I diversamente giovani come il sottoscritto (e, ovviamente, anche quelli nati prima) ricorderanno un ballo nato nell’isola di Trinidad, ai Caraibi, che andava molto di moda in tutte le feste a partire dai primi Anni Sessanta, anche grazie alla musica orecchiabile e ritmica di un pezzo dei “Champs”, reso ancor più celebre da Chubby Checker con il titolo Limbo Rock.
Ebbene tale ballo consiste nel passare a ritmo di ballo sotto un’asticella sorretta o da altri partecipanti al ballo medesimo o da appositi sostegni. Ad ogni turno ciascun ballerino dovrà, senza toccare l’asticella medesima o il terreno con la schiena, passare sotto tale ostacolo posto di volta in volta più in basso. In pratica si tratta dell’opposto di quanto avviene in atletica con l’asticella del salto in alto o del salto con l’asta, dove invece di essere abbassata l’asticella viene posta sempre più in alto per passarci al di sopra senza toccarla.
Questa è l’immagine che mi viene in mente, a me noto complottista di terz’ordine, in merito alla storia, dal mio punto di vista molto divertente, dei vaccini salvifici che in tutti i Paesi si vedono come la panacea a tutti i problemi che la “pandemia” sta causando al mondo. O meglio, si vedevano come tali. Già, perché i meno attenti non ricorderanno come lo scorso anno, nel pieno del panico derivante dalle morti e dall’incertezza su come avvenissero i contagi del virus, si iniziò a parlare del vaccino come il solo mezzo per liberarci da questo immenso incubo e tornare alla “normalità”. Quando poi i vaccini, prodotti a tempo di record, sono arrivati, si è iniziato a dire che nonostante la vaccinazione non si potrà arrivare ad una vita “normale”, come quella di prima. Occorrerà continuare a portare la mascherina e il cosiddetto distanziamento sociale. Questo, dicono i ben informati (oramai chiunque spara opinioni e notizie in proposito a qualunque cosa), perché il vaccino proteggerebbe chi lo fa, ma non gli altri da un possibile contagio (immagino per tocco “divino”, visto che gli anticorpi non dovrebbero rendere nessuno più contagioso). Ad ogni modo la cosa che trovo più interessante non è questa, visto che personalmente non intendo affatto vaccinarmi (e se mai dovessero obbligarmi anche solo per prendere i mezzi pubblici spero di potermi fare quello russo “Sputnik V”), quanto invece il fatto che i vaccini sembra che non bastino per tutti e che, a causa di questo fatto misterioso, i tempi di un “ritorno alla minima normalità” si allungheranno di conseguenza.
In parole povere, non credo che i vaccini non ci siano (fuori dall’Europa ci sono eccome, oltre al fatto che ci sono brocker europei che li hanno e li vendono solo al di fuori dei confini della UE, per espresso divieto). Al contrario penso che si vogliano allungare sempre di più i tempi dell’inutile vaccinazione (le varianti si diffondono e rendono inutile qualsiasi vaccino. Mentre non si dice che basterebbe curare i sintomi, visto che le cure ci sono e sono a bassissimo costo) per dare più tempo a chi di dovere di far fallire le piccole e medie imprese e impoverire la gente che non trova più lavoro. Il Grande Reset di Davos a questo serve. Un solo anno di finta pandemia (ho già spiegato altrove perché “finta”) non è sufficiente a portare a compimento tale operazione. Occorre continuare con le aperture ad organetto (fatte per ridare una tenue speranza di vedere la fine dell’incubo), salvo poi richiudere tutto dando la colpa ora all’irresponsabilità dei giovani o dei vacanzieri, ora all’ennesima variante proveniente da chissà dove, che causano la terza, poi la quarta, la quinta ondata e così via. Tutto ovviamente condito da false o parziali notizie diffuse a profusione dai media complici e servi del grande potere.
L’asticella si avvicina sempre più verso il terreno e a tempo di Limbo si scende sempre più, ma ancora non tutti se ne stanno rendendo conto.
C’era una volta una strega cattiva…, o meglio ce n’erano due. Così potrebbe iniziare la nostra storia. Oppure: in un mondo futuro, manco tanto lontano, c’era una bella principessa addormentata nel bosco. Il suo nome era Italia.
La povera meschina viveva in povertà assoluta, vessata dalla mattina alla sera da un migliaio di orribili nanetti, servi sciocchi, o utili idioti che dir si voglia, delle due regine.
Ogni volta che la principessa stava per essere svegliata da un principe che passava nel bosco, ecco che le due streghe cattive, ora l’una ora l’altra, provvedevano a farla ripiombare in un sonno profondo facendola pungere dai nanetti con un fuso dalla punta avvelenata. A tempi irregolari le due perfide vegliarde le inviavano finti principi che, con le labbra avvelenate, la baciavano fingendo di volerla liberare dal gioco perverso di sottomissione e in realtà facendola piombare ogni volta in uno stato catatonico sempre più profondo.
Un bel giorno la principessa più potente (che aveva generato l’altra con lo scopo di occuparsi dei territori lontani in una regione chiamata Europa) decise che era arrivato il momento di mandare un essere molto potente, al suo servizio, per finire definitivamente di soggiogare la bella addormentata. Questo essere aveva le sembianze di un Drago che sputava fiamme dalle narici ed era circondato da otto fedelissimi che gli facevano da scudieri.
La seconda strega cattiva (quella un po’ meno potente, per capirci) che si chiamava UE e le sue aiutanti, Alemanna e Franzosa in primis, pensarono erroneamente che il Drago fosse stato mandato per dare loro una mano a sottomettere la bella addormentata. Ma in realtà non avevano capito un bel niente. In realtà egli era l’inviato della strega più potente, il cui nome NOM faceva rizzare i capelli in testa per la paura al solo nominarlo, e di quest’ultima doveva portare a termine gli ordini, fregandosene bellamente delle aspettative di UE e delle sue servitrici.
