai essere decise con leggerezza e solo temporaneamente – ma sono indispensabili al momento se si vogliono salvare delle vite”. Mi limito in questo caso a sottolineare il senso dello Stato, indipendentemente dalla parte politica, espresso dalla leader tedesca che mai ha negato il ruolo del Parlamento e delle opposizioni nel prendere decisioni così importanti per il suo Paese.
Coronavirus © il Deutsch-Italia
Coronavirus © il Deutsch-Italia

A questo proposito, ciò che mi preme rimarcare è il ruolo preponderante della Politica in Germania in questa enorme vicenda, che tutto il mondo ha visto coinvolto. La Scienza e i “tecnici” sono stati sì consultati, come è giusto che sia in casi del genere, ma le decisioni ultime sono state di carattere squisitamente politico. Niente annunci mediatici, ma concrete decisioni e comunicazioni chiare ai cittadini, cercando il coinvolgimento attivo di questi ultimi attraverso un’esortazione alla responsabilità dei singoli. In altre parole la Politica tedesca ha considerato il cittadino tedesco come parte attiva e non passiva, costretta a subire decisioni prese dall’alto come fosse un bambino a cui dare regole restrittive in quanto “irresponsabile” per natura. E questo nonostante il fatto che in Germania si siano svolte numerose manifestazioni di protesta e dissenso verso le pur ragionevoli e decisamente non eccessive restrizioni messe in atto per cercare di arginare il più possibile gli eventuali effetti negativi del potenziale contagio. La libertà di dissenso rimane un cardine essenziale, in qualunque democrazia. Altrimenti quest’ultima non sarebbe tale, bensì assumerebbe i tetri caratteri di una dittatura.
La Stampa
Stampa bugiarda © il Deutsch-Italia
Stampa bugiarda © il Deutsch-Italia

In genere non mi sento di poter elogiare in modo continuativo la Stampa tedesca, ma devo dire che in questo caso sia riuscita a mantenere un atteggiamento sostanzialmente di servizio. I telegiornali nazionali, al contrario dei nostri, hanno dedicato il “giusto” spazio alle notizie relative al Covid-19, laddove per giusto intendo il tempo necessario e sufficiente per informare i cittadini sui molteplici aspetti dell’epidemia, ma non dedicando le intere notizie ad una quotidiana conta morbosa di decessi, infetti e “casi umani” come si sono viste, ahimè, sui nostri canali televisivi. Ci sono stati sì approfondimenti, anche sulla carta stampata, ma sempre con toni poco sensazionalistici o tendenti ad incutere nei lettori e negli ascoltatori il terrore del contagio. Compito della nostra categoria dovrebbe essere quello di fungere da veicolo di notizie utili e variegate, mettendo a disposizione della popolazione il più ampio spettro di informazioni senza censure preventive. Come nel caso dell’azione politica, anche il compito dell’informazione non può essere quello di trattare il cittadino come un bambino da tutelare preventivamente da possibili notizie false, o fake news come piace chiamarle in questo periodo. Il lettore (o l’ascoltatore) deve essere libero di farsi un quadro della situazione e un’opinione da sé, essendo sufficientemente “adulto” da poter capire e discernere i messaggi che gli vengono comunicati.
La popolazione
Coronavirus © il Deutsch-Italia
Coronavirus © il Deutsch-Italia

Altro elogio che mi sento di fare è quello al popolo tedesco. Onestamente non ho mai visto autentiche scene di panico isterico (eccezion fatta per l’incetta di generi alimentari e di carta igienica nel primo periodo) o letto commenti su giornali o blog tedeschi che lanciassero allarmi e invettive nei confronti di possibili comportamenti “a rischio”. Al contrario m’è capitato di leggerne su blog e gruppi Facebook di italiani residenti in Germania, che criticavano la “sconsideratezza” del comportamento “libertino” dei tedeschi, colpevoli ai loro occhi di continuare ad avere una vita sociale quasi normale, almeno fino a quando non gli è stato espressamente richiesto dai politici di limitare i contatti interpersonali. Ovviamente tali commenti da parte dei nostri connazionali sono cambiati radicalmente, facendosi per così dire più “accondiscendenti”, al primo farsi avanti della primavera allorquando, con le dovute precauzioni, la gente si è riversata nei parchi e all’aperto per godere dell’aria fresca e del piacevole tepore del Sole. In quel caso gli “irresponsabili” tedeschi mostravano al contrario le irreprensibili qualità teutoniche del rispetto delle regole, senza il bisogno di essere trattati come bambini cretini. Ma si sa, cambiare opinione è sinonimo di maturità ed intelligenza, anche se a fasi alterne, e la bella stagione porta con sé una visione delle cose più ottimistica. Questo, evidentemente, contribuisce a sfatare il mito che il popolo pessimista sia quello tedesco.
Coronavirus © il Deutsch-Italia
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Ovviamente ciascuno può avere la propria opinione sui metodi più opportuni per combattere una minaccia come quella del Coronavirus, ma rimane pur sempre un fatto incontestabile che, al di là delle senz’altro migliori condizioni del suo sistema sanitario (è da notare che le numerose terapie intensive non si sono mai riempite) la Germania è uscita decisamente meglio del nostro Paese dal periodo clou dell’epidemia, tanto da un punto di vista sanitario, che sociale ed economico. Alla prova dei fatti, anche considerando soltanto i primi due di questi aspetti (il terzo richiederebbe un articolo a parte) in un Paese di circa 83milioni di abitanti (23milioni più dell’Italia) il numero complessivo degli infetti e dei deceduti è rispettivamente, al momento in cui questo articolo è stato scritto, di 184.193 e 8.674. In Italia, ahinoi, 234.119 e 32.354. E questo nonostante oltre due mesi di pressocché totale blocco del Paese, durante il quale la vita degli italiani è stata regolata da una serie di decisioni prese da gruppi di “esperti” (task force) cui la Politica ha demandato il compito di “dirigere” l’intera nazione.
Coronavirus 244 © il Deutsch-Italia
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Ora delle due l’una: o le decisioni prese non erano le più adeguate, oppure bisogna per forza di cose presupporre che i tedeschi siano un popolo dotato di un sistema immunitario superiore (cosa che peraltro ho letto in Rete), in pratica degli Übermenschen di nietzschiana memoria, o magari, semplicemente, estremamente fortunati. Tutto ciò, ovviamente, al netto del fatto che il virus possa essersi presentato in forma più virulenta da noi che altrove. O magari il metodo adottato dal sistema Paese è stato più efficace, non lasciando che il panico avesse il sopravvento, con una classe politica che ha saputo guidare la nazione, senza abdicare le decisioni ad altri, pur avvalendosi delle indicazioni della Scienza.
Sì, la Ragione, Die Vernunft, propria di quel Criticismo che ho citato all’inizio, non ha abbandonato la Germania, nonostante il Coronavirus.

