Gli uomini del futuro

Gli uomini del futuro

Quando ero piccolo amavo leggere libri e fumetti di fantascienza, soprattutto quelli che parlavano di mondi futuri possibili. Ero letteralmente affascinato dalla tecnologia. Immaginare che un domani si sarebbe potuto visitare altri pianeti o più semplicemente comunicare a distanza, mentre si guidava o passeggiava, galvanizzava la mia fantasia. Finito di leggere fantasticavo su come sarebbe potuta essere l’umanità di lì a pochi anni ed ovviamente mi prefiguravo mondi bellissimi, dove il progresso aveva portato benessere e comodità di ogni genere per tutti. Potremmo dire oggi, a ragion veduta, che avevo una visione ottimistica del futuro.
Purtroppo, guardando con gli occhi dell’adulto di oggi, direi proprio che tale mondo non esiste, e questa “delusione” mi si amplifica nel prefigurare quello che potrà essere il futuro prossimo dell’Italia, almeno basandomi sulla triste realtà che mi circonda e sull’altrettanto triste classe politica e dirigente di questo Paese. Questo mio apparente “pessimismo” si basa sui fatti della vita quotidiana: passi infatti che ho trovato ‘peggiorati’ i miei concittadini, da diversi punti di vista, durante questi mesi di mia assenza dal Belpaese, ma ho per l’ennesima volta constatato come i nostri politici, quelli che dovrebbero avere una visione del futuro per il Paese, siano inconsistenti ed inconcludenti più che mai. Vedendo i “dibattiti” politici in televisione, oltre a trovarci sempre le solite facce che da sole se la cantano e suonano, come si suol dire, ho visto “il nuovo” del panorama politico di destra (i “giovani” di Forza Italia) e di sinistra (per capirci i “renziani” della prima e dell’ultima ora) che mi ha fatto rimpiangere amaramente gente come Andreotti o Craxi (che per quanto detestabili un’idea di futuro comunque ce l’avevano). Se il “nuovo” è rappresentato da gente che per risolvere la situazione economica disastrata in cui siamo crede di aver trovato la soluzione nel permettere “ai giovani di aprire un’impresa in un giorno, invece di fare una trafila estenuante”, allora voglio tornare al vecchio!
Già, perché è vero che in Italia sia tutto molto più difficile a causa della burocrazia elefantiaca, ma ciò che trovo disarmante è come costoro non si rendano conto che permettere ad un “giovane” d’aprire un’impresa in un giorno per poi costringerlo a chiuderla il giorno seguente per le tasse e la mancanza di lavoro è pura demagogia, se non, nel peggiore dei casi, miopia assoluta su quale sia il fondo del problema. E’ come insegnare ad un bambino a rispettare l’ambiente, salvo costringerlo poi a vivere in una discarica per tutta la vita. Quello che gli “sceneggiatori” del nostro futuro non capiscono o fanno finta di non capire è che sia altrove la vera radice del problema e che per quanti sforzi uno faccia per tamponare le falle dello scafo non otterrà mai nulla se non decide di mettere la barca in secco. Sono le regole dell’economia internazionale che strozzano il Paese che vanno messe in discussione, è una visione futura diversa d’Europa che va rivista, è un coinvolgimento degli altri Paesi dell’Unione che è necessario per risolvere anche i problemi di casa nostra. E’ giusto pulire in casa propria, ma se gli altri continuano a tirarci contro la polvere non riusciremo mai a respirare aria pulita.
Ecco, questo è quanto mi aspetterei di sentire da chi s’immagina e progetta il mio futuro. Purtroppo, però, non ci sono più i fumetti di una volta!