Proprio questa, però, era la ragione per la quale agli occhi sognanti di Italia (e non avrebbe potuto essere diversamente, sennò che bella addormentata sarebbe stata!) sembrava essere l’eroe salvatore della Patria. Così ad ingannarsi erano in due: la meschina che versava in un letto di dolore e sangue, e la strega UE e le sue servette.
Alle volte le speranze giocano brutti sogni e il sonno della ragione genera incubi, oltre che mostri.
Il seguito della favola ve lo racconto un’altra volta. Intanto vado sulle tombe dei fratelli Grimm e di Basile per farmi perdonare.
Un grande circo. Solo questa è l’immagine che userei per definire l’attuale momento politico italiano. La frenetica corsa dei “partiti” (sarebbe opportuno chiamarli così solo in virtù del participio passato del verbo partire, ossia nel senso che sono belli che andati… da tempo oramai) a salire sul carro del vincitore, quel Mario Draghi di cui ho ricordato la figura qui, è uno spettacolo di una tristezza unica e palesa completamente il vuoto cosmico in cui è precipitata la Politica in Italia. Nessuno escluso. La finta opposizione manifestata da “Fratelli d’Italia” di Giorgia Meloni, entrata nell’Aspen Institute, è solo che funzionale a non far dire che il “salvatore della Patria” ha ottenuto un consenso bulgaro, da Paese governato da un sistema dittatoriale, mascherato da democrazia.
Esempio lampante di questo circo è la finta “riflessione” di Beppe Grillo, un comico che si è da tempo venduto a quegli stessi poteri forti che, un tempo, diceva di voler combattere. Il partito da lui creato (cui inizialmente avevo aderito anch’io, ed è stata la prima e l’ultima volta in vita mia che ho fatto una cosa del genere, illudendomi che fosse realmente “rivoluzionario”) è stato funzionale al “sistema”. E questo per convogliare la rabbia della gente nei confronti di una classe politica oramai completamente inconsistente e perpetuatrice del proprio potere, ai danni dell’interesse reale del popolo che gli aveva dato il proprio consenso (quando era stato possibile votare, cosa praticamente oramai inutile per la qualità dei possibili rappresentanti, oltre che una forma di democrazia, tale o presunta, praticamente proibita nel nostro Paese). Ebbene Grillo ha detto di aver trovato sorprendentemente un “grillino” in Draghi, chiedendo, durante il colloquio avuto con quest’ultimo, un “ministero per la Transizione ecologica”.
Si potrebbe obiettare che non si capisce (in realtà la ragione si comprende benissimo, come spiegherò fra poco) il motivo per il quale i 5 Stelle non lo hanno fatto direttamente loro, visto che sono stati al Governo dal 2018. Ma la risposta è molto chiara e logica, almeno per me. E la ragione è molto semplice. Quella di Grillo non è altro che una pantomima, giacché la sua “richiesta” non è altro che la spinta che il Nuovo Ordine Mondiale, ossia quello di Davos e del “Great Reset” (non è complottismo, visto che è tutto pubblico), vuol far passare attraverso il messaggio che la nuova economia “green“, quella preparata con Greta per capirci, è imprescindibile e auspicabile, perché il futuro non può che andare in quella direzione. Ossia verso la digitalizzazione e il cambiamento dell’industria in una forma -dicono loro- di eco-compatibilità e sostenibilità ambientale. Ovviamente non è così. La nuova industria (sempre loro) inquina tanto quanto quella classica. Almeno allo stato attuale delle cose. Ma sicuramente tende alla sostituzione della manodopera umana con le macchine. Queste ultime lavorano 24 ore al giorno, 7 giorni su 7, 365 giorni l’anno. Non bisogna pagargli uno stipendio, non si ammalano, non scioperano, sono estremamente efficienti e il loro costo si ammortizza in tempi molto brevi.
L’annientamento della piccola e media impresa
Questo causerà una vera e propria ecatombe nelle fila dei lavoratori che, di conseguenza, andranno a riempire il bacino dei disoccupati, molto spesso con famiglie a carico. Altra operazione che si sta facendo in parallelo è la distruzione della piccola e media impresa, attraverso le chiusure forzate (i vari lockdown) dovute, così dicono loro, per il dilagare della “pandemia”. A proposito di quest’ultima, come ha fatto giustamente notare l’ex ministro Antonio Martino (qui, dal minuto 9:17 circa), la si può definire tale? La domada è più che plausibile, visto che la “Spagnola”, all’inizio del secolo scorso, causò circa 50milioni di morti con una popolazione mondiale di circa 1miliardo e 400milioni di persone, mentre oggi il Covid ha fatto circa 2,36milioni di morti (ammettiamo pure per causa diretta) a fronte di 7miliardi e mezzo di abitanti.
Un “salvacondotto” sanitario
Allora le chiusure forzate a cosa servono? In Germania è venuto fuori uno scandalo (che non è stato minimamente pubblicizzato sui media mainstream), grazie alla versione domenicale del quotidiano “die Welt”. In base alle informazioni della redazione di Colonia, venuta in possesso di circa 200 pagine di corrispondenza interna, ottenute dagli avvocati nel corso di una controversia legale (tutt’ora in atto), che coinvolgono il ministero degli Interni e il prestigioso Robert Koch Institut, oltre a molti scienziati di diversi altri istituti di ricerca e Università. Ebbene, il Ministero avrebbe incaricato i ricercatori dell’Istituto e delle altre istituzioni di creare un modello di calcolo sulla base del quale il ministro Horst Seehofer (CSU), ha giustificato le dure misure per il Coronavirus per scopi politici nella prima ondata della pandemia, nel marzo 2020. In uno scambio di e-mail il sottosegretario di Stato, Markus Kerber, chiedeva ai ricercatori contattati di elaborare un modello sulla base del quale pianificare “misure preventive e repressive”. Secondo la corrispondenza, gli scienziati hanno lavorato in stretto coordinamento con il Ministero e in soli quattro giorni hanno sviluppato i “motivi giustificativi” in un documento che era stato dichiarato segreto, che è stato distribuito tramite vari media nei giorni successivi. È così che era stato calcolato uno “scenario peggiore”, secondo cui più di un milione di persone in Germania sarebbero potute morire a causa del virus, se la vita sociale fosse continuata come prima della pandemia.