Le principali misure prese in Germania
durante l’epidemia di Covid-19
 
Il primo caso conclamato di infezione per il virus si registrò ufficialmente il 27 gennaio, nel distretto bavarese di Starnberg. Ne parlammo anche noi a fine febbraio, quando oramai in Italia si era passati dagli aperitivi fra la cosiddetta movida milanese (proprio il 27 gennaio) e all’abbraccio fraterno dei cittadini cinesi presenti sul territorio, allo scoppio del caso del “paziente zero” di Codogno (per l’esattezza il 20 di febbraio). La linea del ministro della Salute tedesco, il cristiano democratico Jens Spahn, fu quella della prudenza. «Wenn man mir in zwei Wochen vorwirft, übertrieben vorsichtig gewesen zu sein, bin ich zufrieden – denn dann hat sich alles gut entwickelt» (Se tra due settimane sarò accusato di essere stato troppo prudente, sarò soddisfatto – perché allora tutto sarà andato bene).
A fine febbraio, durante la celebrazione del carnevale, numerose persone contrassero l’infezione nel distretto di Heinsberg, nel Nord Reno-Westfalia, causando allarme e facendo sì che venissero cancellati i primi grandi eventi, ad iniziare dalla più grande Fiera del turismo al mondo, l’ITB di Berlino (il 29). Sempre a fine febbraio furono confermate infezioni da Coronavirus anche nel Baden-Württemberg. Entrambi gli Stati istituirono un gruppo di gestione delle crisi, sostenuto dall’Istituto Robert Koch e dal ministero federale della Sanità. Altri casi si registrarono in Renania-Palatinato, Amburgo e in Assia. Tutto ciò fece sì che il ministro Spahn dichiarasse: «…die Epidemie jetzt Deutschland erreicht hat», ossia “l’epidemia ha ora raggiunto la Germania”.
Il 10 di marzo si decise di vietare le riunioni con più di mille partecipanti e subito dopo si invitarono i cittadini tedeschi e no, presenti sul territorio nazionale e che fossero rientrati da Italia, Austria o Svizzera di mettersi volontariamente in quarantena per due settimane prima di circolare liberamente.
Il 18 di marzo ci fu il discorso alla nazione della Cancelliera Angela Merkel
Il 20 marzo la Baviera e il Saarland furono i due primi Stati federali ad imporre restrizioni di spostamento, seguiti poi da altri, e il 22 la stessa Cancelliera si pose in quarantena per essere stata a contatto con un medico risultato contagiato dal virus. Tra il 23 e il 27 di marzo si decisero sostanziosi finanziamenti per l’economia tedesca (oltre un trilione di euro in totale) e il giorno seguente la Cancelliera, attraverso il suo podcast settimanale, ringraziava i cittadini per aver rispettato le regole, chiedendo ulteriore pazienza, e il 3 aprile finì il suo periodo di quarantena. Nel frattempo il Parlamento aveva deciso di prolungare fino a dopo Pasqua le restrizioni alla vita pubblica e la limitazione dei contatti personali.
L’11 aprile il Presidente della Repubblica, Frank-Walter Steinmaier, pronuncia un discorso alla tv tedesca rivolto ai suoi connazionali sottolineando: «Ich bin tief beeindruckt von dem Kraftakt, den unser Land in den vergangenen Wochen vollbracht hat» (Sono profondamente colpito dall’atto di forza che il nostro Paese ha raggiunto nelle ultime settimane). Due giorni dopo l’Accademia delle Scienze Leopoldina (la più antica società scientifica e medica nel mondo di lingua tedesca e la più antica accademia permanente di scienze naturali del mondo) presenta una dichiarazione in cui vengono formulate le condizioni per una graduale normalizzazione della vita pubblica. La dichiarazione sarà inclusa nelle consultazioni tra il Governo federale e i Länder il 15 aprile successivo. Tra il 17 e il 29 aprile viene decisa la riapertura (pur se con l’obbligo dell’uso della mascherina) delle funzioni pubbliche e il 30 aprile la Cancelliera e i capi dei vari Länder decidono di riaprire i parchi giochi e le istituzioni culturali, come i musei, zoo e i monumenti commemorativi, pur se a determinate condizioni.
Non tutto, però, si è svolto senza contestazioni. Ed è qui che lo spirito di critica tedesco, comunque la si pensi riguardo tanto il virus, quanto riguardo le misure prese per contenerne il contagio, è emerso chiaramente rispetto ad altri Paesi, compreso il nostro. Il primo maggio, quest’anno più degli altri anni, ci sono state proteste e disordini a Berlino, soprattutto nello storico quartiere di Kreuzberg, seguite già dal giorno seguente, per la prima volta, da centinaia di persone che nella Germania centrale hanno manifestano contemporaneamente in più luoghi, appunto contro le restrizioni e le normative per contenere il virus. In Sassonia la protesta, secondo gli organi di polizia, era stata organizzata da vari gruppi di destra. Ci sono state numerose violazioni delle regole sulla distanza e di altri regolamenti.
Tra il 4 e il 6 maggio si applicarano ulteriori allargamenti rispetto alle proibizioni iniziali (che più che altro erano consigli), ma già il 9 in diverse città tedesche migliaia di persone manifestarono contro le restrizioni di contatto interpersonale e contro le normative d’igiene messe in vigore, la qual cosa mise in allerta i servizi di polizia criminale e destò la preoccupazione dei ministri dell’Interno dei singoli Länder. Il 16 maggio migliaia di persone manifestano contro le restrizioni in diverse città. Il Primo ministro della Sassonia, Michael Kretschmer (CDU), fa scalpore a livello nazionale perché a Dresda cerca di parlare senza maschera con i manifestanti che lo insultavano. Dal 18 maggio riaprirono i ristoranti, pur se con severe regole di distanziamento tra i tavoli e rigide norme igieniche. Il 24 il Primo ministro della Turingia, Bodo Ramelow (Linke) suscita critiche a livello nazionale con il suo progetto di abolire le restrizioni generali contro il Coronavirus a partire dal 6 giugno, pur senza abolire le distanze minime interpersonali e l’utilizzo della mascherina nei luoghi pubblici al chiuso.
Lo scorso 3 giugno il Governo ha deciso un ulteriore pacchetto di aiuti economici di altri  130miliardi di euro (in totale sono ben oltre il trilione di euro), oltre ad una diminuizione dell’IVA dal 19 al 16 per cento. Venticinque miliardi saranno dedicati al settore del turismo e dell’intrattenimento nel periodo tra giugno ed agosto. Inoltre ogni famiglia con figli a carico riceverà 300 euro per ogni bambino. «La Germania deve uscire dalla crisi il più rapidamente possibile e rafforzata. Ci occupiamo di questo con il programma di stimolo economico più completo per i cittadini e l’economia nella storia della Germania», ha dichiarato il ministro degli Affari economici Peter Altmaier (CDU).
Fin qui la cronaca.
 
La caduta del “velo di Maya”

La caduta del “velo di Maya”

Un triangolo importante quello ideale tra Francoforte sul Meno, sede della Banca Centrale Europea (BCE), Karlsruhe, sede della Corte costituzionale federale tedesca (Bundesverfassungsgericht), e Parigi. Tra queste tre località si giocano infatti i destini dell’Unione Europea (per la terza vedremo in seguito il perché) come conseguenza della sentenza emessa lo scorso martedì dall’alto tribunale tedesco a seguito del ricorso presentato cinque anni fa da tre imprenditori tedeschi, Heinrich WeissPatrick Adenauer e Juergen Heraeus, e dall’economista e fondatore dell’AfD (Alternative für DeutschlandBernd Lucke. I quattro sostenevano infatti che la BCE con il “Quantitative easing” (QE), ossia l’acquisto massiccio di Titoli di Stato dei Paesi più in difficoltà dell’Eurozona, voluto nel 2015 dall’allora Presidente Mario Draghi (famosa la frase da quest’ultimo pronunciata in difesa dell’Euro che rischiava di crollare del 2012: “Whatever it takes”), stesse usando il flusso illimitato di denaro per effettuare finanziamenti statali proibiti e – contro il suo statuto – stesse effettuando una politica economica invece che monetaria. «Consideriamo queste misure economicamente sbagliate e un palese superamento del mandato senza alcuna legittimazione democratica», ebbe a dire Weiss. Poco più di un anno fa anche la Corte di giustizia dell’Unione Europea (CGUE) si era occupata di questo problema, ritenendo però l’operato della BCE del tutto legittimo. Ebbene la Corte tedesca, presieduta per l’ultima

Andreas Voßkuhle © CC BY-SA 3.0 Sandro Halank WC

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volta da Andreas Voßkuhle, ex rettore dell’Università di Friburgo e che era a capo dell’istituzione dal 2010, ha così sentenziato: “La Corte Costituzionale federale non è legata dalla decisione della Corte di Giustizia dell’UE, ma deve attuare la sua propria interpretazione per determinare se le decisioni dell’Eurosistema sull’adozione e l’esecuzione del programma di acquisto dei titoli pubblici (PSPP) resti dentro le competenze affidategli nell’ambito del diritto dell’UE primario. Dal momento che queste decisioni sono prive di sufficienti criteri di proporzionalità arrivano a eccedere le competenze della BCE”.
La Corte ha dunque chiesto a Francoforte di passare ad una valutazione della proporzionalità dell’acquisto dei titoli sul mercato secondario, e ha ordinato al Governo e al Parlamento di fare i passi necessari per verificare che la BCE si muova effettivamente in questo senso.
GERMANEXIT?
Il pezzo forte della sentenza è però alla fine della stessa, quando la Corte afferma: “La Bundesbank potrebbe non partecipare ulteriormente all’attuazione e all’esecuzione delle decisioni della Bce, a meno che il Consiglio direttivo della BCE adotti una nuova decisione che dimostri in una maniera comprensibile e sostanziata che gli obbiettivi di politica monetaria perseguiti dall’acquisto di titoli del debito pubblico non siano sproporzionati rispetto agli effetti fiscali e di politica economica del programma”. Ora, essendo la Germania attraverso la Bundesbank, il finanziatore principale della BCE con il 21 per cento delle quote partecipate, ritirandosi dall’acquisto dei titoli sul
Deutschebundesbank a Francoforte © CC BY-SA 1.2 dontworry WC

