Il 1° maggio al tempo della Finanza

Il 1° maggio al tempo della Finanza

Fa pensare ed anche tanto che si continui a dire in tv e sui giornali che il problema principale del lavoro in Italia sia dato dal fatto che i “mercati” vadano nei Paesi dove la burocrazia ed il costo del lavoro sia minore (quindi non in Italia è l’assunto). Fa pensare perché è indice che non si è ancora capito, o si fa finta di non capire, che i “mercati”, queste entità astratte che così astratte non sono in realtà, sono essi stessi i piloti della situazione globale e che sono presenti ovunque ed a tutti i livelli nella vita sociale, politica ed economica dei Paesi coinvolti nella crisi. E’ come non capire che le lobbies siano presenti apertamente presso gli uffici dei parlamenti delle nazioni più “avanzate”. Quindi i “mercati” non devono andare proprio da nessuna parte. Essi sono già ovunque ed agiscono già da molto tempo a tutti i livelli. E’ la mistificazione dei termini che viene usata da un po’ di tempo che crea una cultura della schiavitù perenne. Già, perché di schiavitù vera e propria bisognerebbe parlare e non di rapporti economici. L’Economia è stata superata oramai da tempo e la forza lavoro non è più funzionale ai suoi fini, perché l’agente mistificatore non ne ha più bisogno. Chi sarà mai questo agente “segreto” di cui nessuno parla come il reale protagonista della tragedia che stiamo vivendo? La risposta è tanto ovvia, quanto posta come in secondo piano: la Finanza. Ebbene, quest’ultima non ha più un bisogno diretto della “forza lavoro”, perché in un mercato economico globale non ha una grande importanza dove si reperiscano le braccia per produrre. Così puoi far lavorare una bambina in Bangladesch per pochi dollari al mese, come un operaio specializzato in Italia per uno stipendio da fame. Una volta si diceva che la qualità del lavoro fosse un punto forte di un’economia come quella italiana, legata principalmente al mercato manifatturiero. Oggi non è più così vero. Ci sono sempre aziende che producono prodotti d’eccellenza, ma ciò che è cambiato è il fatto che producono sempre più per un mercato ristrettissimo di ricchissimi e non si punta più all’allargamento della qualità per chiunque. Dunque la qualità e l’avanzamento tecnologico le si possono ottenere ovunque a poco prezzo. Il mercato di produzione delle merci in Europa può essere, al pari di quello della Cina o di altri Paesi in crescita economica, tranquillamente retribuito al ribasso. Non si ha più interesse all’incentivare le regole di equità sociale e retributiva come poteva accadere fino a qualche anno fa. E questo semplicemente perché siamo diventati “interscambiabili” proprio per i tanto osannati “mercati”. Essi hanno messo al comando delle istituzioni i loro uomini che hanno sapientemente pilotato questo processo, fino a renderlo per così dire endemico.
Dunque, “che fare?”, avrebbe detto uno che di rivoluzioni se ne intendeva. Bisognerebbe, a mio modesto avviso, capire che il problema sta proprio nel riappropriarsi da parte della Politica delle leve decisionali (più che di quelle del comando, cui non potrà mai realisticamente aspirare). Occorrerebbe che si tornasse a parlare di Politica nel senso letterale del termine, cioé di cose riguardanti la πόλις, che in chiave moderna vuol dire il Paese. Unico accorgimento, però, sarebbe quello dell’utilizzo della πολιτιxη τεχνη, cioè la tecnica dell’arte politica, come diceva Platone, ovvero la capacità di saper fare politica. Oggi c’è uno scambio di ruoli che ha portato alla situazione che stiamo vivendo. Si è sostituita la tecnica in senso lato con quella inerente la Politica in senso stretto, pertanto chiunque sia un “tecnico” in un determinato campo dello scibile umano può fare il politico, cosa assolutamente non vera. Non è perché uno sia un ottimo medico, ad esempio, che di conseguenza sarà un ottimo ministro della Sanità, perché il ruolo di Ministro richiede qualità che esulano strettamente da quelle tecniche del campo in questione. Dovrebbe sì avvalersi di consulenti del campo, ma non necessariamente esserne un rappresentante. Fare politica vuol dire anche prendere decisioni che esulano dallo stretto campo di competenze nel quale si opera ed anche per questo occorre essere preparati. Occorre ridare dignità al lavoro, attraverso politiche tendenti alla valutazione del lavoro in quanto tale, alla sua dignità, alla sua giusta retribuzione. E questo è qualcosa che ha a che vedere ben poco con la volontà dei mercati.
Buon primo maggio a tutt*