La chiusura forzata serve dunque a questo (e non a contenere i contagi, visto che sui mezzi pubblici si viaggia comunque stipati, praticamente ogni giorno in ogni nazione): a far fallire intere categorie lavorative. In Germania si calcola che già ora un’impresa su cinque è già bella che fallita. E stiamo parlando di un Paese che ha ampiamente fornito sussidi economici (almeno durante la scorsa primavera) alle imprese messe in difficoltà dalle chiusure forzate. Figuariamoci in Paesi come l’Italia, dove gli aiuti sono stati praticamente inesistenti, almeno nella maggior parte dei casi.
La vita prossima futura
E allora? Dopo il fallimento della piccola e media impresa, cosa accadrà? Beh, la gente inizierà ad attingere ai propri risparmi (c’è chi già lo sta facendo) per poter sopravvivere, poi toccherà ai beni immobili (l’Italia in particolare è il Paese che europeo che ha più risparmio privato, che ammonta a circa 9mila miliardi tra denaro e proprietà immobiliari). I grandi gruppi a quello mirano e in cambio, per non far ribellare la gente, le verrà concessa una sorta di paghetta (chiamatelo pure reddito di cittadinanza universale, o come volete) che permetterà alle persone di sopravvivere e di comprare le merci prodotte dai giganti trasnazionali. Il tam tam per far abituare all’idea del nuovo regime è già partito, facendo passare l’idea falsa che non possedere nulla in cambio di una sicurezza sanitaria (ovviamente obbligando le persone a vaccinarsi per poter compiere le più normali attività sociali, come prendere i mezzi pubblici, o frequentare cinema, teatri o anche prendere un aereo per i viaggi più lunghi) è bello e naturale, perché si può usufruire di tutto affittandolo. Da chi? Ma da loro, ovviamente. Le persone non dovranno possedere più nulla. Fa fico (ve lo stanno istillando su tutti i giornali “di regime”) fare il rider per consegnare pizze tutto il giorno, piuttosto che avere il vostro “vecchio” lavoro. Anche se avete 50 anni. Perché dovete essere precari a vita e vi dovete abituare all’idea. Neanche il denaro contante ci dovrà più essere. Con la moneta digitale (che viene detto conviene per evitare i contagi con lo scambio di cartamoneta, oppure per l’altra panzana del controllo dell’evasione fiscale) saremo tutti sotto controllo in ogni momento. Di noi si saprà sempre dove siamo, cosa facciamo e quando lo facciamo. Inoltre ci si potrà chiudere il rubinetto in qualsiasi momento, lasciandoci in povertà assoluta (cosa si può fare quando una banca ci nega l’utilizzo della carta di credito o del pago-bancomat, o il trasferimento elettronico di denaro?), oltre che essere messi alla pubblica gogna come individui pericolosi per la società se non si rispettano le “regole” imposte dal sistema (cosa che regolarmente già avviene in Cina, uno dei due grandi poli del Nuovo Ordine Mondiale). Il tutto tramite applicazioni sul cellulare o sul computer, se lavorate da casa (smart working è bello e fico), oppure con un chip sottopelle, come sta già avvenendo in Svezia, dove, guarda caso, la “pandemia” ha colpito molto poco e la gente (al contrario di quello che vi raccontano giornali e tv) gira quasi del tutto liberamente. Chissà com’è!
Ebbene, di fronte a questo mondo che ci aspetta, che senso ha ancora discutere di Grillo, i 5 Stelle o Salvini? La risposta datevela da soli.
Possiamo leggere nella Treccani: “La pantomima, ossia una rappresentazione scenica muta, nacque in Grecia e si diffuse a Roma a partire dalla fine del 1° sec. a. C.; in seguito si conservò come genere nel medioevo, ed è restata in uso, specialmente in Francia e in Inghilterra, e viene tuttora praticata in varie forme”. Ebbene, quella a cui stiamo assistendo in questi giorni, principalmente in Italialand, ma anche altrove, è l’applicazione pedissequa di tale rappresentazione a dir poco teatrale.
Da noi si esplica in forma di crisi di Governo, fatta “scoppiare” da Renzi. Pantomima messa in atto quando al bulletto di Rignano sull’Arno è stato detto di farla scoppiare. Infatti né lui, né alcun altro dei nostri politicanti può far nulla che non si voglia altrove. E così è arrivato il nuovo “messìa”, il “salvatore” della Patria, il “santo”: super Mario Draghi, classe 1947 (così ricorda più quel che è, ossia una sorta di videogioco).
Breve cronistoria di un “salvatore” della Patria
Non tutti ricordano con esattezza chi in realtà costui sia, anche perché il tam tam quotidiano di tutti i media indistintamente ne tesse le lodi sperticate, senza un commento negativo. In pratica il quadretto da teatrino che ne viene fuori è una santificazione ante-dipartita all’altro mondo, comprensiva di ricordi di perfetti sconosciuti o di gente più o meno nota (intervistata da sosia di comici del passato) che, per un motivo o per l’altro, aveva anche solo toccato il mantello del “santo”.
