Parigi val bene un “mi piace”

Parigi val bene un “mi piace”

Sono sempre stato controcorrente, ma non per partito preso. Bensì solo quando ce n’è stato bisogno. Quando penso che una cosa non sia vera, non mi adeguo al coro dei più. Sono perfettamente cosciente che per questo si debba pagare un prezzo: nel migliore dei casi si è semplicemente ignorati, come se si fosse trasparenti ed irrilevanti, nel peggiore si è tacciati di aver commesso chissà quale peccato, di essere cinici, di pensare di sapere tutto e di aver capito tutto, di credere di essere “il solo intelligente, mentre tutti gli altri sono cretini”. Me ne sono fatto una ragione nel corso degli anni, ci ho convissuto e continuo e continuerò a farlo. Pazienza. Un mio amico, a chi gli diceva di avere un “brutto carattere” rispondeva di “averne uno”. Stessa cosa: avere una propria opinione, non vuol dire voler avere ragione a prescindere, bensì semplicemente ragionare con la propria testa. Cosa questa che non vuol certamente dire che si debba sempre aver ragione su tutto. Per carità: tutti possono sbagliare, ed io per primo. Ma se c’è una cosa che mi manda in bestia è proprio il fatto che esprimere la propria opinione liberamente sia automaticamente sinonimo di polemicità a tutti i costi. Forse sarò anche polemico se con questo s’intende che non lascio cadere le cose che a mio parere sono fondamentali, ma trovo che stia a chi critica il mio atteggiamento provare che il mio comportamento non sia coerente e conseguenziale al pensiero che muove le mie convinzioni.
Tutto questo per dire che sì, penso che l’attentato di Parigi sia tutta una cosa organizzata, che dietro ci siano interessi dei soliti che muovono le cose del mondo, che seppure i “terroristi” fossero stati arabi (è come dire, chessò, europei, o nordamericani) erano stati instradati, se non preparati, da servizi occidentali e che tutta la commozione indotta nella gente per questo esecrabile gesto mi disgusta. Mi disgusta perché trovo che sia ad un tempo falsa, proprio perché indotta da piani molto ben preparati, sia perché trovo decisamente ipocrita l’atteggiamento della gente di ogni nazionalità del mondo “occidenttale” di sentirsi profondamente “indignata” e “vicina” ai morti di Parigi, per lo più attraverso manifestazioni idiote, quali quelle che si vedono a centinaia su Fb o Twitter (cambi d’immagine, bandiere francesi sulla propria foto, ecc.). Tutto questo senza aver mai manifestato la stessa “vicinanza” alle decina di migliaia di morti che ci sono finora stati proprio in quegli stessi Paesi che si indicano come la causa e nel contempo la fonte da cui proviene tutto il “male” che avrebbe invaso l’Occidente. Niente sdegno e cambi d’immagine per le stragi che da anni ci sono di palestinesi, curdi, libanesi e chi più ne ha più ne metta. Quelli sono morti di seconda categoria, morti per cui non vale la pena indignarsi e scrivere frasi idiote od ipocrite sulla proprie bacheche elettroniche (cosa questa che per giunta non costa affatto fatica, se non quella di dover trovare la frase ad effetto più cretina possibile con cui ricevere un “mi piace” dagli altri ebeti che leggono e partecipano a questo enorme circo mediatico doloroso). No, in questo senso (e spero che sia stato compreso, visto che in realtà la amo tantissimo) je ne suis pas Paris! 
Parata