Ich, Sohn von Europa

Ich, Sohn von Europa


Ich bin Italiener, ich weiß, wer ich bin. Ich bin der Sohn von Europa, das Europa von Dante und Shakespeare, Moliere und Goethe, Leopardi und Manzoni, von Joice und Mann. Ich bin der Sohn des europäischen Galileo und Newton, Pasteur und Fleming, Einstein und Fermi. Ich bin der Sohn des Europa von Vivaldi und Bach, Mozart und Beethoven, Wagner und Brahms, Verdi und Strawinsky. Ich bin der Sohn von dem Gedanken von  Platon und Aristoteles, von Thomas und Descartes, von Kant und  Hegel, Marx, Russell und Wittgenstein. Ich bin der Sohn von dieser Zeit und dieser gemeinsamen Wurzel. Wer bist du Deutscher? Bist du der Sohn von des gleichen Europa?
Das ist mein erster Beitrag in deutscher Sprache. Entschudigen Sie die Form…
Letterina a Babbo Natale

Letterina a Babbo Natale

Caro Babbo Natale quest’anno sotto l’albero vorrei trovare:
un etto di coerenza,
due pizzichi in meno d’ipocrisia
un po’ di  coraggio
lungimiranza quanto basta.
Insomma, caro Babbo Natale, mi dovrei rivolgere a te in un’altra lingua piuttosto che l’italiano, perché mi rendo conto che potresti avere problemi a capire questi semplici concetti non essendo molto in voga nel mio Paese d’origine. Che ci vuoi fare? I bambini come me non possono scegliere dove nascere e, tutto sommato, devo confessarti che fino a qualche tempo fa (facciamo finta che decenni siano solo pochi anni) anch’io pensavo che il posto dove sono nato non fosse poi così male. Poi però si cresce e si capiscono tante cose: si capisce che a te, esserino che s’interroga sulla propria esistenza, non t’ha portato la cicogna in un fazzoletto legato sotto il becco; che, ahimé, tu e la Befana m’avete ingannato per un certo periodo, facendomi credere che lasciavate i regali sotto il camino calandovi dal comignolo (quale poi, visto che a casa mia non c’è mai stato un comignolo inteso in senso classico del termine?); che gli asini non volano come nelle fiabe! Già, si smette di credere nelle fiabe, almeno dovrebbe accadere quando si cresce. Proprio per questa ragione, caro Babbo Natale, inizio a pensare che i miei connazionali, almeno in una gran parte, siano rimasti piccoli dal momento che alle favole credono ancora. Questo sarebbe molto bello, babbino caro, se non fosse che in realtà vivono in un mondo di adulti che da tali si comportano, mentre loro sembrano sempre “invischiati” in un eterno gioco, salvo poi lamentarsi quando prendono schiaffi dalla vita che, purtroppo, non è roba da bambini, almeno non in eterno. Eh, se fossero cresciuti i miei connazionali! Chissà, magari aprirebbero gli occhi e non direbbero che le cose non si possono cambiare “perché tanto sono tutti uguali e non fanno nulla per cambiarle, le cose”. Magari s’accorgerebbero che per cambiare le cose bisogna innanzitutto capire da dove provengono realmente i problemi contingenti e che chi denuncia questo stato di cose c’è, e che non è vero che “non agisce” concretamente, perché agire concretamente vuol dire anche far capire dove sta il problema a monte, per poi poter cambiare il corso del fiume a valle.
Insomma caro Babbo Natale, tu che vieni dal nord, da un Paese molto freddo, avrai sicuramente la mente fresca per capire quello che ti sto scrivendo, perché il freddo “intosta”, diceva mio nonno e, magari, punge a tal punto da svegliare. Le cose sono due e non lo dico per essere pessimista, anzi! O svegliate, sempre tu e la Befana, gli italiani in un breve periodo, oppure temo proprio che il Carnevale manderà tutto di nuovo in “soffitta”, per non dire in vacca (ops, m’è sfuggito) lasciando il mio bel Paese ancor peggio di come è adesso.
Ah, dimenticavo, passa buone feste!