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mercato secondario determinerebbe di fatto il crollo dell’Eurozona. La BCE ha tre mesi di tempo per chiarire (ossia fino al 5 di agosto). Per il momento si è limitata a prendere atto della sentenza e a ribadire che il suo mandato è quello di mantenere la stabilità dei prezzi attraverso il tentativo di far crescere l’inflazione nell’area Euro. E attenzione, la Germania ha tutto il diritto di mettere in discussione i desiderata di Bruxelles, come ha bene messo in evidenza Luciano Barra Caracciolo, ma ne dovrebbe poi trarre le dirette conseguenze. Siamo solo noi, come vedremo più avanti, che sembriamo non capirlo.
La crisi morde anche l’economia della “locomotiva” d’Europa, che poi tanto locomotiva non è, avendo pensato in questi anni principalmente ad accumulare un grandissimo avanzo commerciale, o come lo chiamano in Germania, uno spazio finanziario, accumulato grazie alle politiche di esportazione, principalmente in Europa (come si evince dai dati ufficiali del Ministero federale dell’Economia e dell’Energia), sforando sistematicamente i limiti imposti dalla Procedura per gli squilibri macroeconomici (MIP) imposta dall’Unione. Questa prevede che un Paese non dovrebbe avere un saldo positivo della bilancia commerciale superiore al 6 per cento del Pil nella media a tre anni. La Germania viola sistematicamente questo dato e, anzi, nel 2019 ha visto il saldo delle partite correnti crescere dal 7,3 per cento al 7,6 del Pil. Valore questo simile all’8 per cento registrato tra il 2015 e il 2017. Per capirci il 7,6 per cento del Pil implica un saldo commerciale positivo delle
Export tedesco © Bundesministeriums für Wirtschaft und Energie

Export tedesco © Bundesministeriums für Wirtschaft und Energie
partite correnti (flusso di beni, servizi e investimenti) pari a circa 262miliardi di euro. La crisi, che ha colpito soprattutto il comparto dell’auto e tutti i servizi a questo associati (che in totale fanno il 16 per cento delle esportazioni e ben il 20 per cento del valore delle produzioni industriali tedesche), non ha tuttavia rallentato questo suo record di surplus di esportazioni (a danno del mercato interno, ma questa è un’altra storia). Dunque che vantaggio avrebbe la Germania ad “accollarsi” il rischio di rimanere garante economicamente parlando delle difficoltà altrui (Eurobond)? Ovviamente nessuno. E dal suo punto di vista a ragione. Semmai, forse, avrebbe più vantaggio ad uscire lei dal “sistema Euro”, che oramai palesa tutti i suoi limiti.
L’ITALIA SENZA VOCE IN CAPITOLO
Piigs © il Deutsch-Italia

Piigs © il Deutsch-Italia
E noi italiani? Che diritto abbiamo di mettere in discussione le direttive che vengono da Bruxelles, noi che facciamo parte, secondo la vulgata oramai diffusa in Europa ed in Germania (opinione largamente supportata dalla Stampa teutonica ed italica), dei PIIGS, ossia di quei Paesi che non fanno i compiti a casa, gli Hausaufagaben, termine tanto caro a parte della politica e della nomenclatura economica-finanziaria tedesca? Nessuno, stando a questa visione delle cose. Ma in realtà noi, “popolo cicala ed irresponsabile”, siamo gli unici in Europa che i “compiti a casa” li hanno sempre fatti e da diversi anni (oltre 25), come messo in evidenza dai numeri ufficiali (qui anche), a costo di enormi sacrifici per le nostre strutture economico-sociali. Si è, purtroppo, visto bene in questo periodo di crisi conseguente alla “pandemia” del Coronavirus: Sanità al collasso (perfino nelle parti più ricche e produttive d’Italia), sistema scolastico che avrà non pochi problemi a far riprendere, rispettando le norme di sicurezza, il regolare corso di studi in classe a tutti gli alunni, imprese che saranno costrette a chiudere perché non sufficientemente supportate dal “sistema Paese”, principalmente da un punto di vista economico (e qui il capitolo da aprire sarebbe un altro e da trattare in separata sede). Perché bisogna dirlo, una volta per tutte, che il nostro è quel Paese che solo in Europa è sempre corso ad accettare le norme che Bruxelles vuole, da quelle
Fate presto © Il Sole 24 Ore

Fate presto © Il Sole 24 Ore
riguardanti la pesca dei mitili, a quell’autentica aberrazione rappresentata dal “pareggio di bilancio”, messa in Costituzione nel 2012 in soli sei mesi di iter parlamentare (la nostra di Costituzione sì che si può cambiare in base ai desiderata della UE) dal senatore Mario Monti, allora Presidente del Consiglio. Il mantra era all’epoca “Fate presto“. Ebbene, nonostante le “lacrime e il sangue” che tale cura da cavallo sono costati al nostro “indisciplinato” Paese il rapporto debito pubblico/Pil è costantemente aumentato, come dimostrano i dati. Segno evidente che la “cura” non era quella adatta o che il problema risiede altrove (è stata la caduta del Pil a far aumentare il rapporto, ma anche su questo argomento occorrerebbe aprire un discorso molto lungo a parte, che esula dal tema di questo articolo).
UN AIUTO DAI CUGINI?
Detto ciò la palla in mano ce l’ha la Francia. Ed è qui che torna la terza città, Parigi, nominata all’inizio di questo necessariamente lungo articolo. Il secondo contribuente dell’area Euro è infatti il Paese d’oltralpe (l’Italia è il terzo). Al momento i “cugini” francesi sembrerebbero non aver gradito la decisione della Corte tedesca. Il ministro dell’Economia Bruno Le Maire ha ribadito l’indipendenza della BCE e ha sottolineato che quanto stabilito a Karlsruhe “non è un elemento di stabilità”. E sulla stessa lunghezza d’onda critica si è dichiarato il Governatore della Banca Centrale Francese François Villeroy de Galhau. Secondo le previsioni l’economia francese sarà la quarta più colpita dalla crisi dovuta al Covid-19 (oltre a Grecia, Italia e Spagna). Pertanto o Parigi si scontrerà con Berlino, con tutte le conseguenze del caso, oppure, come accaduto fino ad ora, troverà un accordo che, molto probabilmente, non sarà anche a vantaggio del nostro Paese (leggi obbligo di utilizzo del MES).
IL VELO DI MAYA

Il filosofo tedesco Arthur Schopenhauer, nella sua opera maggiore “Il mondo come volontà e rappresentazione” (Die Welt als Wille und Vorstellung), parla di “velo di Maya”, intendendo con tale espressione quello che era il “fenomeno” kantiano, ossia la realtà. Secondo Schopenhauer il fenomeno (la realtà) è apparenza, illusione, sogno, ossia proprio quello che nella filosofia indiana è per l’appunto il “velo di Maya”. La realtà (sintetizzando) si nasconde dietro al sogno e all’illusione. Di qui l’espressione “sollevare il velo di Maya”, cioè mostrare la realtà per quello che effettivamente è. Ebbene sarebbe ora di sollevare questo velo d’ipocrisia e di dichiarare la realtà per quello che è, traendone tutte le conseguenze.
L’altra faccia della Luna

L’altra faccia della Luna

Voglio spezzare una lancia a favore delle giovani generazioni. In particolare mi riferisco non tanto a quella dei ventenni o più giovani ancora, quanto a quella dei trenta-quarantenni, i cosiddetti Millennial. Questo, premetto, è inusuale da parte mia, perché ritengo che sia una generazione impreparata, spesso non colta pur volendolo apparire, e molto supponente. Inoltre, a rincarare la dose di critica, c’è il fatto che gran parte di coloro che ne fanno parte oggi costituisce la nostra “classe dirigente”, a tutti i livelli e in tutti i campi.
Detto ciò spiego il perché di questo mio, apparente, cambio di pensiero.
In realtà queste generazioni sono quelle dei nati a cavallo della caduta del Muro di Berlino, che sono cresciute con il mito dell’Europa unita, della “pace perpetua” (come avevamo creduto anche noi), ma che a differenza di quanti nati prima di quel periodo sono stati educati in scuole e Università appositamente per loro preparate, con un sistema educativo nuovo che è andato avanti di pari passo con quello del pensiero economico neo-liberista. Ed è proprio quest’ultimo, il neo-liberismo, che ha messo su una gigantesca opera di mistificazione del reale, ad uso e consumo delle nuove generazioni, utilizzando ingenti mezzi e destrutturando sistematicamente la realtà preesistente, riuscendo perfino a renderla estranea a quanti avevano contribuito negli anni a produrla o, almeno, a viverla.
Ma andiamo con ordine per capire come ciò sia avvenuto nel corso del tempo.