Gli zombies tra di noi

Gli zombies tra di noi

L’Italia non sarà mai un Paese normale. Non può esserlo vista la massa di zombies che sono stati candidati alle prossime elezioni europee da tutti i partiti politici, eccezion fatta per i 5 stelle e la lista Tsipras. I media contribuiscono ampiamente alla diffusione del pensiero del “nulla” dei vari Mastella (ebbene sì, ancora lui, anche se con i capelli tinti potrebbe sembrare il fratello minore), Mussolini, Costa, Alemanno (sì, avete capito bene, il sindaco spalatore) per finire con l’apoteosi di lui, il solo, l’inimitabile, l’immarcescibile (anche perché è per lo più plastificato) Silvio Berlusconi, non candidabile, ma tenuto in vita dal Pd e dai giornali, mentre s’affanna a recuperare il terreno politico ormai perduto in favore del figlio illegittimo Renzi. Speriamo soltanto che il tasso di ribrezzo degli italiani sia salito di un po’, anche se purtroppo non nutro molta fiducia sulla buona memoria dei miei connazionali. Siamo tutti un po’ zombies, finché non ci sveglieremo da questo eterno torpore delle menti. Ed intanto il mondo cammina, incurante di chi rimane indietro. Come sempre!
Un amore lunghissimo

Un amore lunghissimo

Vi è mai capitato, da piccoli, di rimanere incantati quando vostra nonna o vostra madre vi raccontava una favola? Ebbene a me successe di provare di nuovo tale sensazione quando ero già grande, al cinema.
L’anno era l’ormai lontano 1987 ed il film il bellissimo Wings of desire di W. Wenders, in Italia uscito con il titolo Il cielo sopra Berlino.
“Als das Kind Kind war, ging es mit hängenden Armen, wollte der Bach sei ein Fluß, der Fluß sei ein Strom, und diese Pfütze das Meer…”*
Così iniziava la “favola” che stavo vedendo e che descriveva un posto bellissimo, pieno di fascino, fuori dal tempo.
M’innamorai a prima vista, pur non avendo ancora conosciuta la mia amata! Così decisi di andare a farle visita e, nell’estate del ’90 appena poco dopo la caduta del Muro, partii per quello che definirei un vero e proprio pellegrinaggio alla scoperta di Berlino.
Come ogni innamorato avevo ben impressa nella mente l’immagine della mia amata e fui felice di riconoscerla, scoprendola nel contempo, in ogni singolo luogo: dalla Gedächtniskirche a Braitescheidplatz alla Messe, sempre a Charlottemburg; dalla StaadtsBibliothek in Potsdamer Straße al ponte sulla S Bahn della Langenscheidtstraße ed il bunker nella Pallasstraße; dalla colonna della Vittoria in Straße des 17. Juni, in pieno Tiergarten, alla Postdamer Platz e l`Anhalter Bahnhof, luogo con una delle parti più ampie della cosiddetta “terra di nessuno”, zona fra le due porzioni di Muro durante la divisione della città,
E l’amore non si limitò alle sensazioni vissute attraverso le immagini del film, anzi! Si ampliò ancor di più scoprendo la parte “segreta”  fino a quel momento non vista, quella dell’Ost-Berlin.
Mitte, quel gioiello pieno di bellezza antica, con i suoi monumenti ed i suoi meravigliosi musei, con l’allora cupa, ma proprio per questo ancor più affascinante, Friedrich Straße; Prenzelauer Berg, allora non ancora così gettonata, con gente incuriosita e diffidente che ti vedeva passare nei suoi cortili alla scoperta di chissà che cosa; Friedrichshain, dall’inconfondibile architettura sovietica, che ti rendeva benissimo l’idea dei film di spionaggio e dove ti sentivi come seguito da qualche agente della Stasi che ancora non si era accorto della riunificazione; un po’ come quei giapponesi che erano rimasti a guardia di qualche avamposto nel Pacifico pure a guerra finita, dopo il 1945.
Molto rimaneva ancora da ricostruire: la cupola del duomo, che all’epoca era ancora in fase di restauro, o le chiese poste difronte il Neues Palais a Potsdam, nel parco di Sanssouci; altre cose invece non ci sono più, come il Palast des Republik, orribile costruzione fatta in periodo sovietico al posto dell’antico castello di Berlino che era stato danneggiato durante i bombardamenti della seconda guerra mondiale. Su tutta la città troneggiava l’imponente Fernsehturm nella mitica, almeno per la mia immaginazione di lettore di A. Döblin, Alexander Platz: tutt’oggi considero quest’ultima un ottimo punto dal quale abbracciare l’intero panorama di Berlino, ma la trovo orrenda da un punto di vista estetico. D’altra parte ogni innamorato è pur sempre conscio dei difetti dell’amata/o!
Da allora Berlino è molto cambiata, sia da un punto di vista architettonico che sociale. Alcune cose non ci sono più, come il Checkpoint Charlie sulla Friedrichstraße, altre sono sorte, come il Sony Center a Potsdamer Platz; in molti quartieri i vecchi berlinesi che vi abitavano da tutta la loro vita hanno lasciato il posto a nuovi arrivati, anche stranieri come me. Non tutti questi cambiamenti mi piacciono, ma una cosa è certa: la vitalità e lo spirito libero di questa città sono rimasti intatti e come 24 anni fa mi ritorna ancora in mente la poesia di Peter Handke …“Als das Kind Kind war, warf es einen Stock als Lanze gegen den Baum, und sie zittert da heute noch”.**
E’ evidente che sono ancora innamorato!