Parata

Ci risiamo. Un altro capitolo della terza guerra mondiale in atto, quella di cui non ci siamo accorti che è in pieno svolgimento, è stato portato a termine a Parigi per la seconda volta in meno di un anno. Circa 160 i morti. Atto esecrabile al pari degli altri, ma che tuttavia non ci esime dal ragionare su cosa stia accadendo (peraltro ricordo a me stesso che centinaia e centinaia di morti rimangono a terra, su questo vastistissimo campo di battaglia senza confini chiari, ogni giorno da altre parti del mondo. E non fanno così clamore per noi, proprio perché distanti).
Fino a qualche mese fa i profughi erano un problema a quasi totale carico dell’Italia e della Grecia in Europa. Essendo, noi in particolare, una sorta di “portaerei naturale” piazzata al centro del Mediterraneo, il mare nostrum. Nessuno li voleva, neanche la “buona” mamma Merkel. Poi, all’improvviso, il miracolo: tutti si accorgevano che era necessario far qualcosa ed accoglierli. Un po’ anche per convenienza economica (nel caso della Germania, per via della sua carenza di manodopera atta a mantenere il suo welfare. Anche se su questo pure ci sarebbe da discutere, visto che di manodopera ne arriva tanta in Germania, anche dall’Est. Ed è altrettanto, se non di più qualificata di quella siriana. Oppure dal Sud d’Europa, Italia compresa). Dunque apertura improvvisa delle frontiere, tutti d’un colpo, tutti assieme. E tutti a lodare mamma Merkel per questo suo gesto di “generosità”.
Il sospetto che un ordine dall’alto sia arrivato direi che è più che un’ipotesi. Già, ma perché? Beh, perché quando si ha una strategia globale i pezzi del puzzle sono molti e le pedine vanno mosse in ordine (tranne quando c’è un Putin di mezzo che si mette in testa di giocare, almeno in parte, a modo suo). Dunque, tornando a noi e a questa ipotesi un po’ strampalata, direi che uno prima fa entrare un bel po’ di “arabi” nel cuore dell’Europa (che intanto è già stata massacrata a sufficienza con altri attentati e la peggiore crisi economica dall’inizio del secolo scorso in avanti), poi instilli nella gente la convinzione, anche giustificata dai fatti (pur se manipolati ad arte), che sono proprio gli arabi i cattivoni di turno da cui guardarsi. Con una fava due piccioni. Si continua a destabilizzare il vecchio continente, sempre più supino alle posizione politiche che gli vengono imposte “con le buone” dall’esterno (o interno, vista la composiizone di chi gliele impone), dall’altra fomenti l’odio nei confronti del nemico arabo, quello che fa stragi e mette le bombe. Sarebbe utile ogni tanto leggersi qualche analisi di politica internazionale, tipo questa o questa per avere un quadro un po’ più ampio della questione. Ciò, ovviamente, non esclude il fatto che oltre quelli “preparati” dai servizi segreti “occidentali” ci possano essere terroristi genuini, quelli per intenderci che, esasperati da tutto il contesto, da buoni fanatici integralisti (chi li alleverà mai questi fanatici integralisti, poi? Peccato non ci siano le faccine qui sul blog, altrimenti avrei messa quella del sarcasmo) si fanno veramente esplodere o compiono attentati in “Occidente” in nome di Allah.
La Germania ha così scoperto, all’improvviso, che aprire le frontiere non è stato poi così intelligente, visto il pericolo di infiltrazioni terroristiche. I servizi segreti tedeschi si sono scoperti improvvisamente “intelligence” e così stanno provando, quelli del Governo, a fare marcia indietro. Arichiudi, o meglio, “regolamenta” il flusso dei profughi, tenta di far mettere attorno ad un tavolo di pace siriani, russi, tedeschi, iraniani, francesi e chi più ne ha più ne metta. Sobbarcati le lamentele interne e la gran voglia di chi non aspettava altro che un passo falso della buona Mutti Merkel per farla finalmente fuori, dopo 10 anni di regno incontrastato. Adesso prepara un piano B, dopo l’attentato di Parigi. Vallo a spiegare al cittadino medio che deve sentirsi sicuro con decine di migliaia di profughi fuori dalla propria finestra. Insomma gran casino.
E a Parigi? A cosa assisteremo ora? Ovviamente al giusto cordoglio, quello sì autentico, delle persone che scenderanno in piazza per ricordare le vittime, ma poi ci sarà la solita parata di facciata con tutte le facce di bronzo, Hollande in testa, che marceranno “unite” a favore di telecamere ed obiettivi per dirsi pronti all’ennesima crociata contro il nemico dell’Occidente. E la guerra continua. Senza che ci sia mai stata la sua dichiarazione, ovviamente.