La Scuola
Tale opera di destrutturazione è partita dal sistema educativo, la Scuola pubblica, che è stato sistematicamente distrutto tanto nei mezzi che nelle metodologie d’insegnamento. Si è costantemente fatta una campagna tendente a denigrare il ruolo del pubblico (come per il resto delle attività dello Stato), facendo passare attraverso i media compiacenti o semplicemente superficiali, il messaggio che il privato era migliore, più efficiente e più “al passo con i tempi”. Questo è avvenuto tanto nell’ambito della Scuola che dell’Università. Quest’ultima vide un flebile movimento di protesta denominato la “Pantera” (poi conclusosi come al solito all'”italiana”, ovvero con un nulla di fatto) contro le riforme che l’allora ministro Antonio Ruberti voleva introdurre (dicembre 1989). Tali riforme, fra le altre cose, prevedevano il finanziamento privato delle ricerche e l’ingresso delle aziende nei consigli di amministrazione degli Atenei. In pratica l’inizio della privatizzazione delle Università. Fatta eccezione per alcuni emendamenti alla legge concessi da Ruberti, la privatizzazione iniziò. Lo stesso processo lo subirono le scuole. Soprattutto con la riforma voluta dal ministro Luigi Berlinguer (1996-98) che ha ridotto, con le successive modifiche degli altri Governi, la Scuola ad una succursale delle aziende. Il processo di “aziendalizzazione” è ben stato spiegato da Pietro Ratto, in particolare in questa intervista. Contemporaneamente è stata messa mano ai programmi scolastici, provando a più riprese ad eliminare lo studio del Latino, del Greco e della Filosofia, per fortuna non riuscendoci. Ovviamente non è un caso che si sia tentato ripetutamente di fare ciò, perché sono materie che fanno pensare e problematizzare l’esistente, cosa che il Nuovo Ordine Mondiale non vuole per ovvie ragioni. Invece tagli notevoli sono stati fatti allo studio della Storia, perché bisogna “dimenticare” il passato, per vivere in un eterno presente, senza memoria (se non per “fascismi” e “ismi” vari inventati di sana pianta, perché utili a stigmatizzare chi non pensa come il mainstream vuole).
Sono stati man mano cambiati i piani scolastici e le scuole assieme alle Università, come dicevamo, sono state sempre più trasformate in aziende che devono far quadrare il bilancio. I presidi sono diventati dei ragionieri e i finanziamenti dello Stato variano a seconda del numero di alunni che frequentano gli istituti. Per questa ragione ha preso piede via via l’andazzo a non bocciare più così spesso nelle scuole, per evitare la probabile emorragia di alunni. Si è perfino arrivati a vedere veri e propri episodi di bullismo e di vessazione nei confronti degli insegnanti, tanto da parte degli alunni che dei loro genitori. La scuola, una volta luogo di formazione (pur se criticabile per diversi aspetti) è stata costantemente svilita di contenuti e di autorità educativa, pur scaricandole addosso ogni genere di colpa circa il comportamento degli alunni che la frequentano. L’Università, dove i privati sono entrati a man bassa, non è da meno. La ricerca è mortificata e si sono istituite facoltà a numero chiuso là dove una volta era possibile accedervi liberamente. Si sono semplificati i programmi, un po’ perché devono passare solo i messaggi educativi voluti (ci sono libri di testo estremamente validi che sono stati sostituiti volutamente con altri, scritti ex novo), un po’ perché i “nuovi” alunni spesso non sono in grado di comprendere i testi che una volta venivano usati per i programmi proposti dai docenti della “vecchia guardia”. Ne ho avuta esperienza diretta di ciò già alla fine del corso dei miei studi universitari. Gli atenei, man mano che andavano in pensione i cosidetti “baroni”, che saranno pur stati tali, ma molto spesso erano comunque docenti di spessore e qualità, hanno rimpiazzato la classe docente con i portaborse di questi ultimi, o con gente “nuova” formatasi nel solco della nuova ideologia imperante. Ovviamente non è un discorso che si può generalizzare al cento per cento, ma in buona parte è senz’altro corretto.
Molto in sintesi è questa l’educazione scolastica avuta dai “giovani”, ossia coloro che sono cresciuti con l’idea che l’Europa fosse un’opportunità (come se prima non ci fosse stata) di viaggiare e formarsi con gli appositi programmi come l’Erasmus, quest’ultimo vero totem intoccabile per molti di costoro. Ho personalmente conosciuto una donna (di poco più di trent’anni) che ha chiamato il figlio Erasmus (sic.) e che la figlia che portava in grembo voleva (almeno così mi disse) chiamarla Europa. La ragione era che si era conosciuta con il marito proprio grazie a questo bellissimo programma di interscambio universitario. Mi sembra una ragione più che valida per rovinare la vita a due bambini. Un po’ come chi in passato chiamava i propri figli “Palmiro”, “Bettino” o “Benito”.
Europa Europa, tutti verso il Sol dell’avvenire 
I “diversamente giovani”, come il sottoscritto, si ricorderanno quasi certamente un bel programma televisivo di Rai Uno, ideato da Michele Guardì, Giorgio Calabrese e Mario Di Tondo e condotto dal duo Frizzi-Gardini, che si chiamava “Europa Europa” (1988-1990, guarda caso). A chi non piaceva l’idea dell’unione, almeno spirituale e culturale dei popoli europei? Certamente a me piaceva, e come a me piaceva a tantissimi altri della mia generazione e anche di quelle precedenti. Peccato però che di illusione si trattava e non ce ne rendevamo conto. Anche con trasmissioni come quella di cui ho appena parlato si instillava pian piano l’idea nella massa che l’Europa era la terra promessa. Nessuno di noi, o almeno la maggior parte di noi, immaginava che in realtà era una pietanza avvelenata accuratamente preparata, e che prevedeva una portata unica: quella economica attraverso cui governare i popoli. Cuoco prescelto? La Germania, of course.