*“Quando il bambino era bambino, se ne andava a braccia appese, voleva che il ruscello fosse un fiume, il fiume un torrente, e questa pozza, il mare…”
**“Quando il bambino era bambino, lanciava contro l’albero un bastone, come fosse una lancia. E ancora continua a vibrare”

What’s the future for news?

What’s the future for news?

Just few words about journalism today. What is the goal of it nowadays? Which are the differences among all kinds of writing and reporting news with an in depht article? The new social media have changed the way of working in this job? And if yes, in which way?

In our world things are changed a lot in last years and Internet is one of the most relevant changes. I think that in the field of communications it has been like a revolution, more for printed papers than for television. Before the Net all the news came just from press agencies and sometimes tv, most of the time after that the news happened. Today you can have the same news in real time, due to the social Media like Facebook or Twitter. So press agencies are in competition with common people, and most of the time they arrive too late to report the news. Nowadays people use webcams, smarthphones, Ipads for being connected 24 hours a day. For this reason it seems that journalism is almost useless. However I think that it isn’t true. I think that the goal of a future journalist should be double: on one hand he/her should search for the news as in the past, with the same devices of “common” people, because his/her eye is different looking to reality and this could make a difference; on the other hand he/her should analyze the news with other ways of thinking of people who are in the places where things happen. I don’t think that it is possible to have a real objective point of view on facts, because facts are most of the time different from what seems to be. I mean that sometimes even images are fakes, so must be prepared on topics and have a careful consideration about a matter, can show you reality much more than the appearence. A good analyser sometimes is better than a fast shouting.
Auf Wiedersehen mia bella Italia