Una mera espressione geografica

Una mera espressione geografica

La famosa e controversa frase attribuita a Klemens Wenzel Nepomuk Lothar von Metternich-Winneburg-Beilstein, ovvero al famoso Cancelliere austriaco, secondo cui l’Italia non sarebbe stata “nicht mehr als ein geografischer Begriff”, cioè “nient’altro che una mera espressione geografica” è, ahimè, profondamente vera.
Cerco di spiegarmi meglio. Noi tutti a scuola abbiamo imparato la Storia, studiando sui libri di testo che ci venivano proposti dagli insegnanti che man mano ci siamo trovati dinnanzi, e che hanno contribuito a formarci secondo regole più o meno convenzionali, le stesse regole su cui loro, a loro volta, erano stati formati da altri. Ero ingenuo, allora. E’ stato solo con il periodo universitario che scopersi, con mio sommo stupore, che la Storia, effettivamente, è fatta secondo i dettami dei vincitori. Dunque tutto da rifare, tutto da riconsiderare, ed ecco che all’improvviso Camillo Benso, conte di Cavour non era più quel fine stratega che era riuscito a riunificare l’Italia, facendola in barba ai cattivi austriaci, bensì un astuto ladro per conto della squattrinata monarchia dei Savoia che, per così dire, era andato a fare la spesa a casa altrui, nel caso particolare in quella di Francesco II, giovane erede di un trono molto ricco e di uno Stato fra i più avanzati d’Europa, ovvero il Regno delle due Sicilie, tramite il buon Garibaldi.
In realtà mi sbagliavo anche in questo caso, o meglio, vedevo solo una parte della faccenda. Già perché l’altra parte è quella che abitualmente non ci viene raccontata e cioé del ruolo avuto in tutto ciò dalla Gran Bretagna e dai potenti banchieri Rothschild, con il loro ramo londinese e quello parigino, dove il buon Cavour si recò per la sua formazione fin da giovane. Non a caso i Savoia erano fortemente indebitati con i Rothschild per l’appunto. Se a questo aggiungiamo le due belle navi da guerra al largo di Marsala, allorquando i Mille sbarcarono, mi sembra evidente che qualche domanda occorrerebbe farsela se effettivamente la Storia, quella con la “s” maiuscola sia effettivamente andata come siamo abituati a studiarla.
Ma questa è una lunga storia e molto altro ci sarebbe da dire sul ruolo della Gran Bretagna nella storia italiana, fino ai giorni nostri ininterrottamente. Si aggiunsero successivamente gli americani. La Chiesa c’era già.
Ma cambiamo scenario e passiamo ai giorni nostri. La Siria, nuovo campo di battaglia internazionale dove stanno avvenendo cose che riguardano un quadro politico molto più vasto. Qui si fronteggiano le nuove potenze “padrone” del mondo. Da un lato la Russia, dall’altro gli Stati Uniti. Intorno la Germania, la Francia, la Cina e, ovviamente, la Gran Bretagna. Frank-Walter Steinmeier, Ministro degli Esteri tedesco, si propone di organizzare un vertice tra grandi potenze per negoziare la pace. La Germania cerca di “fuggire” dalla situazione siriana. Già, perché in realtà c’era molto invischiata, fin dal 2012 quando il Ministro delle Finanze, Wolfgang Schäuble, creò un segretariato permanente, dotato di un budget di 600.000 euro, per gestire il saccheggio degli idrocarburi della Siria (che si pensava fosse alla fine del suo Governo) che affidò a Gunnar Wälzholz, che aveva già prestato servizio in modo identico ai danni dell’Afghanistan.
Ma a cosa è dovuto questo cambiamento? E’ dovuto a un riavvicinamento tanto atteso – e tanto temuto da Washington – tra Berlino e Mosca.Questa evoluzione può essere spiegata al pubblico in occasione della crisi dei migranti. Preparata con un anno di anticipo, su richiesta del capo della Confindustria, Ulrich Grillo, ed eseguita dal presidente turco Recep Tayyip Erdoğan, dall’Alto Commissario per i Rifugiati, António Guterres, e dallo speculatore George Soros, ha fatto sì che centinaia di migliaia di persone abbiano attraversato i Balcani per andare a lavorare a prezzi più bassi in Germania. Ora i tedeschi temono l’infiltrazione di jihadisti fra i profughi e vorrebbero arrivare ad una pace attorno ad un tavolo, magari anche con l’Iran.
La situazione è liquida, nel senso che alcune cose sfuggono anche a chi ha programmato tutto ciò e le strategie si rimodellano man mano che gli eventi prendono forme non proprio previste almeno all’inizio. In particolare, poi, in medioriente la situazione è assai complessa, con una maggioranza sunnita che si contrappone agli sciiti iraniani, piuttosto che alla minoranza alauita di Bashar Hafiz al-Asad.
In fin dei conti, noi come loro, i Siriani, siamo solo una mera espressione geografica.