Al di là della sua innegabile competenza (anche perché sennò non sarebbe stato fatto arrivare alle cariche più alte dove è stato, nel corso degli anni, dalle élite finanziare che comandano il mondo), quel che si omette di dire è l’aspetto totalmente negativo della figura dell’uomo e dell’abile esperto economico-finanziario. A parte ciò che ne pensava quel gran maneggione della politica italiana che era Francesco Cossiga (‘o picconatore), il buon Mario, salvatore della Patria, era criticato anche dal ministro Paolo Savona (massone come lui, ma di loggia avversa alla sua e di Visco, altro ex Governatore di Banca d’Italia). Ma in questo caso si potrebbe dire che fossero gente “di parte”. Allora conviene far parlare i fatti, o per meglio dire i “misfatti” compiuti dall’ex capo della Banca Centrale Europea. Ci si dimentica infatti, come per magia, che super Mario, ex allievo di Federico Caffé (che si starà rigirando nella tomba), economista di stampo keinesiano, misteriosamente scomparso nel 1987, ben presto aveva per così dire “dirazzato” dalle dottrine del maestro. Il nostro santone, infatti, dopo aver frequentato il MIT di Boston (1971) rientra in Italia dove, dopo alcuni incarichi universitari, nel 1983 diventa consigliere di Giovanni Goria, ministro del Tesoro nel governo Craxi. L’anno dopo, il nostro eroe inizia la sua carriera per così dire “internazionale” diventando direttore esecutivo della Banca Mondiale a Washington, carica che ricoprirà fino al 1990, e presidente del Comitato economico e finanziario dell’Unione Europea. Nel 1991 viene nominato Direttore Generale del ministero del Tesoro, ruolo che ricoprirà per 10 anni, fino al 2001. Ed è proprio durante questo lungo incarico (voluto da Guido Carli, sarà confermato da Ciampi, Amato, Berlusconi, Dini, Prodi e d’Alema. Insomma tutta bella gente…) che promosse le privatizzazioni selvaggie delle aziende pubbliche italiane. Sempre per conto del nostro Paese fu il capo negoziatore che accettò i vincoli di bilancio del Trattato di Maastricht.
La crociera sul “Britannia”
C’è da notare che nel giugno del 1992 il “nostro” partecipò alla famosa crociera sul panfilo “Britannia” di sua maestà regina del Regno Unito (al secolo l’immarcescibile Elisabetta II). Non era il solo italiano presente. Con lui c’erano infatti Carlo Azelio Ciampi e Beniamino Andreatta, in seguito protagonisti del famoso divorzio tra Banca d’Italia e il Tesoro, oltre ad i vertici di Eni, Iri, Comit ed Ina.
Si partì così nel luglio 1993 con la vendita, o svendita, della prima tranche del gruppo SME, controllato dall’Iri. L’onore di aprire la strada toccò ai surgelati e ai dolci: Motta, Alemagna, Surgela più varie e molte altre eventuali. Se li aggiudicò tutti la svizzera Nestlè. Ci fu poi una frenata con il governo Berlusconi del ’94 (fino al ’96), per poi riprendere la galoppata delle svendite con i governi Prodi e D’Alema. Il gruppo IRI fu smembrato e messo in vendita: il ricavo immediato fu di 30mld di lire, lievitati poi però sino a 56mila e passa. Una cordata capitanata dagli Agnelli si aggiudicò Telecom. Ciampi, allora ministro del Tesoro, spiegò che serviva ad impedire che la Fiat fosse venduta all’americana General Motors. D’Alema, arrivato al governo alla fine del 1998 patrocinò il cedimento di Autostrade a Benetton, introducendo una delle principali specificità delle privatizzazioni all’italiana: la vendita allo stesso soggetto sia del servizio che delle infrastrutture, le autostrade e i caselli, Telecom e i cavi sui quali viaggia il segnale. Successivamente furono privatizzate quote di Enel ed Eni, passando per il disastro di Alitalia. Da allora il debito pubblico, anziché essere risanato come dicevano di voler fare, triplicò. Si perse oltre un milione di posti di lavoro e ci fu un agglomerato di privati che formarono veri e propri monopoli di mercato, di fatto affossando la libera impresa.
Nel 1998 infatti il “santo” aveva firmato il testo unico sulla finanza – noto anche come “Legge Draghi” (Decreto Legge del 24 febbraio 1998 n. 58, entrato in vigore nel luglio 1998) – che introdusse la normativa per l’OPA (Offerta Pubblica di Acquisto) e la scalata delle società quotate in borsa. Telecom Italia sarà la prima società oggetto di OPA, da parte dell’Olivetti di Roberto Colaninno, a iniziare l’epoca delle grandi privatizzazioni. A questa seguiranno appunto la liquidazione dell’IRI e le privatizzazioni di ENI, ENEL, Credito Italiano e Banca Commerciale Italiana di cui ho parlato prima.
Dal 2002 al 2005 il “salvatore della Patria” diventa vicepresidente per l’Europa di Goldman Sachs, quarta banca d’affari al mondo. Alla fine del 2005 viene nominato Governatore della Banca d’Italia, il primo con un mandato a termine di sei anni, rinnovabile una sola volta. Nel 2012 (il 24 giugno) viene ufficialmente “incoronato” Presidente della Banca Centrale Europea (BCE), mentre ad ottobre dell’anno prima aveva preso il suo posto in Banca d’Italia Ignazio Visco (di cui ho parlato prima).