Auf Wiedersehen mia bella Italia

“Partire è un po’ morire, rispetto a ciò che si ama, poiché lasciamo un po’ di noi stessi in ogni luogo ad ogni istante.”.Così recita una bella poesia di Edmond Haraucourt (Rondel de l’adieu).
Il partire per un futuro ignoto ed incerto è proprio l’oggetto del bel libro Auf Wiedersehen Italia, in fuga verso il futuro, edito da Armando Editore, scritto da Leopoldo Innocenti, giornalista Rai ed inviato di guerra per oltre 40 anni. L’autore ha saputo condensare in 16 interviste fatte ad altrettanti nostri connazionali “emigrati”, i motivi che li hanno spinti a lasciare il proprio Paese, attraverso le più disparate esperienze di vita e di lavoro in molte parti del mondo, per approdare infine in Germania, meta di speranze e nuovi propositi per molti.
Cosa spinge tutte queste persone a vedere nel Paese dei crauti e del freddo intenso, dove la lingua sembra essere uno scoglio insormontabile da superare e le abitudini così dissimili da quelle latine, una scelta in molti casi definitiva di vita? E’ tutto vero quanto si pensa comunemente circa la proverbiale efficienza tedesca? Cos’hanno in più da offrire ad un giovane che ha deciso di andare via dall’Italia i rigorosi ed intransigenti tedeschi?
Queste alcune delle domande che si è posto da attento osservatore, ancor prima che da esperto giornalista, Innocenti, ricavando un quadro completo dei pro e dei contro riscontrati da quanti ha intervistato: dalla giovane pugliese in fuga dalla provincia italiana che corona il suo sogno d’insegnante d’italiano in Germania, al videomaker siciliano che ha realizzato i suoi sogni professionali e di vita privata in una città come Berlino, dove i tabù sessuali non fanno parte della propria storia civile e sociale; dalla corista di fama internazionale, al musicista di jazz; dal medico affermato professionista presso l’ospedale Charité, alla guida turistica che fa scoprire le particolarità della capitale tedesca a disinformati turisti italiani che credono che l’Oktober Fest si tenga proprio qui; oppure la giovane bresciana che è diventata parte del management di un’importante azienda che si occupa di start up.
Tutti spaccati di vita, tutte storie ancora in fieri che hanno contribuito all’analisi di un fenomeno purtroppo in crescita in Italia, appunto quello della ricerca di un futuro esistenziale altrove. Innocenti, con delicatezza sì, ma con esperienza e maestria, come la levatrice di socratica memoria, tira fuori dai racconti dei suoi interlocutori un quadro a tutto tondo del rapporto fra i due Paesi, mettendo in risalto tanto i punti a vantaggio quanto quelli a sfavore di entrambi.
Un antico adagio dice: “I tedeschi amano gli italiani, ma non li stimano; gli italiani stimano i tedeschi, ma non li amano”. Forse è vero, comunque questo significa che il rapporto tra le due nazioni è stretto e questi 16 figli della madre-madrigna Patria sono fra le più belle testimonianze che uno scrittore potesse regalarci sull’argomento.
Feierabend: un gemellaggio in fondo all’anima

Feierabend: un gemellaggio in fondo all’anima

Eh sì, la riservatezza è proprio una delle cose che maggiormente colpiscono gli italiani circa il modo d’essere dei tedeschi. Quel senso di “chiusura” non consono con il modo d’essere di noi gente mediterranea: poche parole, gesti misurati e poca, anzi pochissima, confidenza.

Fin dal mio arrivo a Berlino per la prima volta, tanti anni fa, salendo sulla metro rimasi colpito dal silenzio e dalla compostezza della gente; perfino i cani erano, e lo sono tutt’ora, poco inclini a cedere ai richiami per una carezza. Com’era possibile? C’era un incantesimo che regolava il modo di essere di questi alieni dalla lingua incomprensibile? Erano veramente così freddi, come lo stereotipo tipico di noi latini voleva che fosse il tedesco “medio”? Il sospetto che la cosa stesse in un altro modo mi venne una sera, quando entrai in quello che all’epoca era uno dei centri sociali più in voga di tutta la città, situato in Oranienburger Straße, il Tacheles. Ad assistere al concerto di un gruppo rock, che definirei piuttosto “alternativo”, c’era un campionario di umanità del tutto inaspettato ed insospettabile: dal punk con la cresta arancione che svettava sul resto del cranio rasato alla dolce ragazza bionda con le espadrillas e la minigonna mozzafiato, dal tipo con enormi baffi in pantaloni neri e borchie sugli stivali all’attempato signore …enne, in giacca color cachi e camicia verde. Oltre a questi, c’era una miriade di altri tedeschi e stranieri di ogni parte del mondo, di ogni età e look, ma tutti, e sottolineo tutti, con una caratteristica in comune: un assoluto anticonformismo e gioia di stare lì ad ascoltare musica bevendo birra.

Berlino oggi: il Tacheles è stato chiuso, aihmè! Nella metro tutte le mattine incontri colonne di persone silenti, con al limite le cuffiette del cellulare nelle orecchie oppure gli occhi bassi intenti a leggere un libro. I pochi sguardi che incroci sono di gente che scende frettolosa di lì a poco. Allora? I robot sono tornati? Il carattere di rigore in campo economico si riversa sul carattere generale della nazione? La risposta arriva il venerdì sera, alle 18.00 in punto: Feierabend, ovvero il tempo del riposo serale.