 

Il battito d’ali della farfalla

Il battito d’ali della farfalla

Personalmente non sono di quelli che pensa alla Germania odierna come al 4° Reich. Ciò che ritengo però è che la Germania abbia grandi colpe nei confronti dell’Europa e non solo, per il semplice fatto che è la sola nazione europea in grado di opporsi al corso degli eventi che sono in atto in Europa. La storia dei profughi, tanto sbandierata ovunque nel mondo, è solo l’ennesimo specchietto per le allodole messo lì a bella posta da chi sta causando tutto questo. Messo lì a bella posta nel senso che è stato fortemente voluto (ho già spiegato in questo blog perché) e tutti, sottolineo tutti i “governanti” europei (eccezion fatta per i piccoli ex Paesi del blocco comunista) hanno risposto ovviamente in modo positivo a tale “ordine”. Mi viene da ridere quando vedo un Juncker bacchettare gli stati affinché si prendano la loro bella quota di migranti (lui che è una delle longae manus della Finanza internazionale). Io non sono populista, né tantomeno di destra (chi mi conosce sa bene che idee politiche ho, direi abbastanza “rivoluzionarie”), ma non ho i paraocchi e mi guardo attorno, al di fuori dei confini del mio sguardo, peraltro miope. Quello che vedo è un’Europa colonizzata dal suo interno, attraverso uomini, leggi ad hoc, dissoluzione di parte della sua forza economica (nei Paesi del Sud in primis), dissoluzione della sovranità nazionale attraverso lo smembramento dei diritti e delle carte costituzionali, imposizione di trattati economici attraverso la longa manus di Bruxelles (unione da operetta), nonché la continua vessazione da parte di quell’organismo artificiale imposto e pienamente accettato da tutti che è la BCE.
Il famoso adagio di Edward Norton Lorenz secondo cui, il matematico pioniere della teoria del caos, si chiedeva “può il battito delle ali di una farfalla in Brasile scatenare un tornado in Texas?” non può che trovare una risposta positiva, ai giorni nostri più che mai. Oggi le merci viaggiano come un tempo, anche se in minor tempo, ma i capitali si spostano istantaneamente, essendo solo numeri all’interno della memoria di computers. Basta spingere un bottone e intere fortune si spostano nel pianeta istantaneamente. Cosa c’entra la teoria della farfalla? C’entra, perché oggi per ottenere un effetto concreto da qualche parte nel mondo, basta minacciare lo spostamento di capitali (leggi spread e quant’altro) e se questo non bastasse si danno spinte concrete, attraverso Isis, migrazioni di massa (manodopera a basso costo e poco qualificata da noi, manodopera più qualificata in Germania), attentati fatti ogni tanto ad hoc. Cose così, fatte per dare una “spinta” verso determinate posizioni, accettate supinamente da tutti, Germania in testa. Secondo me la Germania le accetta per due motivi: il primo è che, comunque la si metta, rimane pur sempre una forza economica in grado di “galleggiare” entro certi limiti anche in questo sfacelo totale, la seconda per incapacità dei suoi leader politici d’avere una politica estera indipendente dai voleri americani in primis (ma non solo). Angela Merkel, ottimo cancelliere per il suo popolo, è un nano da un punto di vista politico internazionale. Mi chiedo se per incapacità intrinseca o se per qualcos’altro di più grave ed incofessabile. Schäuble, sul quale fino a poco tempo fa nutrivo dubbi se fosse in malafede o meno (premetto che è politico estremamente intelligente e dallo sguardo politico molto più “lungo” della Merkel che poco sopporta), ritengo sia in malafede (cioé, per capirci, della stessa parrocchia di Monti & Co.). E’ solo che è tedesco, quindi più determinato di altri e meno avvezzo a farsi teleguidare se ha una propria idea (per quanto conforme a quella del mainstream della finanza internazionale).
In conclusione, ora è il tempo dei “profughi” da guerre che nessuno vuole fermare perché fa comodo che ci siano. A questi aggiungiamo “le riforme necessarie”, il controllo maggiore a causa del “terrorismo”, i trattati internazionali (leggi Ttip) che bisogna accettare supinamente e la sempre più progressiva ebetizzazione del “pubblico mediatico” che “abbocca”, come si dice a Roma, ad ogni input che gli viene inviato, con un riflesso del tutto pavloviano ed il quadro è completo. O quasi. Vedrete che il prossimo passaggio sarà l’emigrazione in massa dei palestinesi, oltre ovviamente alla guerra a Bashar al Assad. Siamo in guerra. E da un pezzo per giunta. Il guaio è che non ce ne siamo ancora accorti, tranne per le macerie che di giorno in giorno si accumulano, perché da qualche parte il battito di ali di una “farfalla” spinge il vento verso di noi, e sulle quali, per quanto sono riusciti a farcele accettare, passeggiamo tranquillamente
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Profughi da noi stessi