Post un po’ palloso, ovvero la costruzione delle fondamenta

Post un po’ palloso, ovvero la costruzione delle fondamenta

Ed intanto mentre nel “Belpaese Galvani” si discettava se la sacrossanta protesta della gente esasperata fosse “contaminata” da tendenze fasciste o comunque violente (cosa questa che, come bisognerebbe ricordare ai benpensanti, di sinistra o di destra che siano, è sempre avvenuta da che esistono le manifestazioni popolari in piazza), i veri artefici di tutto ciò si continuano a godere lo spettacolo da lontano. Quello che non si riesce proprio a capire, sempre nel Paese del formaggino, è che inettitudine dei nostri politici a parte, i veri giochi sono fatti da altre parti. Voglio chiarire una volta per tutte che chi scrive non è contrario di principio all’Europa unita, anzi, o ad una moneta unica: sono contrario a questo modello d’Europa e a questo modello di moneta unica. Ho sempre dichiarato che la sola via d’uscita dalla situazione attuale sia quella di fare un’unione politica europea, con una moneta unica che sia vera proprietà delle nazioni che ne facciano parte e non di banchieri privati.
Cosa occorrerebbe fare allora? In Italia senz’altro azzerare la classe politica, togliere tutto il potere usurpato in questi anni da parte della Finanza e finta imprenditoria per ridarlo alla Politica, il cui compito dovrebbe essere quello di servire i cittadini e non di essere servita attraverso privilegi e prebende. La legge elettorale, qualunque essa sia, dovrebbe prevedere la ineleggibilità di chiunque sia stato in politica, a qualunque titolo (per capirci nessun “sindaco d’Italia”, tanto di moda fra commentatori e riciclati attuali), per più di due mandati, qualunque fosse l’incarico pubblico che ricoprisse in precedenza. Ovviamente gli stipendi di chi è al servizio della comunità dovrebbero sì essere più che dignitosi, ma non superare il tetto di quelli dei parlamentari tedeschi o francesi, a cui sono ora decisamente superiori. Rendicontare le spese fatte potrebbe sembrare superfluo anche solo dirlo, ma attualmente i nostri rappresentanti in Parlamento non sono obbligati a farlo.
Detto ciò, mi rendo perfettamente conto che, a meno che non si voglia aspettare minimo 20/30 anni (tempo necessario per creare una classe politica dirigente degna, in quanto preparata), toccherebbe affidarsi al buonsenso degli attuali partiti, che nella forma in cui sono presenti oggi direi che sono diventati superflui, nel senso in cui lo diceva Simone Weil. Tutta questa operazione, riassunta così malamente in poche righe, sarebbe in realtà di una complessità enorme (di qui il mio pessimismo sul futuro dell’Italia).
Comunque fatta l’Italia occorrerebbe fare l’Europa, parafrasando Massimo d’Azelio.
Già perché la “ricostruzione” dell’Italia è solo una parte della soluzione dell’enorme problema presente in Europa. La crisi che attanaglia così tanti Paesi del vecchio continente non è solo una crisi economica, è una crisi culturale, di sistema. Di qui il compito degli intellettuali di tutta le nazioni componenti l’UE. Fare l’Europa vuol dire fare prima i cittadini europei attraverso la formazione del pensiero, ovvero far capire a gente così diversa per usi e costumi la necessità ormai impellente di un’unione politica. Occorrerebbe, dunque, far capire ad un olandese, piuttosto che ad un portoghese, quali infiniti vantaggi avrebbero dall’avere una sola direzione comune in tutti quei settori che la Politica governa o dovrebbe governare. Questo è il compito della cosiddetta “intellighenzia”, non dei politici che dovrebbero essere l’emanazione della conseguente volontà popolare. Viene prima chi elegge, poi chi è eletto. Un edificio lo si costruisce a partire dalle fondamenta, non dal tetto.
Il mondo è cambiato, ed anche velocemente. Non capire questo causa disastri, e se ne vedono le conseguenze. Pertanto sarebbe molto più utile che quanti esprimono ancora, a qualsivoglia titolo, la parte “intellettuale” dei singoli Paesi si dedicassero più a studiare il periodo storico in cui tutti noi viviamo, per poi divulgare un sentimento di unione attualmente inesistente.
La guerra è iniziata. Tutti in Europa!
Il migliore dei mondi possibili