Diritti civili in cambio di quelli sociali
Il mainstream, televisivo, di giornali e in Internet ha per anni martellato l’opinione pubblica con messaggi tendenti da un lato a sdoganare alcune categorie di persone quali gli omosessuali, la comunità lgtb e quanti erano stati ingiustamente mortificati ed emarginati dalla società, dall’altro ha fortemente caldeggiato la progressiva concessione di diritti civili, nella stragrande maggioranza dei casi sacrosanta, a favore di tali categorie. Ma si è ben guardato dal mettere in evidenza il fatto che tutto questo è stato ottenuto in cambio dei cosiddetti diritti sociali, conquistati con anni e anni di dure battaglie e duri confronti delle generazioni precedenti. In pratica da un lato è stato fatto passare il messaggio che togliere, ad esempio, l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori fosse un qualcosa di ineluttabile, per via dei tempi contemporanei in cui l’evoluzione dell’economia imponeva un mercato del lavoro “snello” e “mobile”, ma dall’altro si è concesso, sempre ad esempio, il diritto per le coppie omosessuali di contrarre regolare matrimonio. Come se quest’ultimo sacrossanto diritto civile fosse in qualche modo compensativo del furto fatto sul piano sociale. Tutto ciò è stato sapientemente orchestrato, complice una classe politica nel migliore dei casi inetta, nel peggiore collusa.
Ebbene si sono movimentate le masse giovanili per dare supporto a questa voce, sapientemente mobilitate tramite le piattaforme su Internet, con manifestazioni di solidarietà e supporto a queste cause, così come era accaduto in ambito internazionale per le manifestazioni organizzate a favore della “primavera araba” o della “rivoluzione arancione”. Peccato che i giovani non abbiano fatto altrettanto a favore del mantenimento dei diritti sociali che sono stati loro sottratti costantemente nel corso degli ultimi anni, facendo della loro stessa generazione una massa di persone senza lavoro e precaria a vita.
Greta, i “gretini”, senza dimenticare… le “Sardine”
Una generazione fragile e (quindi) volubile e facilmente manipolabile. Questo è il risultato del lavoro fatto costantemente da molteplici organizzazioni internazionali sui più giovani, facendo pressione martellante sulle loro coscienze attraverso i social media, ampiamente utilizzati ormai da tutti noi. Sono nati movimenti in favore dell’ambiente, come quello della diciassettenne svedese Greta Thunberg, ragazzina arrivata improvvisamente alla ribalta internazionale proprio grazie al grande battage pubblicitario fatto, dai media di tutto il mondo, alle sue proteste in favore del clima messe in atto, inizialmente, davanti al Riksdag di Stoccolma. Da metà agosto 2018 iniziò a fare uno sciopero scolastico fino alle elezioni svedesi di settembre, oltre le quali divenne un appuntamento fisso ogni venerdì, lanciando così il movimento Fridays for future cui iniziarono ad aderire soprattutto grandi masse di giovani. Quest’ultimi sono senz’altro stati mossi da buone intenzioni (chi potrebbe dire che la tutela del clima non sia importante?), ma il “fenomeno Greta” era veramente stato solo l’impegno di una ragazzina sconosciuta che, improvvisamente, è diventata una vera e propria star ricevuta in pompa magna da capi di Stato e autorità religiose? Solo un ingenuo potrebbe pensarlo o le menti più manipolabili. Che dietro un fenomeno così ci sia stata la grande industria internazionale produttrice di tecnologie “green” è abbastanza intuitivo, anche se non provabile direttamente. Adesso, buona grazia dell’arresto forzato in tutto il mondo di attività produttive e dei mezzi di locomozione, vedrete che per il conseguente calo delle particelle inquinanti nell’aria si dirà che “Greta aveva ragione”. Si dirà che occorre convertire tutte le tecnologie produttive al “green”, senza dire, però, che molto spesso quest’ultime inquinano l’ambiente più di quelle tradizionali, come nel caso dell’energia necessaria e del problema delle scorie derivanti dal processo di smaltimento delle batterie elettriche per auto. Comunque sia, sull’onda emotiva del messaggio della giovane svedese, grande rilancio hanno avuto quei partiti politici che si rifanno all’idea di una società compatibile con l’ambiente. I Verdi, in particolare in Germania, ne sono un esempio lampante. Alle elezioni federali del 2017, infatti, avevano raggiunto appena l’8,9 per cento dei consensi elettorali. Solo due anni dopo, alle elezioni europee, sono balzati al 20,5 per cento, scalzando alla grande la seconda posizione della più antica socialdemocrazia al mondo, quella rappresentata dalla SPD (crollata al 15,8 per cento), prendendone di fatto il posto nelle preferenze dei tedeschi in un’ipotetica nuova coalizione governativa. Ed indovinate un po’ chi ha votato in maggioranza il partito green per eccellenza? Bien sûr, i giovani nella fascia d’età compresa fra i 25 e i 40 anni. Was für eine große Überraschung! direbbero da queste parti (ossia una vera sorpresona). 
Berlin, du bist so wunderbar
Una particolare attenzione riguardo al fenomeno giovanile tedesco andrebbe riservata alla città di Berlino, vero e proprio esperimento sociale a tal riguardo (tanto quanto, sempre a mio parere, l’Italia lo è di fenomeni di massa derivanti da fattori emozionali, molto istintivi e per niente razionali). La Capitale tedesca è infatti un catalizzatore (non a caso) dei giovani provenienti da tutto il mondo. A dire il vero lo è da lungo tempo e per due ragioni storiche ben precise. La prima è che Berlino è sempre stata considerata una città “libertina” e dai costumi liberi. E questo addirittura dalla fine del 19° secolo. La seconda è che il Muro creò nella parte occidentale un micro-cosmo del tutto particolare, visto l’isolamento all’interno della ex DDR, che faceva sì che solo i giovani e i fuggiaschi volessero vivere nella enclave. Questo in cambio di notevoli vantaggi economici e di un ampio margine di libertà dovuto alla implicita complicità dei governi della BRD (Bundesrepublik Deutschland), che avevano il problema non secondario di mantenere “viva” una città in cui nessun tedesco voleva recarsi. Pertanto si chiudeva un occhio, o anche tutti e due, di fronte ad evidenti “anomalie” nel quadro delle regole statali, oltre a foraggiare con un autentico fiume di denaro e di droga Berlino Ovest proprio per questo scopo “sociale”. Insomma libertà a gogo, in tutti i sensi, che attirava gli “spiriti liberi” da tutte le parti del mondo. Tutto ciò creò il “mito” di Berlino che i media compiacenti contribuirono ad amplificare anche dopo la caduta del Muro, quando le cose iniziarono in realtà a cambiare, e non poco (tranne per la droga). Ma tanto basta. Berlino nell’immaginario collettivo è rimasta la città del “possibile”, dove tutto è concesso e la trasgressione è all’ordine del giorno. Il che sicuramente, almeno in parte, è ancora vero. Quello che non è più vero è il fatto che sia proprio il paese di Bengodi. Anzi… Tuttavia, per le ragioni dette sopra, rimane un elemento di attrazione irresistibile per i giovani, che ne vengono attratti come fa il miele con le api, scambiando il multiculturalismo (multi-kulti) con l’egualitarismo. Non è vero che siamo tutti uguali, semmai abbiamo i medesimi diritti, in uno Stato di diritto, ma ciascuno con le proprie caratteristiche e capacità che ci rendono individui unici ed irripetibili. Per questi giovani la società aperta di popperiana memoria è un altro totem, non capendo che il cosmopolitismo è ben altra cosa rispetto all’omologazione, e che le differenze vanno semmai preservate e non annullate in nome di un’accoglienza pelosa, come si sarebbe detto in altri tempi.
Se si osservano le statistiche ufficiali la più alta percentuale di abitanti berlinesi è proprio quella della generazione compresa fra i 25 e i 45 anni, ossia proprio i “Millennial” di cui si parlava all’inizio di questo lungo articolo. Quale migliore campo di sperimentazione sociale si potrebbe trovare per chi volesse “testare” l’influenzabilità, o quand’anche la manipolazione, di una fascia giovanile resa nel corso del tempo “sensibile” a messaggi di empatia sociale e a tematiche, appunto, di ordine civile o ecologico? E non è sempre un caso che la più grande fetta dell’elettorato dei Grüne, ossia i Verdi tedeschi, sia proprio della stessa fascia d’età.
Piccolissimo capitolo a parte sono i giovani italiani presenti in Germania, in particolare nella Capitale. Mi astengo dal fare commenti su persone in particolare, che pure potrei citare tra “influencer” e no, per calare un velo pietoso su persone che sono di una saccenza stomachevole, contraddittorie nelle “idee”, e di un’ignoranza abissale, in senso tecnico del termine e non.

Anti… qualcosa e Sardine a volontà
Quello di Greta non è il solo movimento che ha messo in moto le generazioni più giovani. Recentemente in Italia c’è stato infatti quello delle cosiddette “Sardine“. Nato spintaneamente (no, non è un errore d’ortografia), si è manifestato come un afflato contro l’orco cattivo, “bocio” come si direbbe a Roma, l’anticristo della politica italiana, ossia Matteo Salvini, ex ministro dell’Interno e capo politico della Lega.
Avviso per i naviganti: non sono leghista, non lo fui mai né mai lo sarò, quindi eventuali polemiche o etichette che mi si volessero mettere addosso (come è stato già fatto) non coglierebbero affatto il punto della questione da me sollevato, e lasciano il tempo che trovano. Il mio personale giudizio politico sul personaggio in questione, pur essendo negativo al pari di quello nei confronti di tutti gli altri leader politici di rilievo del nostro disgraziato Paese, non è rilevante ai fini di questo discorso. Il tema non è infatti Salvini o la Meloni, quanto le idee che stanno dietro chi li vorrebbe contrastare. Ossia il nulla assoluto. Personalmente ritengo che tale “movimento” e quei quattro personaggetti portati alla ribalta dai media nostrani, lecchini del potere, siano il frutto di una un’élite finanziaria internazionale che ha ben compreso che i partiti, in particolare il PD, che finora hanno per così dire tirato la carretta del messaggio neo-liberista mascherato da valori di “sinistra”, non abbindolano più così bene come una volta un popolo esausto da anni di vessazioni economiche e raggiri intellettuali. Lo stomaco non ha orecchie, diceva Catone il censore. Quando si tira troppo la corda si rischia che si rompa definitivamente. E l’antifona cantata dai partiti al servizio del grande capitale internazionale è arrivata quasi alla fine del suo ciclo, essendo venuto alla luce anche il bluff dei Cinque Stelle, partito creato a tavolino per imbrigliare la rabbia della gente. 
Pertanto, che fare? Ed ecco il coniglio tirato fuori dal cappello del saggio padre della Patria (uno dei tanti) Romano Prodi, l’artefice per ben due volte della sconfitta di Berlusconi (l’altro “bocio” sconfitto nel passato dal partito “de sinistra” di cui sopra). Se i partiti non tirano più, puntiamo sui giovani come traino. Et voilà, tirati fuori quattro trentenni, capitanati da Mattia Santori, soprannominato dalle malelingue “i ricci con il vuoto sotto”, che in occasione delle ultime elezioni regionali, in primis quelle dell’ultima roccaforte del PD, ossia l’Emilia Romagna, molto si sono dati da fare per chiamare a raccolta un assopito popolo “de sinistra” che oramai poco sembra attratto dalle sirene rotte di partito (altra generazione di 30-50enni allevati appositamente per prendere il posto dei vecchi dirigenti del PCI, oramai pallidissimo ricordo di pochi). È stata fatta una campagna mediatica incredibile dai nostri media compiacenti. I quattro dell’apocalisse sono stati invitati ovunque, come fossero grandi esperti di politica, salvo poi fare scivoloni incredibili come la famosa foto con Luciano Benetton e Oliviero Toscani. Caduti quasi nel dimenticatoio sono stati recentemente riesumati, guarda tu un po’ il caso, da Lilli Gruber in una puntata di Otto e mezzo. Ci si sta preparando per il dopo-Coronavirus. Ce ne sarà bisogno, visto l’andazzo soprattutto economico che sta prendendo il nostro Paese a seguito delle decisioni a dir poco infauste dell’attuale Governo di Giuseppi. Piccola perla del Santori è stata l’ideona di una “patrimoniale orizzontale, garantita dal Governo”. Come dire: poche idee, ma confuse. Comunque l’idea di una patrimoniale è stata ritirata fuori anche da un altro paladino del neo-pensiero “de sinistra”, ossia il genio della gastro-filosofia italiana Oskar Farinetti (grande amico del leader maximo oramai in calo di consensi, ma grande stratega politico, Matteo Renzi).
Riassumendo hanno forgiato individui dalla psiche fragile (molti giovani sono costretti a far ricorso a cure psicoterapeutiche), poco avvezzi a  problematizzare la realtà e a cui hanno messo in mano un telefonino (a dire il vero ce lo hanno messo in mano a tutti), attraverso il quale inviano quotidianamente impulsi che dirigono verso determinate direzioni. Un gigantesco test di pavloviana memoria.  
Insomma un bel quadretto quello che viene fuori da una disamina della generazione che dovrebbe guidare il nostro mondo in questo periodo di pandemie, finte o meno. La lancia che all’inizio ho detto che mi sento di spezzare nei confronti di questi giovani non è in effetti indirizzata nei confronti della maggioranza, semmai nei confronti di una piccola minoranza che ne fa parte e che qualche sforzo di comprensione della realtà che la circonda, al di là della messa cantata e dei piatti pronti facili che le hanno apparecchiato, lo fa. Cerca di farlo, anche se spesso (ma non sempre) non è in possesso di tutti i mezzi culturali adatti. Sono persone che quantomeno si sforzano di vedere al di là dell’ovvio, non accontentandosi della narrazione mainstream e del relativo bombardamento a cui sono sottoposte quotidianamente. Hanno curiosità, cercano. Anche di vedere l’altra faccia della Luna. Sono la sola speranza che ci rimane.