Profughi da noi stessi

Sono impresse nella memoria di tutti noi le immagini del piccolo, presumibilmente siriano, riverso su una spiaggia turca, piuttosto che quelle dei poveri disgraziati morti per asfissia nel camion su territorio austriaco. Tragedie, entambe, forse evitabili, forse no. Chi può esserne certo? Sono immagini che hanno però il demerito di suscitare compassione e giudizi unanimi di condanna da parte dell’opinione pubblica solo perché avvengono ora, in una sonnacchiosa fine estate, quando le notizie per i media sono in calo e tutti sono “affamati” di qualcosa di cui parlare. Stesso effetto non lo ricordo, francamente, per le altrettanto povere vittime che ogni giorno, bambini inclusi, lasciano questa valle di lacrime in Palestina, piuttosto che in Iraq o Libia, piuttosto che Tunisia o Afganistan. I morti sono tutti uguali, ma per noi alcuni lo sono più di altri perché li vediamo, quando fa comodo al mainstream farceli vedere. Diciamo che li notiamo di più, ad essere indulgenti con noi stessi.
Detto questo l’analisi politica di ciò che sta accadendo è l’altra faccia della stessa medaglia: l’accoglienza. Qui un misto di buonismo ed opportunismo si mescolano con una situazione di per se stessa già estremamente complicata. Il buonismo dei Paesi del Sud d’Europa, come il nostro, impreparati ad affrontare un afflusso così massiccio di persone (salvo inventarsi alcuni il modo per specularci sopra, appropriandosi dei sussidi destinati all’accoglienza) ed il calcolo economico di Paesi del Nord d’Europa, tipo la Germania, che avendo un calo demografico pari al nostro, ma un’economia molto più forte ed uno stato sociale (che noi non abbiamo) da mantenere ha bisogno di manodopera, anche da formare. Infatti, loro, si sono attrezzati per derogare alle proprie leggi e (in futuro) a quelle europee per permettere a costoro di entrare in Germania per lavorare. Per noi, questi disgraziati, rappresentano dei “rivali” per i poveracci che già faticano ad arrivare alla fine del mese, per i tedeschi sono solo che una risorsa altrimenti difficile da reperire. Gli costerà circa 4 miliardi di euro in più nel bilancio dello Stato nel 2016, lo hanno già calcolato. Ma sono ben disposti, naturalmente, ad accettare questo “sacrificio” in vista dei futuri benefici ottenuti dal mercato del lavoro tedesco. Programmano loro, noi invece affrontiamo come sempre l’emergenza, senza programmare né per capacità né per il fatto che, obiettivamente, non ce lo possiamo permettere da un punto di vista economico e sociale. Intanto gli organizzatori di questo esodo di massa continuano a “pompare” gente dal Sud del mondo verso l’Europa, tranquilli, indisturbati, approfittando dell’incapacità dei nostri politici, a loro volta succubi di un mainstream mediatico, loro unico punto di riferimento culturale e di ideali. Fa parte della guerra che stiamo combattendo senza neanche percepirlo, se non per le conseguenze lasciate sul campo. La democrazia è la prima vittima, chi non ce la fa la seconda non meno importante della prima.
Ed intanto il mare nostrum diventa sempre più il palcoscenico di una farsa a cui sembra che nessuno sia capace di mettere la parola fine.
Siamo tutti profughi: scappiamo in continuazione da noi stessi e dalla nostra capacità di riflettere.

La guerra ai tempi della “crisi”

La guerra ai tempi della “crisi”