Il migliore dei mondi possibili

La difficoltà maggiore che si ha nel giudicare se stessi è quella di essere oggettivi nel vedere i propri difetti e, di conseguenza, i propri pregi. Bisognerebbe essere tanto lungimiranti da cercare di porsi su un punto d’osservazione più in alto e vedersi come un altro da sé, una sorta di estraneo che ci osservi con occhio non accondiscendente, bensì neutrale. Beh, è una delle cose più difficili in assoluto, mi rendo conto. Rimane comunque il solo modo per avere una percezione di sé (chi meglio di noi stessi può conoscere il nostro modo di essere?) con una certa attendibilità, non alterata da un’assoluta estraneità (per esempio se ci facessimo giudicare da uno straniero, non molto avvezzo agli usi e costumi propri di chi in un posto c’è nato e vissuto). So di sembrare un po’ “tronfio”, ma questo è ciò che ho cercato di fare quando ancora vivevo nel Belpaese ed è ciò che, a maggior ragione, faccio oggi che non ci vivo più, ahimè! La lontananza aiuta a vedere cose che dall’interno, forse, non si osservano bene. Tutto questo “cappello” era necessario per cercare di non urtare la suscettibilità dei lettori di questo mio blog, anche di quella dei più attenti.
Ebbene, non si può continuare a parlare di ciò che avviene quotidianamente, in Italia ed in Europa, senza stupirsi di come non scoppi una ribellione generalizzata contro questo crescente stato di cose che impoverisce i corpi e le anime.
Ho iniziato a scrivere questo articolo prima che la gente iniziasse a scendere nelle strade il 9 dicembre scorso. Ed ecco che la realtà supera, come al solito, la fantasia. Quasi un anno fa, avevo scritto un post che auspicava un momento come questo, un momento in cui la gente iniziasse a prendere coscienza dello stato delle cose ed iniziasse a protestare in modo democratico sì, ma deciso.
Per parlare solo da noi, ogni giorno compaiono sui Media scandali, scandalucci, inciuci ed ingiustizie, con dovizia di commenti anche di persone non banali che rasentano il disgusto totale. Non ci si può stupire più di tanto se la gente comune, la cosiddetta “casalinga di Voghera” (povera Voghera e povera casalinga!), non scenda in piazza con i forconi contro tutte le cose stomachevoli che sopporta quotidianamente. Non ci si può stupire di tutto ciò se anche i i cosiddetti intellettuali, professori universitari, scrittori, giornalisti, liberi pensatori, per non parlare dei simulacri dei politici, trovino del tutto normale commentare le singole notizie del momento, come fossero lo svolgersi del solo dei mondi possibili. Già, perché non è il migliore dei mondi possibili, per scomodare il filosofo Leibniz, quello in cui viviamo. E’ un mondo creato da noi stessi, nella misura in cui siamo accondiscendenti a ciò che una parte dell’umanità ha scelto per noi.
Per tornare all’Italietta, quella che vedo dall’estero, ci sono tutti i giorni le solite polemicucce; in televisione le solite facce che stanno dibattendo sulle solite cose inessenziali: Berlusconi, la legge elettorale, la sacralità del Presidente della Repubblica, il taglio dei costi della politica, Renzi “salvatore” della Patria e chi più ne ha più ne metta. Si parla di tutto per non affrontare realmente nulla. Ed intanto l’Italia muore.
Ecco, è questo che si vede da fuori dell’Italia. Un Paese che continua a dibattere del nulla, incapace di uscire da un’autoreferenzialità che lo fa attorcigliare su se stesso. Per questa ragione spero che non finisca in un nulla questo movimento nato dai cittadini che sono scesi in piazza. Anzi, spero si allarghi fuori dai confini nazionali, anche in quei Paesi europei che stanno vivendo sulla propria pelle la mancanza di esponenti della classe politica capaci di tutelarli e rappresentarli. Vorrei finalmente vedere un’Italia che, al contrario di quanto acutamente affermava Flaiano, non fosse “un paese dove sono accampati gli italiani”. Sarebbe ora di crearlo il migliore dei mondi possibili e non lasciarlo più nelle mani di un “dio creatore” che lo ha fatto per noi a “sua” immagine e somiglianza.