D’improvviso l’atmosfera cambia, la metro si popola di più e meno giovani dall’aria festante che, chiacchierando allegramente e bevendo da una bottiglia tenuta in mano come fosse un’appendice del corpo, si dirigono in ogni locale della città. Allora puoi vedere l’animo profondo del tedesco; allora capisci che non sono dei robot caricati a molla; allora senti che il calore umano è una caratteristica che ti unisce al di là della lingua, al di là di modo di essere che te li rende agli occhi così diversi e che Thomas Mann, il grandissimo scrittore tedesco, sosteneva, credo giustamente, derivare dalla loro educazione luterana intimista, rivolta all’interiorità, cioè l’esatto contrario di quanto la nostra di educazione, per lo più cattolica, ci ha inciso nel DNA, ovvero essere aperti ed esternare i nostri sentimenti agli altri.
Ecco la chiave di volta: la differente educazione. Così ti accorgi che la voglia di divertirsi è la stessa, la voglia di fare “casino” ti accumuna, la voglia di comunicare ti unisce e per due giorni il compassato vicino di casa si trasforma in un essere più “umano” ai tuoi occhi e pensi di non essere nell’austera Germania; ti senti un po’ a casa tua laggiù, nel tuo paese, in Italia.

La calma della domenica ti riporta alla quiete ordinata delle famiglie a spasso nei parchi di Berlino; lo apprezzi, ti godi il sole che illumina le vie appena ripulite dai bagordi di due giorni di libere sensazioni. Vivi con serenità il momento.
 La sera, rincasando, incontri Herr Baumanns, il tuo dirimpettaio che hai visto festoso ed un po’ brillo soltanto il giorno prima. Lo saluti, contraccambia già in modo austero. Sapete entrambi che le vostre anime s’incontreranno di nuovo soltanto il prossimo venerdì!
Una terra che divide

Una terra che divide


Sempre stata nazione divisiva quella ucraina, già a partire dal suo etimo che significa terra sul confine.

Oggi più che mai questo confineè simbolo di una separazione fra due mondi contrapposti: da una parte gli Stati Uniti e l’Unione Europea, dall’altra la Russia, ex grande competitor nella spartizione del mondo. Tra gennaio e febbraio di quest’anno “improvvisi” focolai di ribellione nella capitale Kiev hanno portato alla cacciata del Presidente V. Janukovič, alla liberazione dell’ex leader J. Timoshenko, all’instaurazione di un nuovo esecutivo guidato da O. Turčynov ed infine ad un legalissimo referendum indetto in Crimea, con la vittoria dei sì alla sua annessione alla Russia.

Fin qui i fatti. La loro analisi richiede però alcune considerazioni che vadano oltre l’apparenza e c’è da porsi una serie di domande: perché proprio ora tutto ciò? Qual è l’importanza dell’Ucraina, regione non particolarmente ricca di materie prime, per l’Occidente? E’ stato tutto frutto di sollevazioni spontanee oppure ci sono state “infiltrazioni” esterne a spingere alla rivolta?

Per rispondere a questi interrogativi occorre far riferimento in realtà alla sottile guerra già da molto tempo in atto fra Usa e Russia, frutto della strategia statunitense propugnata dall’influente (tutt’ora membro della Trilaterale) Zbigniew Brzezinski, già consigliere politico ai tempi di Carter, che tende a “conquistare” attraverso le cosiddette rivoluzioni pacifiche aree geopolitiche economicamente fondamentali per l’indebolimento dell’influenza di Mosca. E’ successo in Serbia nel 2000, poi in Georgia nel 2003 e nella stessa Ucraina nel 2007. In quel caso Putin prese delle contromisure facendo poi arrivare al potere Janukovič a danno del progressista Juschenko (il leader politico che nel 2004 subì l’avvelenamento da diossina, sfigurandolo).

In particolare l’escalation alla quale stiamo assistendo oggi è dovuta essenzialmente alla corsa che gli Stati Uniti stanno facendo per invadere il mercato energetico europeo con il loro gas e con quello canadese, investendo centinaia di milioni di dollari per costruire infrastrutture per la sua liquefazione. E’ già pronta, inoltre, un’imponente flotta di navi cisterna per trasportarlo sulle coste europee dove, in appositi impianti, avverrebbe il processo di riconversione allo stato gassoso. Per ottenere ciò bisogna però abbattere l’indiscusso primato del maggior concorrente mondiale, la Russia per l’appunto, i cui gasdotti rivolti al mercato europeo passano proprio per l’Ucraina. Se a questo aggiungiamo il fatto che il programma russo per aprire le proprie riserve energetiche alla Cina e all’India è in ritardo e non sarà pronto prima dei prossimi 7/10 anni, si comprende come la posizione di Putin sia, a dir poco, difficile.