La pantomima con i “cattivi” tedeschi
Proprio nel 2012 farà il discorso nel quale pronuncerà la famosa frase: «But there is another message I want to tell you. Within our mandate, the ECB is ready to do whatever it takes to preserve the Euro. And believe me, it will be enough», ossia «Ho un messaggio chiaro da darvi: nell’ambito del nostro mandato la BCE è pronta a fare tutto il necessario a preservare l’Euro. E credetemi: sarà abbastanza». Fu così che introdusse il cosiddetto quantitative easing (che vide la luce a partire dal 2015), immettendo in pratica liquidità comprando i titoli di Stato, fra cui quelli italiani, sul mercato secondario (la BCE non può fare acquisti diretti su quello primario). Grande scandalo, soprattutto nelle parole dei tedeschi, in primis quelle del capo della Deutsche BundesbankJens Weidmann.A questo proposito non c’è che dire: un bel balletto di dichiarazioni fra i due, secondo il mio modesto parere, di assoluta facciata. In realtà ad entrambi quel che premeva (e che preme tutt’ora) era solo una cosa: salvare l’Euro, ossia il metodo di comando in Europa. Il primo in quanto facente il gioco di chi l’Euro l’ha creato a questo scopo (la Finanza internazionale -leggi anglo-americana-, ossia i veri padroni del mondo), il secondo perché cosciente del fatto che la Germania, messa a guardia del continente dagli stessi di cui sopra, ha avuto solo che da guadagnare dalla moneta unica. Ho infatti già scritto altrove (secondo questo studio qui di cui ho scritto in “Ri-pensare l’Europa” e qui) come risulti evidente da ricerche, compiute peraltro dagli stessi tedeschi, come a guadagnare dall’Euro siano stati proprio loro, e a perderci siano state soprattutto l’economia e le famiglie italiane.
Ebbene, una volta portato a termine il suo compito di salvaguardia dello scettro del comando (l’Euro) il “salvatore della Patria” si è messo “in panchina”, o meglio direi sulla riva del fiume, aspettando che i tempi fossero maturi per ritornare in scena come fosse il “messia”. Ora, dopo la parentesi di Giuseppi, messo lì anche lui per preparargli il terreno, il momento è arrivato. Oggi il Governo, che finirà ciò che ha già iniziato, poi la presidenza della Repubblica.
Quel che è certo è che allo strapotere delle élite si sono piegati tutti, ivi compresi quelli che nei finti partiti di opposizione (leggi Lega o Fratelli d’Italia) sembravano essere le sole luci di speranza di una tenue resistenza. Mi riferisco in particolare ad Alberto Bagnai e Claudio Borghi (che casualmente sono nella Lega, ma che avrebbero potuto rappresentare gli interessi del nostro povero, disastrato Paese, ovunque avessero militato). Entrambi hanno, a mio parere, dovuto cedere agli interessi di partito. Per non parlare della Meloni che è entrata direttamente nell’Aspen Institute, al cui interno ci sono nomi come Romano Prodi, Giuliano Amato, Paolo Mieli e Mario Monti. Amen.
La sconfitta (o sarebbe meglio dire il furto perpetrato ai suoi danni) di Trump ha determinato da noi un governo Draghi, che è la resa incondizionata di un Paese alle élite finanziarie che tale nazione hanno portato alla rovina totale. Una guerra vera e propria (come la finta pandemia in corso), che rappresenta una seconda e, temo, definitiva Caporetto.
Al di là di finti assalti al Campidoglio (Cossiga insegna come ci si deve comportare in certi casi, per non parlare dei Servizi che entrano in scena in questi casi), quel che è successo e sta accadendo in queste ore negli USA è l’esatta fotografia di ciò che accade ovunque nel mondo oramai. Lì la gente che supporta Trump, ossia seppur inconsciamente una certa visione del mondo (non voglio nemmeno tornare sul fatto di come consideri il miliardario americano parte del sistema, seppure da preferire fra le due) è ancora potuta scendere in piazza. Questo è ancora permesso qui in Germania (non so ancora per quanto), mentre è palesemente proibito e stigmatizzato da noi in Italia, dove il gigantesco esperimento sociale ha ormai preso piede in modo irreversibile, anche grazie alla complicità del martellamento h24 dei media mainstream (praticamente tutti prezzolati). Il dissenso, oramai, è palesemente osteggiato in gran parte del mondo, supportato dalla finta emergenza della finta pandemia (non voglio nemmeno più tornare sulle cavolate del “negazionismo”, perché non è di quello che si tratta. Nessuno nega l’esistenza del virus né la sua maggiore capacità infettiva, bensì la sua presunta maggiore letalità rispetto ad altri virus, compresa la banale influenza stagionale, e la sua oramai incontestabile curabilità tramite normali e poco costosi farmaci, conosciuti da tempo). Finta pandemia anche perché al prossimo giro, se non verrà usato il Covid 19, sarà la volta del Covid 20, 21 o 22, o un’altra forma qualsiasi di minaccia sanitaria, attraverso la quale si è capito che si possono ottenere risultati di controllo totale a livello planetario di gran lunga più rapidi e convincenti dell’utilizzo delle bombe.
La visione del mondo si sta lentamente staccando in due, al di là di chi pensa ancora (perché volutamente fuorviato da una narrativa di regime costruita ad hoc a cui ancora molti abboccano) che il mondo si divida tra “destra” e “sinistra”. Non capendo, evidentemente, che parlare di tale suddivisione non ha più il minimo senso. E questo è ormai chiaro anche ad un cieco, essendo venuta chiaramente alla luce la spaccatura tra un’élite ricchissima (i veri padroni del mondo, quelli della tecnocrazia finanziaria, ossia i massoni, di cui a loro volta fanno parte il potere ebraico (diviso a sua volta al suo interno in fazioni fra di loro contrastanti), la Chiesa e la Mafia (che rappresenta il braccio armato per i lavori “sporchi” non sotto copertura dei Servizi) e il resto dell’umanità.