Gottfried Wilhelm von Leibniz

Un viaggio come tanti

Un viaggio come tanti

E siamo arrivati a Natale; anche quest’anno ce l’abbiamo fatta! Soprattutto di questi tempi è un gran successo, ovunque si viva. Diciamo che ci sono posti al mondo dove la percezione della festa non c’è mai stata, se non per l’onda lunga dei paesi “occidentali”, vedi l’Africa od il Medioriente. Da noi, gente civile (s’è colta l’ironia?), le feste che iniziano prima dell’anno e finiscono con il giorno della Epifania (celebrata nel mondo cattolico) sono in pieno svolgimento.
Questo è il primo anno che vivo questo periodo fuori dal Belpaese. Dall’estero si notano le differenze, i pregi ed i difetti di come la società italiana viva queste feste. Io non sono religioso, tuttavia non posso non notare come negli ultimi anni quella che un tempo era una festività prettamente legata al mondo religioso si sia oramai trasformata in un rito di carattere prettamente consumistico, di pessima qualità per giunta. Quando ero piccolo si sentiva nelle strade l’atmosfera differente da tutto il resto dell’anno. L’attesa per un evento che non aveva uguali e che s’era atteso per 12 mesi. Oggi mi sembra sia diventato più che altro un rito, ovvero quello dei regali. Più un’abitudine che un piacere, che con l’arrivo della crisi è diventata quasi un incubo per molti: la si vive come un obbligo morale impellente a cui dover dare seguito, spendendo il meno possibile. Non si regala più, insomma, per il gusto di farlo. Quando ero piccolo il regalino fatto ai nonni piuttosto che ai genitori era del tutto simbolico, ma sentito dall’animo di un bambino. Era la cosa più importante dell’anno, per la quale ci si era preparati in un così lungo periodo. Penso che anche gli adulti sentissero sinceramente un’atmosfera di “famiglia” che si è andata a perdere nel corso del tempo. Sarà forse perché sono sempre più rare le grandi famiglie, quelle che almeno in queste occasioni si riunivano attorno ad un tavolo per condividere, nel bene e nel male, un senso di appartenenza comune. Non perché non ci fossero differenze, ma il senso di un qualcosa che univa era presente comunque. 
Oggi c’è molto solipsismo: sarà il consumismo, sarà che oramai è difficile trovare quel collante che era rappresentato dai nonni e dagli zii, quelli che erano sopravvissuti al tempo della guerra, quelli che sapevano che le radici comuni avevano una loro importanza e sapevano riunire tutti, almeno per quei giorni di festa. Oggi di famiglie così ce ne sono sempre meno; almeno io ne conosco poche. I nonni e gli zii di quell’epoca non ci sono più, sono andati a riposarsi dopo le tante fatiche della vita. Hanno dato, ciascuno a suo modo, il proprio contributo a questo senso d’appartenenza. I figli, oramai grandi, o li hanno seguiti o non hanno per lo più il medesimo carisma. I nipoti poi, fra i quali ci sono anch’io, sono presi da problemi personali e sociali che, spesso, li vedono distratti da una vita che li ha travolti. Non hanno più quel sentimento d’appartenenza che li vedeva “felici”, in modo inconscio, quand’erano piccoli. I bisnipoti, le nuove generazioni, vivono giustamente un mondo radicalmente cambiato rispetto a quello dei loro bisnonni e dei loro nonni. Molti sono stati costretti ad emigrare, molti preferiscono “il gruppo” degli amici alla famiglia. E’ giusto che sia così.
Sì, tornerò a “casa” questo Natale, ma so che sarà solo un viaggio come tanti, perché già so che non avrò quel senso d’appartenenza di quand’ero piccolo e questo, in fondo all’anima, mi rende un po’ più triste!
Capitani “coraggiosi”

Capitani “coraggiosi”