Nel caos più totale nel quale sta vivendo gran parte d’Europa, soprattutto i cosiddetti Paesi del Sud Europa, occorrerebbe chiedersi con maggiore insistenza da dove proviene l’origine di tanti mali. Sembra invece questo un punto focale oramai desueto, dove la rassegnazione allo stato delle cose ha oramai preso il sopravvento totale e dove il porsi più che legittime domande è visto come segno di diversità in senso negativo, per non dire del tutto nocivo per “il bene comune”.
Già, tutt’è a stabilire cosa sia “il bene comune”, con cosa identificarlo ed in base a quali parametri di giudizio. Se per “bene comune” s’intende quello generato artificialmente da chi ha posto le basi per questo stato di cose generale, allora il porsi domande diventa immediatamente un qualcosa di negativo, se invece, al contrario, si pensa che il “bene comune” sia ciò che ti rende autonomo dal “pensiero unico”, allora il porsi domande è la sola strada per capire e tentare di trovare una soluzione al problema generale.
Molti sono i tasselli che sono stati costruiti nel corso di questi ultimi, diciamo, trent’anni. La terza guerra mondiale, perché di questo si tratta, è stata pianificata con cura ed i mezzi con cui combatterla sono stati a lungo preparati da schiere di “soldati del pensiero unico”, da lobbisti del potere economico, orientato ad un solo scopo: il proprio profitto. In fondo dai tempi di Marx le cose non sono cambiate poi molto: sono i mezzi che il “Capitale” ha adottato per ottenere il profitto (un enorme profitto, come non si era mai visto finora nella storia dell’umanità) che sono cambiati. Oggi è il volto mascherato del perbenismo finanziario è diventato quello di politici ed economisti (qual è oramai la differenza fra i due generi?) messi ad hoc nei posti di comando europei. Infatti è ancora una volta l’Europa il campo di batttaglia in cui si sta combattendo questa guerra senza bombe, eccezion fatta per l’Ucraina e gli attentati vari compiuti magistralmente ogniqualvolta se ne renda “necessaria” l’esecuzione per focalizzare nuovamente l’attenzione su altro o per limitare ulteriormente le libertà comuni, imponendo un sempre maggiore controllo fisico sulla popolazione. In pratica una silente schiavitù, cui tutti aderiscono supini in modo del tutto volontario, giacché il grande fratello del pensiero comune è oramai riuscito a far accettare la perdita di libertà come un fatto naturale, invocato da un finto bisogno di “sicurezza” generato all’abbisogna. Quando un problema non c’è lo si crea, per poi fornire su un piatto d’argento la “soluzione” che si voleva imporre fin dall’inizio.
L’Europa del Sud come Mercato di “manovalanza a basso costo” per produrre merci a poco prezzo per i Paesi ricchi, del Nord Europa compreso. Di qui due strategie sugli immigrati. Importarne grandi quantità in modo artificiale (altro che migrazioni “volontarie”) per generare ulteriori problemi sociali, legati alla “sicurezza”, alla logistica e quant’altro, nonché “importare” manodopera disposta a sostituire quella locale per due soldi*, costringendo peraltro quella autoctona ad “emigrare” a sua volta per poter sopravvivere in modo dignitoso. Soprattutto costringendo la classe lavoratrice qualificata a cercare lavoro ed un futuro altrove, depauperando le nazioni della loro possibile futura classe dirigente politica, economica e sociale. Coloro che rimangono sono quanti, non avendo una qualifica d’istruzione e lavorativa alta, non saprebbero come organizzarsi altrove, partendo praticamente da zero, spesso non conoscendo altre lingue se non la propria, con ulteriori difficoltà in un eventuale progetto migratorio. Rimangono così nel proprio Paese a contendersi con i “nuovi arrivati” lavori retribuiti due soldi per i quali si accontentano di condizioni di lavoro bassissime, senza praticamente diritti, perché “così è meglio di niente”.
Il pensiero unico ha ormai portato una grande fetta del mercato del lavoro, soprattutto quello meno qualificato, ad accettare il principio che è “meglio questo di niente”. Siamo praticamente tornati ai livelli dei diritti precedenti la seconda guerra mondiale, se non addirittura prima ancora. Anni ed anni di battaglie sindacali e per i diritti civili sono stati spazzati via da una serie di “riforme”, fatte ad hoc e, soprattutto, fatte digerire alla popolazione come un qualcosa di “necessario” per migliorare la propria ed altrui condizione in un periodo di “crisi”. Tutto starebbe a capire cosa realmente sia e come sia stata generata tale “crisi”.
Una soluzione al problema in atto? Quella che personalmente percepisco è una sola: una lenta diffusione di una “controinformazione”, tendente a smantellare il muro creato dal pensiero unico, nella speranza che la popolazione resa ancor più ebete di quanto non fosse già di per sé predisposta ad essere per sua natura (è più facile ricevere e credere alla “pappa fatta”, piuttosto che impegnarsi e pensare con il proprio cervello), si possa “risvegliare”. Questo sarebbe soprattutto compito della intellighenzia dei vari Paesi, se trovasse il coraggio di farlo, abbandonando i propri privilegi accumulati negli anni (come dignitari alla corte del Re Sole) e recuperando il proprio ruolo di “guida” del pensiero dell’umanità verso un miglioramento e non un abbrutimento totale a cui sembriamo essere destinati. Altrimenti l’altra strada percorribile è quella delle armi reali, con morte e distruzione in cui le vittime, cioé tutti noi, lo sarebbero due volte, uccisi prima nell’anima e poi nei corpi.

* per chi volesse approfondire il tema “profughi” ecco alcuni link interessanti:

L’ultimo treno?

L’ultimo treno?