Ebbene, tale “spaccatura” in due, dove le forze messe in campo sono palesemente sproporzionate e sbilanciate a favore dei primi rispetto ai di gran lunga più numerosi secondi, è paradossalmente un segno di speranza. Ritengo infatti che la caduta oramai pressoché palese di questo “velo di Maya” posato fino ad oggi sulla realtà proprio per nasconderla, possa alla fine risvegliare almeno parte delle coscienze fino ad oggi sopite a suon di telefonini, propaganda e paghette (leggi redditi di cittadinanza et similari) distribuiti a gogò dalle élite al popolino sottomesso. Staremo a vedere se sarà più forte la propaganda di una narrazione che non regge più o la forza della fame di uno stomaco vuoto di cibo e di speranza.
Un Paese devastato, nell’economia e nello spirito, nello Stato sociale e nella psicologia. Questo è ciò che appare evidente ad uno spettatore che veda lo spettacolo a dir poco pietoso che ormai dà di sé l’Italia. Almeno se la si guarda non con gli occhi di un italiano che vive all’interno del Paese, quotidianamente bombardato da una propaganda dall’amaro sapore di regime che i mass media a tamburo battente amplificano ad ogni ora, bensì con quelli di un visitatore che conosca bene la nazione e che la osservi nei suoi giornalieri cambiamenti, quasi impercettibili se visti dall’interno.
“Andrà tutto bene!”
All’inizio era il mantra “andrà tutto bene!” (slogan usato non solo in Italia. E questo dovrebbe far pensare…), e s’è visto che tutto bene non è affatto andato. Basta vedere la conta dei morti, reali o presunti (tutti morti per Covid, visto che per ogni morto di questo virus gli ospedali hanno preso 600 euro, contro i 300 per altri tipi di patologie). Anche questo slogan, creato ad hoc, è stato coniato con il tempo verbale coniugato al futuro. Così come tutti al futuro sono la miriade di slogan creati e lanciati praticamente ogni giorno dal “premier”, quel Giuseppi mai eletto da alcun cittadino italiano, sbucato apparentemente dal nulla e allevato all’arte della Politica con un corso accelerato tenuto da un alto diplomatico, ex Ambasciatore a Berlino, messogli alle calcagna dal PD a bella posta, affinché impratichisse l’inesperto “prescelto” a diventare un navigato imbonitore di folle, con slogan (per l’appunto) e luoghi comuni che facessero presa su un popolo di certo già avvezzo a seguire l’imbonitore di turno, in passato come nei giorni presenti. Se a questo ci aggiungiamo una martellante campagna mediatica messa su, anche questa ad hoc, da una miriade (pressoché la totalità) di compiacenti mass media nostrani, sempre pronti ad offrire il microfono al parvenu di turno e ad omaggiare l’imbonitore prescelto con elogi sperticati, degni di un De Gasperi o un Cavour (mi scuseranno entrambi per il paragone, mi rendo conto, a dir poco blasfemo), il quadro è quasi completo.
Una classe politica di inetti, nel migliore dei casi (leggi gran parte del M5S), e di servi del vero potere, quello che decide come debbano andare le cose (non solo da noi) rappresentato dal vero cancro politico-sociale del Paese, ossia il PD. Entrambi devono continuare a governare una nazione distrutta e resa prona, anche da un punto di vista economico, ad ogni costo. Per farlo stanno preparando tutta la narrativa sulla “seconda ondata del virus”, facendo uscire dati palesemente falsati non più, si badi bene, sul numero di morti che non sarebbe più credibile, bensì su quello dei contagiati, benché asintomatici e del tutto innocui per gli altri. Chi colpevolizzare questa volta? Ovvio, i giovani, coloro che hanno voglia di vivere e divertirsi, soprattutto d’estate. E allora ecco che si è ritirata fuori la vecchia terminologia della “movida“, come sinonimo di gozzovigliamento “colpevole”, ieri per attaccare Salvini, oggi per rendere untori quanti hanno voglia di vivere. Poi è arrivato il periodo scolastico. Quale migliore occasione per propagare il verbo del contagio? Una miriade di giovani (irresponsabili per antonomasia) che potrebbero rappresentare il veicolo ideale della diffusione di un virus che, a detta di fior di virologi (e non dal sottoscritto), è oramai scomparso, almeno nella sua versione primigenia. Quel che ne è rimasto è un virus oramai mutato (come tutti i virus, e in particolare quelli di questa tipologia) e con una carica virale bassissima.
La scuola
La scuola dunque. Questa istituzione già a lungo massacrata nel nostro Paese, almeno da 30 anni a questa parte, è stata presa come piattaforma ideale dalla quale far partire i “missili” del contagio. Quale migliore ambiente di quello dove le giovani menti si formano per diventare i cittadini di domani, inculcandogli fin da piccole l’idea del distanziamento e dell’obbedienza cieca, quella non costruttiva, quella che non prevede il dubbio e il fare domande, oltre all’idea che il tuo vicino, il tuo compagno, il tuo amico, potrebbe costituire un potenziale pericolo, quindi come tale un nemico potenziale. Gli adulti, già formati, non hanno la più pallida idea di quanto questo possa essere devastante sulla psiche di una giovanissima mente in formazione (soprattutto per quella dei più piccoli). Sono danni psicologici che ci si porterà dietro per sempre e che plasmeranno la personalità del futuro essere adulto. Tutto questo senza contare il danno fisico dell’indossare per 5 o 6 ore al giorno una mascherina dove tutti gli scarti del nostro organismo vanno a finire con il respiro, umido per giunta.