Il filosofo americano Noam Chomsky ha messo più volte in guardia dal Potere e dai suoi servetti che lavorano nei media, per dirigere il mondo nella direzione che è loro più congeniale. Inoltre è pur vero che dopo tanti anni di “tv zerbino” non ci si fa quasi più caso a certi personaggi che infestano la televisione, in particolare quella italiana. Tuttavia non posso non avere un senso di repulsa (di schifo, se preferite) per il livello a cui è arrivato ieri sera il buon Fabio Fazio quando ha ricevuto il portatore di carote Barroso, prima, e Paolo Mieli (che non so come descrivere, se servetto stupido o, al contrario, servo astuto), poi. Barroso è andato in tv a fare il suo mestiere: dopo il bastone, anzi la bastonata direi di Olli Rehn, quel magnifico giocatore di pallone fillandese che ha tirato un bel rigore diretto in una porta sostanzialmente vuota, c’erano state le proteste di tutta la squadra, presidente del Borgo Rosso football club in testa, re Giorgio I. Anche l’allenatore Letta s’era sbracciato manifestando la sua insoddisfazione (ha imparato dal re, che in genere al contrario manifesta “soddisfazione”). Ed ecco allora che la “Fifa” (Federazione Internazionale Finanzieri Affamatori) ha mandato l’uomo della carota, il buon Barroso per l’appunto, che s’è affrettato a dire che quello che aveva detto il suo “collega” era solo parzialmente vero e che dobbiamo continuare sulla strada inziata, perché la fine (s’è dimenticato di dire se quella di tutto) è all’orizzonte. Dunque lì il lecchino Fazio a fargli da contraltare con domandine non troppo scomode: mai disturbare il manovratore! Diciamo che il quadro era già sufficientemente disgustuso, quand’ecco all’orizzonte apparire lui, il paladino di Francia, il sommo giornalista di vecchia esperienza, Sir Paolo Mieli. Accomodatosi sulla poltrona più facile d’Italia ha pronunciato le fatidiche parole: “Un santo Barroso, lo avete applaudito fin troppo poco”. No comment da un punto di analisi prettamente politica (chi segue questo blog sa come la penso al riguardo), per non parlare di quella sociale!
Per fare un paragone con il Paese portato a modello da una parte (i poteri forti europei) e contestato dall’altra (larghi strati socio-politici di molti altri paesi in piena crisi nel vecchio continente), si può capire quale sia la differenza di fondo che c’è nella concezione del progetto di società futura, anche nel fare televisione; la Germania della “Große Koalition” si concede il lusso di trasmettere in pieno giorno, su uno dei tanti canali televisivi, lezioni universitarie di Filosofia, con fior di docenti provenienti dalle migliori università tedesche, che tengono conferenze sulle più svariate tematiche del pensiero contemporaneo. Fino a circa 20 anni fa, la nostra di televisione pubblica, trasmetteva a cura di Rai Educational lezioni di filosofia che avevano il compito di divulgare il pensiero filosofico: dopo un breve periodo vennero convertite a servizi multimediali a pagamento, per poi sparire definitivamente dal panorama d’interesse della nostra tv di stato.
Questo ultimo particolare sta solo a significare che una società in decadenza non si può permettere ciò che una in pieno sviluppo, con governanti lungimiranti (per quanto criticabili, anche da chi sta scrivendo), può fare per il suo popolo. L’esempio della tv che trasmette lezioni di filosofia serve solo come termometro di ciò che dovrebbe essere un corretto sviluppo dell’informazione di massa, semplicemente per promuoverne la capacità di pensiero autonoma. Educare al pensiero, alla bellezza, alla cultura in genere, perché lo spettatore “passivo” di oggi sarà il cittadino “consapevole” di domani e questo andrà a vantaggio di tutta la comunità: ecco ciò che andrebbe fatto, a prescindere dal ritorno economico. Non ha importanza il fatto che una minoranza segua un’opera di musica classica piuttosto che uno spettacolo teatrale o un balletto. Una società che ha capito ciò è una società di per se stessa vincente, perché pensa al futuro del suo popolo ed al modo migliore per stimolarne le energie positive; una società come la nostra, purtroppo, dopo anni di disinteresse per la “cosa pubblica” in generale, non può che permettersi la divulgazione di pensiero del Fazio di turno o del “servo astuto” come Mieli, altro che professori di filosofia. Decisamente ci teniamo sul piccolo, piccolissimo cabotaggio: con capitani di questa fatta non andremo mai “al largo” e saremo sempre costretti a navigare sotto costa, con uno sguardo sull’orizzonte veramente ridotto!
Triste storia di Martina e Paolo