L’altra faccia della Luna




Il lavoro al tempo del Coronavirus

Il lavoro al tempo del Coronavirus

Allora, riassumendo: il Coronavirus, il Covid-19, è stato ufficialmente riconosciuto (l’11 marzo) come pandemico dall’Organizzazione mondiale della Sanità (OMS), quindi ora è allarme ovunque, Stati Uniti compresi. In Germania aumentano i casi di contagio “ufficiali” (al momento in cui scrivo siamo oltre i 29mila casi), come in Francia e negli altri Stati europei. Ma indubbiamente il Paese più colpito, almeno finora, è il nostro. E la compassionevole presidentessa della Commissione Europea, Ursula Gertrud von der Leyen, in un forzato italiano (due parole, seguite dall’inglese) ha espresso il 12 marzo scorso tutta la sua (e quella dell’Europa) solidarietà per le nostre sofferenze dicendo che la UE avrebbe fatto di tutto per supportare l’Italia. “Ma che belle parole, signora mia”, avrebbe detto Luciano Rispoli. Peccato, però, che subito dopo (stesso giorno) ci sia arrivata una mazzata di multa da pagare subito da 7,5milioni di euro per quelli che sono stati considerati come “aiuti” di Stato dati agli albergatori sardi nel 2008 per supportarne la crisi. A questi vanno aggiunti L’Ue multa l’Italia: 7,5 milioni per gli aiuti agli alberghi sardi
80mila euro al giorno, finché non verrà recuperato l’intero ammontare dei fondi “illegalmente” assegnati agli albergatori. Per la precisione l’Italia sarebbe rea di non aver recuperato interamente i L’Ue multa l’Italia: 7,5 milioni per gli aiuti agli alberghi sardi
13,7milioni all’epoca erogati e che sarebbero dovuti rientrare totalmente attraverso il pagamento effettuato dagli imprenditori alberghieri. Stiamo parlando fino allo scorso anno, per capirci, dell’89 per cento dell’importo totale in conto capitale recuperato (ossia l’83 per cento di tale importo maggiorato degli interessi). Quel che mancava all’appello dei severi giudici europei erano circa 2milioni, e per questo gli è parso giusto appiopparci una multa di 7,5. L’Europa.

La BCE

Poi c’è stata (sempre lo stesso giorno) l'”opportuna”, e non certamente casuale, uscita di madame Lagarde, la prestanome al vertice della BCE, la quale ha dichiarato candidamente: «Non siamo qui per chiudere gli spread, ci sono altri strumenti e altri attori per gestire quelle questioni» (Federico Fubini sul Corriere della Sera sostiene che si sia limitata a ripetere le parole della tedesca Isabel Schnabel, facente parte del board della Banca Centrale Europea). In realtà tale frase ricalca a pieno quello che è il compito della BCE, ossia fare gli interessi di una banca privata i cui componenti sono una élite intoccabile giuridicamente e non imputabili a seguito delle proprie decisioni. Gli interessi portati avanti sono chiaramente quelli tedeschi, e segnatamente quelli voluti dal Jens Weidemann, il governatore della Bundesbank. Fatto sta che le dichiarazioni della signora francese hanno causato un crollo delle Borse, e la nostra ha subito le più gravi perdite con quasi 17 punti percentuali (per capirci una perdita di70miliardi di euro), salvo poi “scusarsi” due giorni dopo a seguito della valanga di critiche ricevute da ognidove. Poi, il 18 notte la decisione di fronteggiare la crisi del Coronavirus con 750milardi di euro pompati nell’economia europea (tra l’altro facendo naufragare l’intenzione del Governo di Giuseppi & Co. di chiedere l’intervento del MES). La cosa curiosa è che abbia dichiarato che la BCE comprerà titoli di Stato “finché non giudicherà che la crisi del Covid-19 sia finita, ma in ogni caso non terminerà prima di fine anno”. Già, come fa a sapere madame Lagarde che la crisi innescata dal virus si protrarrà fino a fine anno?
Intanto la Germania sta progressivamente preparandosi alla “grande fuga”. Ha deciso di riportare in Patria tutte quelle produzioni per essa essenziali che erano state finora date agli apparati produttivi esteri, ad iniziare da quelli cinesi. Sta inoltre, cosa per la nostra economia disastrosa, cercando di portare le produzioni della componentistica necessaria alle industrie (soprattutto quella dell’automobile) che viene fatta nel Nord Italia in Germania.

Piccola digressione su Greta 
Greta, ve la ricordate? E come dimenticarla visto che è stata da pochissimo ricevuta in pompa magna e con un sorriso a 32 denti dalla Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen (il 4 di marzo). Annunciato un piano che prevede entro il 2050 di passare al “green“. Docici Paesi hanno chiesto che si vada ancora più in fretta. Già, la fretta. Soprattutto quella delle multinazionali che producono questo “green”. Avete visto come l’Ambiente si è rigenerato durante questo periodo di sosta “forzata”? L’inquinamento è calato e la natura è tornata a prendere il sopravvento. Quindi la strada giusta è questa. Greta aveva ragione. Capita l’antifona? Piccolo particolare è che l’industria del “green”, nella stragrande maggioranza dei casi, inquina più di quella “classica”. Un esempio? Le batterie per auto elettriche. Per smaltirle si consuma più CO2 di quella prodotta da un normale motore a scoppio. Considerando che la crisi economica derivante da questo periodo di inattività falcidierà una miriade di piccole e medie aziende (l’Italia sta messa malissimo, essendo le nostre addirittura in maggioranza “micro” imprese, ossia con meno di 200 dipendenti), indovinate un po’ chi avrà tutti i benefici economici derivanti dalla produzione industriale?

Il virus nel Nord-Italia 
La parte più produttiva del nostro disgraziato Paese è il Nord, si sa. Ed è anche quella più colpita dalla virulenza del Covid-19. Un caso? Può essere. O anche no. C’è chi ipotizza che quello che ha colpito il Nord d’Italia sia un ceppo completamente differente da quello che si è diffuso in altre parti del Paese o nel resto d’Europa. A supporlo è il dottor Wayne Marasco, della Harvard Medical School. A riferirlo è Paolo Barnard in una serie di tweet che ha pubblicato sul suo profilo (dopo lunga assenza). Sembrerebbe che questa variante del virus sia molto più virulenta e con effetti molto più aggressivi rispetto alle altre. E qualche domandina hanno iniziato a farsela anche altri.
Tralascio in questa sede di parlare più ampiamente del fatto che i dati sulla diffusione del virus e del calcolo dei morti dato dai media nostrani è quantomeno singolare. Invece di guardare quelli ufficiali dell’Istituto Superiore di Sanità si sparano cifre di tutti i tipi. 