Riassuntino semplice semplice, per chi si fosse perso nel gorgo degli avvenimenti. 
Dunque, i “cattivi” hanno vinto (i tedeschi, Schäuble e la Merkel), i “buoni” (i greci, o meglio Tsipras) hanno perso, i “saggi” (la Troika, o meglio ancora Draghi) sono corsi in aiuto dei buoni perdenti. E tutti vissero felici e contenti. Già, così è nelle favole, ma non nella realtà.
Io invece, da buon “complottista” quale sono, dò un’altra versione dei fatti, e cioé: il “buono” Tsipras sapeva benissimo come sarebbe andata a finire ed ha inscenato una bella commedia ad uso e consumo del suo popolo e del mondo intero che, solo a parole, tifava per lui. Lui, dal canto suo ha nell’ordine: 1) giocato la pedina Varoufakis, tanto per provare un’alternativa (andata come sappiamo a male); 2) indetto un finto referendum (nel senso che, come si è visto chiaramente, il risultato del quale non intendeva assolutamente rispettare), per poter dire appunto al popolo “mezzo allocco” ed al mondo intero: “io ci ho provato, pur se poi sono dovuto capitolare davanti alla cattiveria di Schäuble & Co.” a cui, con gesto plateale, ma calcolato, voleva dare perfino la giacca (proprio per testimoniare che lui stesse combattendo); 3) il buon “samaritano” Draghi, è corso in aiuto del buono, contro il “cattivo” tedesco (che ancora devo capire se fa parte della stessa cricca del buon Draghi, oppure se è un “libero battitore”). Alla fine, morale della favola, la Troika ha trionfato su tutta la linea. Ha fatto finta di tenersi fuori dal contenzioso fra Stati, salvo poi fare la parte del pompiere. Hanno ammazzato ogni velleità di democrazia possibile, anche perché l’uscita della Grecia avrebbe rappresentato il cattivo esempio da evitare accuratamente (a livello economico non avrebbe fatto alcun danno).  Con una Germania che dorme sonni profondi (gli altri già sono stati ben anestetizzati con minacce varie), direi che se la possono proprio godere alla grande questa ennesima vittoria. Temo che un’occasione così non “ritorni mai più”, parafrasando la famosa canzone di Modugno. Peccato, in fondo in fondo, c’avevo sperato anch’io. Buona vegetazióne a tutti (non nel senso botanico).
Sparta is dead, honor to the winners

Sparta is dead, honor to the winners

What a surprise! Yes, the truth won. The common good triumphed. We are all brothers and we love each other. However the patient is dead.
Yes the patient is dead because of it was already planned. As I told here. Now there is the second part of the plan: the complete privatisation of the State, they will sell it completely. And all the others in Europe now will say: the Greece has won. They succeeded. They still remain into the Union.
Poor blind people, poor us. The others won, and they are laughing.
The stupid europeans haven’t still understood that the only way to exit from this slavery is only one: to kick our politicians out. They are the evil, they are the messengers of the Lords of the world and they support their masters. The only way to survive is to understand this, but I’m afraid that people will never understand this. All over the countries, expecially in Italy, the mainstream is too strong. It will never change, we will loose forever. Honor is due to the winners. Good luck to all of us!
Leonida è morto, viva Leonida