A tutto ciò fanno seguito le mosse economiche collaterali dell’FMI e degli Stati Uniti in veste, questi ultimi, di Paese mediatore con i creditori finanziari, (l’Ucraina è in debito per oltre 15mld di dollari ed a un passo dal default) da una parte e il ritiro nell’ultima settimana di ben 104mld di dollari dalle casse americane per finire, molto probabilmente, in Paesi off-shore e banche russe dall’altra. Quest’ultima è in pratica una contromossa di Putin, portandosi via un pezzo di debito pubblico americano.

Come andrà a finire la faccenda non ci è ancora dato di saperlo e la sola cosa certa è che, al di là dell’ovviamente auspicabile abbassamento della tensione bellica, coloro i quali ne subiranno senz’altro lo scotto saranno proprio gl’involontari protagonisti, gli ucraini.
Continuiamo così, facciamoci del male!

Continuiamo così, facciamoci del male!

-“Scusi, ma cosa sta facendo?”
–“Come! Non lo vede? Sto costruendo una solida scala!”
-“Per fare cosa?”
–“Come per fare cosa? Per avvicinarmi alla Luna, no?”
-“Per avvicinarsi alla Luna? Si rende conto di ciò che sta dicendo? La Luna è a centinaia di migliaia di chilometri dalla Terra!”
–“E allora? Mi ci avvicino comunque, no?”

Bene, questo mi sembra il sottinteso dialogo che si sta sviluppando in Italia in questi giorni. Da un lato c’è un piazzista neocatecumeno che affascina tutti parlando di punti decimali (dopo lo 0, ovviamente) del rapporto deficit-pil, entro la fatidica soglia del 3%, di possibile impiego per “concedere” ad una decina di milioni di persone circa, udite udite, ben 80€ al mese in busta paga. Dall’altro c’è una pletora di gente che commenta tale mossa da piccolo piazzista di provincia come un mero annuncio da imbonitore, ovvero come la mossa geniale per risollevare l’asfittica economia italiana. In pratica ciò che mi domando è: ha senso parlare di queste cavolate difronte al vorticoso giro di miliardi di euro in ballo che, mai e poi mai, l’Italia potrà ragionevolmente appianare o converrebbe, piuttosto, ridiscutere proprio le basi di questa situazione senza via d’uscita? Stiamo ancora a girare dietro ai soliti discorsi dei “salvatori della Patria” a buon mercato (tanto a tirarli fuori dal cilindro non costano nulla, se non il loro lauto stipendio) e ci beiamo di discutere delle loro presunte capacità salvifiche in una situazione di epidemia conclamata. Costoro parlano di voler riempire un buco con le mollichine di pane, quando la voragine è di proporzioni colossali. Dove vogliamo andare di questo passo? Da nessuna parte per l’appunto! Come al solito!
Si stanno tutti preparando alle prossime elezioni europee e devono dare un senso alla voglia di vincere una poltrona a Bruxelles. Il guaio per tutti noi è che ci andranno senza avere la benché minima idea di cosa sia attualmente l’Unione Europea e come dovrebbe invece essere se volessimo veramente vedere sensibili cambiamenti in senso positivo, anche per le sorti di casa nostra.
Continuiamo così, facciamoci del male! (diceva sempre il mitico Apicella)

The great ugliness

The great ugliness

And the winner is: The great beauty. I’m proud as Italian for this prize Oscar! Yes, I’m. However I’m conscious that the film by Sorrentino isn’t a masterpiece. Toni Servillo, the main actor, is one of the best italian actors of ever, but one swallow doesn’t make a summer. The film talks about an image of Rome, my beautiful Rome, and about the style of life of some people, just few years ago, all told by Jep Gambardella, an italian journalist. The same style of life that the same people that are still today. So what is my problem with this film? The problem is that I think it is a bad copy of masterpieces of others directors, mainly Federico Fellini with his La dolce vita and Luis Buñuel with his Le charme discret de la bourgeoisie. All in one the film by Sorrentino would had been a mixture of the same topics that Fellini and Buñuel had talked about, without their brilliance. So, I’m sorry for the compatriot director but he would not have deserved the award, absolutely!
 
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