Bazooka, annunci e armi di distrazione di massa
Come ha giustamente osservato il senatore Bagnai, ogni qual volta si parla in economia di interventi delle banche centrali o dei governi che decidono di immettere denaro nel sistema produttivo dei vari Paesi si usa il termine “bazooka“. Evidentemente la similitudine con le armi affascina il mondo giornalistico in modo particolare. E allora ecco che si parla del bazooka messo in atto dalla Lagarde, i tardivi 750miliardi di cui sopra, o i circa 550miliardi (espandibili fino a 1.000) messi in campo dalla Germania attraverso il KfW (Kreditanstalt für Wiederaufbau, ossia l’lstituto di Credito per la Ricostruzione, creato nel 1948 a seguito del piano Marshal e il cui capitale è detenuto all’80 per cento dal Governo federale e per il restante 20 dai singoli Länder). Stessa operazione quest’ultima fatta dalla Francia attraverso la Banque publique d’investissement che è una joint venture di due entità pubbliche: la “Caisse des dépôts et consignations” e “EPIC BPI-Groupe”. Solo noi non finanziamo le nostre imprese attraverso la Cassa Depositi e Prestiti, e non se ne capisce la ragione. O forse no, si capisce benissimo.
Fatto sta che il bazookino messo in campo dal nostro Governo, i famosi 25miliardi, sono un po’ come uno stuzzichino che fa da antipasto. Soprattutto considerato il fatto che l’Italia è (o meglio era) un Paese che macina circa 120-130miliardi di euro al mese di PIL. Stare fermi o quasi per uno o più mesi vuol dire un autentico disastro economico. Ma ecco i paladini dell’Europa ad ogni costo, i difensori dell’austerità e del “ce lo chiede l’Europa” che si sono fatti prontamente avanti con la richiesta non avallata dal Parlamento, come sarebbe dovuto avvenire, dell’intervento del MES (il Meccanismo Europeo di Stabilità), vero cavallo di Troia per la Troika e la fine definitiva stile Grecia. Senza tenere conto che i soldi che sarebbero necessari all’Italia il MES attualmente non li ha. Sono soldi che i singoli Paesi “volontariamente” mettono da parte per casi in cui l’economia di qualche membro dell’Unione ne avesse urgentemente bisogno. Ovviamente previo una “revisione” dei propri conti. Ebbene il capitale attuale del MES è di circa 80miliardi, di cui 14 nostri. Direi dunque una pistola, più che un bazooka. A consigliare caldamente l’Italia ad accettare gli “aiuti” del MES c’è Lars Feld, uno dei cinque consiglieri economici della Cancelliera, il quale s’è espresso (ma tu guarda un po’ il caso) in tal senso in un’intervista rilasciata recentemente alla FAZ.
Rimane comunque la gravità dello scavallamento della volontà parlamentare operata dal premier, lo stesso Giuseppi che si sta attribuendo poteri da ducetto approfittando della situazione drammatica. A tale proposito interessante è l’articolo di Andrea Pruiti Ciarello sul sito della Fondazione Einaudi.
Tornando un attimo agli “aiuti” messi in campo dal nostro Governo, sono previsti 300milioni per aiutare le “partite IVA”.  Visto che si vogliono dare 600 euro, una tantum, a ciascuno, vorrebbe dire circa 500mila partite Iva. Peccato che in Italia quelle attive su 6milioni e mezzo siano circa 5milioni. I conti non tornano. Nella sola città di Berlino sono stati preventivati aiuti per 300milioni per i lavoratori autonomi, che potranno arrivare fino a 500milioni. Poi viene da chiedersi come si sosterranno, da noi e altrove, quanti lavorano in nero, che magari riescono a racimolare un migliaio di euro al mese, riuscendo così ad andare avanti. Inoltre ricordo a noi tutti che qualsiasi agevolazione sia messa in campo, in Italia come in Germania o ovunque, si tratta sempre di prestiti o rimandi di pagamento di imposte. I prestiti andranno comunque restituiti (finanziamenti a debito, come la nostra cara moneta) e le imposte andranno pagate comunque, magari proprio anche con quegli stessi prestiti. Quando decideremo di uscire dalla gabbia dell’Euro (ovviamente non lo faremo mai) ed inizieremo di nuovo a battere moneta sarà sempre troppo tardi.
Comunque andrà a finire e quando, questo evento è senz’altro la causa di un cambiamento epocale. Una vera e propria terza guerra mondiale, anzi proprio globale e nulla sarà mai più come prima. Che ci piaccia o no.


Poi            “

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L’Italia al tempo del colera

L’Italia al tempo del colera

Noi italiani siamo uno splendido esempio di esperimento sociale. Siamo diventati sempre più, col passare del tempo e complici i media, un popolo di senza cervello, che risponde istintivamente agli stimoli, qualunque siano e da qualunque parte provengano. Non mi riferisco al Coronavirus, il Covid-19, l’ultima “peste” diffusa nel mondo come perfetto esperimento sociale, ma alla miriade di stimoli che ci vengono quotidianamente propinati che vanno dalle mode più stupide, alle campagne “contro l’odio”, all’anti “fascismo” o al martellamento sui social media di notizie di ogni genere. Come il famoso esperimento di Pavlov rispondiamo prontamente, sbavando, insultandoci fra di noi, fra fazioni diverse. Perché l’italiota è tifoso per antonomasia, ovviamente.
Le ultime disposizioni prese dal Governo di Giuseppi in merito al contenimento della diffusione del virus (non parlerò qui di come secondo me sia nato e si sia diffuso) con apposito Dcpm (9 marzo) prevedono azioni da tempi di guerra: divieto di spostamento se non per comprovati motivi quali quelli di lavoro, sanitari o per esigenze sanitarie (bisogna compilare apposito modulo con un’auto-certificazione); divieto assoluto, che non ammette eccezioni, è previsto per le persone sottoposte alla misura della quarantena o che sono risultate positive al virus; controlli in autostrade, sui treni e negli aeroporti. La sanzione per chi viola le limitazioni agli spostamenti è l’arresto fino a 3 mesi o multa fino 206 euro (articolo 650 del Codice penale); nei casi più gravi si applica l’articolo 452 del Codice penale (delitti colposi contro la salute pubblica). Inoltre le misure prevedono lo stop di 2 mesi delle attività dei tribunali, potenziamento del SSN e requisizione da parte della Protezione civile di ospedali, hotel, alberghi e mezzi. Un bollettino di guerra in pratica.
Non c’è altra nazione al mondo (se non la Cina, dove notoriamente il sistema sociale è ben differente) in cui si sono messe in atto misure del genere. Forse Francia, Germania o Spagna, per rimanere in Europa, non hanno lo stesso problema? Certo che sì. Viene volutamente tenuto sottotono. E questo al di là del fatto che il virus sia veramente così pericoloso o meno. Visto che un vaccino non c’è (in realtà c’è benissimo, solo che non viene per ovvi motivi reso disponibile, ma questo è un altro discorso perché io sono un noto complottista) non si può far altro che adottare comuni misure di igiene personale e rafforzamento delle difese immunitarie dell’organismo. Lavarsi bene le mani, il viso e gli occhiali (se li si porta), prendere vitamine quali la C e la D e evitare di dare la mano alle persone o salutarsi con baci. Per il resto non si può fare altro. 
Dunque, tornando a noi, l’Italia è la sola nazione che abbia adottato misure del genere e non perché, come ce la raccontano siamo “più responsabili” degli altri, bensì perché siamo i soli disposti a farlo. I nostri “non” politici, al servizio delle élite finanziarie mondiali, emettono norme ad uso e consumo di un grande esperimento sociale e noi italioti obbediamo senza pensarci su. Questo perché siamo tutti tecnici di calcio quando si tratta di sparare cavolate, ma ci affidiamo ai “competenti” quando si parla di cose serie dove dovremmo capire cosa vada effettivamente fatto o meno. 

Quello che non ci dicono, i cosiddetti esperti, che per far fronte in minima parte all’inevitabile disastro economico che si sta preparando (non ne usciremo vivi) il Governo di Giuseppi si appresta a comunicare a Bruxelles (la nostra mamma amorevole) uno sforamento di bilancio di 7,5miliardi (tanto per iniziare) che ci verranno concessi in via eccezionale salvo poi accettare “obbligatoriamente” il MES, ovvero la confisca forzosa dei nostri beni. E sarà magicamente Grecia. Benvenuti in Europa, la mecca delle nuove generazioni cresciute nel mito dell’Erasmus e dei confini “aperti”!