Leonida è morto, viva Leonida

C’era una volta Pericle. E c’era una volta anche Platone. C’erano Sparta ed Atene, c’era la culla della civiltà e dell’Umanità intera, almeno quella occidentale.
No, non è l’inizio di una bella favola. E’ la verità. Il debito che l’Umantità intera ha nei confronti della Grecia è immenso ed inestinguibile in tal senso, su questo non v’è dubbio alcuno. Ma, perché c’è un “ma” grosso come una casa in questa storia, tutto questo era più di 2000 anni fa. Oggi le cose sono cambiate, e molto. Non vi sono più Pericle ed Aristotele fra i viali di Atene, bensì personaggiucoli che ne hanno infestato nell’utimo secolo i più alti scranni del potere, portando il piccolo stato nelle condizioni in cui è oggi. Intendiamoci, non penso che tutta la colpa sia di questa piccola nazione e dei suoi governanti (nonché dei cittadini che hanno permesso che questi ultimi facessero ciò che volevano), così come non lo penso per il nostro di Paese. Anzi, credo profondamente che la Grecia sia stata oggetto di un “esperimento” sociale da parte di lobby finanziarie e di potere internazionale, Troika in testa (come peraltro ho già su questo blog messo chiaramente in evidenza). Quindi in tal senso non accetto “lezioni” da alcuno. Quello che non penso però è che si debba per forza rimanere ancorati ad un’idea di un mondo che non c’è più. Così come noi non siamo più gli eredi di Cicerone (ammesso che uno lo voglia far valere come un merito) o di Giulio Cesare. Peraltro non siamo più neanche lontanamente gli eredi di Dante o di illustri nostri connazionali anche a noi molto più anagraficamente vicini. Uno la stima se la deve conquistare sul campo e, noi come loro (i greci) non abbiamo fatto un granché per meritarci quella altrui negli ultimi tempi.
Detto questo, appunto, mi fa sorridere vedere gente, la maggior parte della quale non sa nemmeno dove sia Sparta o Delfi, prendere a vessillo di una resistenza al “cattivo” di turno (la Troika in questo caso, che certamente non considero di buon occhio, anzi tutt’altro), soprattutto a parole, su giornali e mass media. Improvvisamente si sentono tutti spartani contro il nemico persiano. E giù a fare paragoni di nobile resistenza del piccolo Davide, contro il grande Golia.
La realtà è ben differente. Primo perché Davide questa volta ha metà del torto (per quanto ho detto prima), secondo Golia c’era anche quando gli altri, quelli che inneggiano alla resistenza altrui, erano piuttosto (e lo sono tuttora) sonnacchiosi a casa propria, dove la situazione non è che sia migliore di quella greca. Sono solo le proporzioni ad essere diverse. Se a tutto questo aggiungiamo il fatto che penso che il nobile Leonida di turno (in questo caso con un nome molto meno altisonante, Alexīs Tsipras) sia uno che di fondo è identico a tutti gli omologhi europei, cioè asservito ad una logica di sudditanza al vero potere sovrannazionale, quello che conta veramente nel mondo, il quadro non è poi così felice. Quel che veramente penso, magari sbagliando, anche se lo vedremo presto, è che costui abbia messo in atto una bella mess’in scena, usufruendo di un valido guerriero, il Varoufakis-Achille di turno, che è servito da centravanti di sfondamento. Magari gli poteva anche andare a finire bene la pantomima. In quel caso avrebbe fatto la parte dell’eroe nobile che ha messo a disposizione della giusta causa tutta la sua migliore squadra, capo guerriero in testa. Al contrario, visto che le cose non hanno avuto modo di andare a finire così, ha preferito “battere in ritirata”, sacrificando sull’altare della convenienza Achille (che tanto un’altra professione ben retribuita la troverà di certo, non essendo proprio uno stupido). Ora inscenata una difesa davanti al “tribunale” internazionale, dove ha fatto la parte del “padre nobile”, accetterà “suo malgrado” la sconfitta a testa alta. Potrà sempre dire al suo popolo di averci provato, nonostante la forza incomparabile del nemico. E continueremo a vivere tutti felici e contenti, proprio come prima. La Troika, le multinazionali, i poteri massonici, ecc. possono continuare a dormire sonni tranquilli, tanto il popolo credulone è sempre pronto a farsi coraggio a parole nei confronti delle ingiustizie che popolano il mondo. Purché si possa vedere il programma strappalacrime in tv, postare gattini su Facebook o andare a spaccare la faccia a qualcuno la domenica allo stadio.
Come non concludere con le nobili (quelle sì) parole di Tucidide che scrissi qui. Così ci sentiremo tutti quanti un po’ Pericle.


Tifare non serve a niente

Tifare non serve a niente

Le battaglie sono pericolose, specialmente quelle inconsistenti. Si rischia di perdere di vista il punto effettivo della situazione. Il tifo è sempre negativo, anche quando le battaglie sono di fondo “giuste”. Questo perché tifare obnubila in parte la mente, anche quella delle persone più attente ed intelligenti. 
Era già accaduto con Charlie Hebdo, quando sull’onda dell’emozione in molti s’erano sperticati in battaglie, per lo più meramente mediatiche, in favore della difesa dei “valori” dell’Occidente contro il “cattivo” presunto attentatore islamico che tuttora non penso fosse tale, ma anzi… . Ora siamo da capo con la Grecia, vessillo alzato dai più quale parte in una battaglia che, purtroppo non è tale, nel senso che non c’è proprio partita. Mispiego meglio: penso che Tsipras sia un bluff e che Varoufakis sia stato “usato” quale specchietto per le allodole a “sua insaputa”, come ariete da sfondamento per infervorare le masse. Una volta ottenuto ciò è stato gentilmente fatto mettere ds parte perché lo scopo era raggiunto. Almeno voglio sperare che fosse “inconsapevole”. Ora si tornerà alla routine di sempre, dove s’aprirà di nuovo il balletto del bastone e della carota, dove a farne le spese sarà comunque solo e soltanto il povero popolo greco e la democrazia europea in genere. Ma quest’ultima è purtroppo morta già da tempo e non ce ne siamo ancora accorti tutti. O quasi.

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Everybody lies