Triste storia di Martina e Paolo

“Vengo a trovarti”, diceva Martina allontanandosi lungo il viale, “lo prometto!”. Quella fu l’ultima volta che la vide mentre le faceva un gran sorriso. Erano anni che aveva deciso di ricercarla, ma una strana indolenza, diciamo intima, dell’anima, glielo aveva impedito. Così era sopravvissuto a questa sua voglia, tanto da dimenticarsene oramai.
E’ bella Parigi all’alba, specialmente a maggio. Il sole accarezza dolcemente la collina di Montmartre e s’insinua fra i vicoli che scendono dalla chiesa, verso valle. “Bonjour, madame Olivier”; “Bonjour à vous monsieur Moretti” rispose la vicina mentre usciva di casa trafelato. Poco più di 5 minuti ed ecco la fermata di Pigalle. Pochi scalini per scendere fino alla linea 12; venti minuti per arrivare alla Concorde, un caffé al bar difronte l’ufficio e via sull’ascensore, fino al 25° piano del grande edificio bianco.
Piano 12, quello delle assicurazioni Axa. Fermata d’obbligo perché entrano parte degli impiegati che, dopo aver timbrato, salgono nell’ufficio aperto al pubblico al 20° piano. S’aprono le porte, pochi secondi e Paolo si sente mancare: era lì, se ne era quasi scordato, l’aveva sepolto quel ricordo come a volerlo reprimere, ma ora era lì. Eh sì, il ragionier Berthoud era lì che lo fissava con sguardo serio e profondo; gli si avvicinò e gli disse: “Mensieur Moretti, non avete ancora pagato la vostra quota della cooperativa!”.

Beh! Che v’aspettavate? La solita storia melensa di lui lasciato da lei  (o viceversa) che poi si ritrovano e vivono più o meno felici assieme? Nooo, roba da soap opera. Io, notoriamente, sono un cinico e preferisco farmi mandare a quel paese da chi ha letto queste poche righe. D’altra parte mi sto preparando all’aria del Santo Natale. Ne avrete di tempo per sentire storie dove il bene vince sempre sul male e dove l’amore trionfa su tutto. Poi mica posso sempre scrivere cose serie, no? 😉

Un uomo tranquillo in gran periglio

Un uomo tranquillo in gran periglio

Questa è la storia di un uomo tranquillo, che chiese consiglio in un periglio.
Siccome la stada aveva smarrita, chiese soccorso con grande fatica.
Al poveretto l’aiutarono in tanti, tutti solerti e molto pedanti
Fecero chiasso in grandi riunioni, cercando sfogo alle proprie pulsioni.
C’era il saggio che tanto parlava, poi c’era il vecchio che tanto sapeva
C’era la bella che tutti attraeva e pure il dotto che solo annuiva.
Rimaser a consiglio, per tanto aiutare, fino ad un mese o forse anche più.
Quando poi il cibo iniziò a scarseggiare, deliberarono tutti contenti:
Il poveretto si dovea rassegnare ed un atlante alfine comprare.
La morale di questa storiella è che a parlare c’è sempre favella
Il sol consiglio che ne puoi ricavare è che era meglio non stare a cercare!

Filastrocca
What most is important?

What most is important?

What is the most important thing during the life of a butterfly? To have been a caterpillar.

What is the most important thing for the fruit? To have been a semen.

What is the most important thing for a mature man? Remind the way of playing when he was a child.

What is the less important thing for an hopeless? To know that the world is plenty of opportunities.

What is the less important thing for a castaway? To appreciate the beauty of the sea.

What is the less important thing for a blind? That outside there is daylight.

What most is, was or will be for you, important?

The values are relative: when we still haven’t them we don’t care about this, when we have lost them could be too late to regret them!

Theme: Overlay by Kaira
Everybody lies