Per far digerire questo regime vero e proprio si è inscenata la buffonata degli oltre 2milioni di banchi con le rotelle (ideali autoscontro per i ragazzi), ordinati a ditte compiacenti, per il costo astronomico di oltre 300 euro a banco (da notare che sui siti cinesi online il costo si aggira dai 16 ai 68 euro circa). Per mantenere le “distanze di sicurezza” sarebbe bastato adottare il metodo usato in altre nazioni, disponendo i banchi già esistenti in modo intelligente, invece di buttarli. A nessuno in Italialand sembra venire in mente di porsi due domande: primo, in una scuola dove mancano i docenti per seguire gli alunni, erano i banchi una priorità? Secondo: ma com’è possibile che fino a soli 6 mesi fa nelle scuole pubbliche italiane mancava perfino la carta igienica perché non c’erano soldi per comprarla, e oggi, come per magia si possano spendere milioni e milioni di euro per banchi di plastica? La stessa domanda ce se la si sarebbe dovuta porre riguardo agli ingenti mezzi (droni, quoad, elicotteri nuovi di zecca) usati dalle forze dell’ordine durante il periodo del lockdown per rincorrere poveri disgraziati che prendevano il sole isolati o facevano jogging sulle spiagge o mentre facevano il bagno da soli in mezzo al mare. Fino a pochi mesi prima lo Stato non aveva soldi nemmeno per mettere benzina nelle auto di pattuglia o per comprare divise nuove ai poliziotti. Da dove sono saltati “improvvisamente” fuori questi soldi? Mistero! (si fa per dire). E non voglio parlare del casino che salterà fuori allorquando un ragazzo risultasse “positivo” al Covid: un autentico disastro per l’intera classe e scuola. E per i genitori coinvolti che dovranno rimanere a casa con i propri figli, distanziati da altri eventuali presenze nella casa (come?).
Parola d’ordine “negazionismo”
“Le parole sono importanti”, diceva un incuffiato Nanni Moretti in “Palombella rossa”. E sempre nello stesso film rimarcava: “Chi parla male, pensa male e vive male“. E le parole sono usate come armi, tanto per colpevolizzare, come nel caso dei “contagiati asintomatici“, quanto per mettere all’indice, come nel caso dell’espressione “negazionista“, volutamente usata nei confronti di quanti pur non negando la presenza del virus ne contestano la presunta attuale pericolosità, manifestando i propri dubbi. Il termine “negazionista” è quanto di più infamante si potesse trovare per bollare quanti osano farsi domande e porre dubbi. Infatti il riferimento è voluto, in quanto associato a quanti negano che sia avvenuta la Shoah, ossia l’Olocausto degli ebrei da parte dei nazisti durante la Seconda guerra mondiale. Un espediente di bassa lega che qualifica chi utilizza in questo caso del tutto volutamente e impropriamente tale termine. Ma le parole sono importanti anche per quello che si vorrebbe si tenesse fra le persone, ossia il cosiddetto distanziamento “sociale” e non “fisico”, come sarebbe stato logico chiamarlo. Questo ovviamente non a caso, ma volutamente per rimarcare il fatto che gli individui debbano considerarsi come delle monadi, distanziate le une dalle altre, fisicamente e psicologicamente. La massa non deve esistere, perché anche involontariamente potrebbe fare resistenza. L’individuo isolato, invece, è maggiormente debole, e quindi controllabile, oltre che sanzionabile.
Un’economia morta
Quel che rimane del Paese è un’economia disastrata, oltre ad un popolo prostrato dalla continua paura ingenerata da istituzioni e mass media (al loro servizio. Anche in questo caso fatevi due domande come mai non ci siano più voci “fuori dal coro” fra i vari giornali e trasmissioni televisive…). Una città come Roma (a puro titolo d’esempio), che vive di turismo e di servizi, è praticamente morta (-80 per cento di presenze turistiche quest’estate). Si continua a lavorare prevalentemente in “smart working” (che poi cos’abbia di così “intelligente” non si capisce proprio), così la gente non va all’abituale posto di lavoro. Questo comporta che non va a mangiare nelle vicinanze dell’ufficio (come faceva prima) e non va a comprare nei negozi sempre limitrofi, con conseguenze economiche disastrose per questi ultimi. Inoltre lavorare in “smart working” comporta il fatto che voi non siate necessari all’azienda o all’ufficio in presenza fisica nel luogo in cui l’azienda risiede. Chi vi dice che domani l’azienda non si rivolga per fare il vostro lavoro a qualcuno, chessò, in India e che gli costa la metà di voi? Già molte aziende hanno ridotto di fatto la paga mensile tagliando l’erogazione dei cosiddetti “buoni pasto” (che nella stragrande maggioranza dei casi sono parte integrante dello stipendio). Il Governicchio dell’annuncite declinata al futuro tira a campare, prolungando le cassa-integrazioni fino a gennaio. Secondo i dati dell’Istat finora l'”emergenza Covid” è costata, rispetto al secondo trimestre 2019, 841mila posti di lavoro (-3,6% in un anno). E questo è solo l’inizio. Purtroppo con l’inverno il tracollo economico sarà evidente in tutta la sua portata. Non mi soffermo qui sul Recovery Fuffa e sul Mes.
Un’ultima chicca: lo sapevate che nessuno fino ad oggi ha isolato il Covid-19? In pratica i tamponi effettuati vengono fatti sulla base del fatto che si possa avere una parte di sequenza di uno dei virus Corona (ma non il Covid-19- Sars Cov2) di cui il nostro corpo è ospite abituale. Quindi quando risultate “positivi” vuol dire che hanno trovato una parte soltanto della catena dell’RNA (in 150millilitri di “surnatante“, ci sono circa 30miliardi di molecole simil-virali). In pratica vi dicono di essere “positivi” al Covid-19, mentre hanno semplicemente trovato una parte della catena di uno dei tanti Corona virus.