(L’unico lucido è Sgarbi)

 

 

 

 

La vita ai tempi dell’odio

La vita ai tempi dell’odio

Ci sono momenti nella vita in cui si avverte chiaramente di essere giunti ad un capolinea. Direi che questo è uno di quelli. E non mi riferisco solamente alla mia personale di storia, che tutto sommato è abbastanza insignificante nell’economia del mondo, ma a quella di un’epoca storica. Quella che stiamo vivendo è un’epoca che somiglia molto alla sceneggiatura di uno di quei film di fantascienza americani in cui l’umanità è dominata da un gruppo ristretto di individui che vivono protetti in luoghi agli altri inaccessibili, e che sfruttano tutti gli altri per mantenere il loro potere. E’ questo che sta accadendo, che hanno reso reale con una lunga preparazione e che ha subito una potentissima accelerata con la caduta del Muro di Berlino.
La storia è complessa e semplice nel contempo. Noi tutti, il popolo, questo termine che oramai nel linguaggio comune ha preso (non a caso) un’accezione dispregiativa, ci siamo come addormentati, imbabolati dal vortice rapido degli avvenimenti. La preparazione era stata lunga e meticolosa, ma noi non ce ne siamo accorti. Hanno agito su più fronti. E lo hanno fatto da anni. Hanno creato le basi per la caduta del Muro, anche grazie ad una serie di eventi ben architettati e fatti passare come un caso del destino, come la morte di Papa Luciani e l’elezione di Wojtyla. Nel frattempo avevano “allevato” una classe dirigente che aveva studiato nelle loro Università, nelle loro istituzioni, nei loro Think Tank, ossia i loro “serbatoi di pensiero”. Poi è stata la volta, da noi dell’eliminazione completa di una classe politica sì corrotta, ma scomoda perché non allineata al neo-pensiero liberista, e a livello internazionale la creazione del progetto europeo, cornice entro la quale la moneta unica ha rappresentato un vero e proprio metodo di governo, senza neanche il bisogno di provocare rivoluzioni o guerre.
Hanno lavorato bene, non c’è che dire. E mentre loro lavoravano, creando le nuove generazioni, i “millenial” prima (quelli che sono nati negli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso), cresciuti con il mito dell’Erasmus, e i nuovi giovani apolidi, asessuati, apolitici (se non per ciò che gli viene propinato ad hoc sui social media e sugli organi di regime) e facilmente manipolabili, noi, quelli della mia generazione o di quelle precedenti, o combattevamo, nell’illusoria convinzione di riuscire a “farcela”, per il nostro incerto futuro, oppure ci adeguavamo all’aria che tirava diventando, più o meno in modo cosciente, complici del sistema stesso.
La corda è stata tirata a lungo. Troppo a lungo. Tanto che una parte dei “signori del mondo” si è accorta che così non poteva andare ancora a lungo, per sfinimento totale degli sfruttati, e ha deciso di iniziare un’azione di condizionamento contraria alla prima. A scanso di equivoci, non perché facciano parte dell’armata del bene, per così dire, ma perché si sono resi conto che la corda si sta spezzando irrimediabilmente.
Quella che stiamo vivendo sulla nostra pelle è una vera e propria guerra, fatta ai piani alti, tra NWO1 e NWO2. Ma attenzione, in ciò non c’è nulla di complottistico (altro termine usato da quella che giustamente Diego Fusaro chiama la neo-lingua), bensì uno svolgimento di fatti che i più semplicemente non riescono neanche a vedere, perché realizzati ad un livello superiore a quello dei bisogni medi della gente, troppo occupata a portare a casa il pranzo con la cena. Lo scontro in atto è su tutti i livelli: politico, commerciale, sociale, comunicativo… Da entrambi gli schieramenti si creano gruppi di influenza, senza esclusione di colpi. Nella narrazione comune (che è quella dei vincitori del primo e finora unico round) il NWO1 sarebbe il difensore dei valori della democrazia. Bene, se non fosse che in realtà è solo un simulacro di quello che si dice che sia. Hanno creato un vero e proprio esercito di utili idioti (da una parte e dall’altra) che sono funzionali a questo scontro e che prendono le briciole che gli lasciano cadere in terra, pensando di essere in realtà loro dei grandi cacciatori. Hanno fatto sì che la società sia permeata di questi “falsi” valori, facendoli passare per “il solo dei mondi possibili”, dove noi tutti dobbiamo girare come formichine impazzite alla ricerca di non si sa bene cosa.
In tutto questo bailamme, dove appunto i valori sono liquidi e i punti di riferimento sono del tutto incerti, il rischio di essere passati per fautori dell’una o dell’altra parte, se in realtà si cerca di essere solo se stessi e di ragionare con la propria testa, è altissimo. Proprio per questa ragione sono stati creati tutta una serie di mantra, quali l’etichetta di “fascista”, “populista”, “nazionalista”, “sovranista” e via discorrendo, sovvertendone il significato originario e che altro non sono che specchietti per le allodole degli allocchi che si lasciano abbindolare da tali stigmatizzazioni. In questo contesto è evidente che, anche se vengono portati avanti ragionamenti giusti, che tendono a non relativizzare tutto e a rendere la società e le menti liquide, vengono fatti passare come cose negative, senza dare la possibilità del ragionamento articolato su quanto sostenuto. Quindi, se il Salvini o il Trump di turno dice una cosa che in altri tempi sarebbe stata considerata normale e di buon senso viene subito bollato con un epiteto a scelta fra quelli prediletti dalla neo-lingua. Dall’altra parte, nel contempo, il rischio di lasciarsi andare a facili arruolamenti (questi sì neo-fascisti o similari) è forte (e voluto, almeno in parte), perché fa leva sugli istitnti più bassi del popolo che è sfiancato da anni di soprusi e martellamento continuo, tenuto sotto il piede di chi lo vuole schiavo. Questo avviene ovunque nel mondo, non solo da noi in Italia. Avviene negli Stati Uniti, avviene in Germania, in Francia, in Cile, in Spagna e così via. E’ sempre il frutto del medesimo scontro di poteri e a farne le spese è sempre il popolo, comunque sia stato formato, comunque la pensi, comunque si comporti.
Io sono fortemente pessimista. Anche a voler aderire (solo per far argine ad una deriva che dura da troppi anni) al secondo schieramento (che è esattamente come il primo, dal mio punto di vista) ritengo che sia tardi per chiunque. E’ da troppo tempo che i neo-liberisti hanno in mano il destino del mondo ed hanno preso un vantaggio, secondo me, incolmabile. Spero di sbagliarmi, ma la reazione che c’è stata da parte dell’altro gruppo di potere è stata troppo tardiva e non hanno modo di vincere la guerra. I soli che potrebbero sconfiggere entrambi gli schieramenti sono gli sfruttati, cioé il popolo. Ma non hanno i mezzi per farlo, né culturali, né materiali. Perché sopravvivere e vedere l’alba del giorno dopo costa, e pure caro. L’hanno creato così questo sistema. Pertanto, o la gente si sveglierà capendo cosa sta realmente succedendo, oppure gli incubi di Orwell e Aldous saranno solo il preambolo di una fine senza fondo.
 
 
Greta, i gretini e anche un po’ verdini

Greta, i gretini e anche un po’ verdini

Da buon complottista quale sono mi sto divertendo da matti a vedere in questo periodo come si stanno muovendo gli attori internazionali (leggi massoneria, quella pesante) in Europa. Speculazioni finanziarie a parte che ci sono dietro il fenomeno Greta (mai perdere un’occasione per fare altri soldi), è un meraviglioso piano architettato per: 1) togliere voti ai cosiddetti sovranisti (che sono supportati da quell’altro gruppo, a scanso di equivoci); 2) far salire nei consensi il partito che deve prendere il posto delle socialdemocrazie (soprattutto in Germania), ossia i Verdi, il partito giovane che piace tanto ai giooovaaaniiii. Di qui l’operazione Greta (sfruttata, che da grande si troverà un bel gruzzoletto), la ragazzina con sindrome di Asperger, che si fa ricevere dai grandi della terra (tutti globalisti, guarda caso) che, a loro volta, sono ben felici di sentirsi dire che non fanno niente per il clima e bla, bla, bla, bla…
Bellissimo tutto ciò. Un teatrino degno del miglior sceneggiatore. Già, perché di sceneggiatori ne hanno di bravi (a dire il vero non sempre, ma in questo caso sì). Per non parlare del “clima” pazzo che imperversa in questo periodo. Casualmente! Ma si sa, io so’ complottista. Quindi leggi scemo.
 
 
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