Per il momento non vi può che salvare l’uso della museruola, ehm… della mascherina, e la speranza che un vaccino salvifico (solo quello di Bill Gates, s’intende) potrà rendervi liberi. Da cosa non si è ben capito, visto che il virus muta in continuazione e che un vaccino per essere efficace deve essere testato minimo per due/tre anni. Ma tant’è, ve lo dice la Sciiiienzaaa. Quella con la “s” maiuscola, s’intende. Tipo OMS, per capirci.
Buon Covid a tutti. E che qualcuno ci aiuti (Dio, se siete credenti). E non dimenticate di salutarvi con la mano sul cuore, non con il gomito, incoscienti! (qui sotto troverete il modo corretto di salutarvi e relativa punizione se non lo farete bene. Ve lo metto così, per agevolarvi. Visto che non capite!)
Ta daaa! E dopo 3 giorni rieccomi a voi! (su Facebook) Purtroppo, diranno le malelingue, ma fate attenzione che il Signore vi vede, e non sia mai che decida di punirvi per la vostra insolenza… così come ha deciso di fare FacciaLibro con il sottoscritto. Cos’è accaduto? Dunque, per quelli che in fondo in fondo (ma molto molto in fondo) mi vogliono bene sono stato bannato per aver osato, per la terza volta da un annetto a questa parte, “violare” le sacre “regole” (i cui criteri conoscono solo loro) di anti fake news del nostro ospite (nel senso di ospitante, in questo caso). Quanto è meravigliosa la lingua italiana! (Letteraria e poetica). Dico sul serio. Ma non divaghiamo. Dunque, come dicevo, per la terza volta (le altre due era sempre per due cavolate) hanno deciso che sono un pericoloso spargitore di notizie false e infondate e per questo andavo “punito” con il non permettermi di commentare, mettere like, o, soprattutto, postare qualsivoglia contenuto da parte mia. L’oggetto in questione lo trovate al seguente indirizzo di quest’altra piattaforma dove sono iscritto e dove ho deliberatamente lasciato visibile il post incriminato: https://vk.com/wall562785996_5
Come potrete vedere da soli si tratta di uno screenshot fatto alla pagina di un Tg di Sky (in lingua inglese, ma facilmente comprensibile anche a chi non la conosce). Tale post era evidentemente ironico, visto anche lo “stato d’animo” che vi avevo aggiunto, ma l’algoritmo censorio di FacciaLibro è stato inesorabile, e zac! Mi ha tagliato le pudenda. Ovviamente a nulla è valso il fatto che accettassi la loro decisione (le altre volte, pur essendomi opposto, il risultato era stato identico, seppur per sole 24 ore). E sono stati buoni e caritatevoli, perché oltre ad avvertirmi che la prossima volta di giorni me ne daranno 7, come la galera (ah, se potessero!), mi hanno anche scritto che sono stati compassionevoli non cancellandomi del tutto l’account. Lo screenshot lo trovate qui: https://vk.com/wall562785996_6 Dunque, perché vi metto a parte di tutto questo? Semplicemente per farvi meditare sul fatto a chi stiano in mano i mezzi di comunicazione che utilizziamo quotidianamente. Direte: “Eh, ma li utilizzi gratuitamente ed hai accettato implicitamente le loro condizioni nel momento in cui hai sottoscritto quello che è un vero e proprio contratto quando ti sei iscritto…”. Vero! Ma ci sono, proprio per questa ragione, due piccoli particolari. Il primo è che questi grandi colossi dell’informazione (per lo più americani) fanno transitare solo le notizie che vogliono loro sulle loro pagine, arrogadosi così un diritto di censura circa cosa non è loro gradito (lo ha fatto anche Twitter con Trump. Solo che quest’ultimo ha avuto il potere, che un semplice utente non ha, di rispondergli per le rime modificando la legislazione locale in merito). Quel che da un punto di vista giuridico non torna è che loro affermano di essere “solo” dei “contenitori” e non degli editori (che, in quel caso, avrebbero sì diritto di censura). Se fossero tali dovrebbero pagare gli utenti per i contenuti che pubblicano, e di cui si appropriano i diritti d’autore non pagando per questi ultimi. Come semplici “contenitori” tale diritto di censura non dovrebbero a nessun titolo esercitarlo. Neanche se questo fosse previsto dalla legislazione dello Stato in cui sono presenti gli utenti (che come tali sono legalmente responsabili davanti alle pubbliche autorità del luogo in cui vivono). In questo modo, invece, si erigono a “sceriffi” della loro (che entità statali pubbliche non sono) di legge, del tutto privata. E ripeto, a questo punto dovrebbero pagare per i contenuti gli utenti, e le tasse per i profitti derivanti dalla pubblicazione degli stessi agli Stati sul cui territorio “virtuale” operano (cosa quest’ultima che, come ben si sa, non avviene). Il secondo, ma per questo non meno importante, punto della questione è che episodi come il mio, o come quello della recente chiusura dell’account di YouTube di “Radio radio” (con accuse assurde di diffusione di contenuti pedo-pornografici, poi ritirate con riapertura del canale medesimo a seguito delle proteste degli utenti e della minaccia di querela per diffamazione da parte della radio stessa) fanno meditare circa il fatto che l’informazione pubblica, soprattutto quella per così dire “virtuale” della Rete, passa praticamente tutta attraverso i rubinetti di società, o per meglio dire colossi dell’informazione PRIVATI (il fatturato annuo di Google, solo per fare un esempio, è di gran lunga superiore al PIL dei Paesi Bassi). Se domani decidessero di bloccare le poche voci libere e dissenzienti rispetto al mainstream (cosa che già stanno da più parti applicando) chi potrebbe contrapporglisi? Non di certo noi, semplici utenti singoli. E cos’è questa se non una forma neanche tanto velata di dittatura alla “grande fratello”?
Un’immagine, alle volte, è più esplicativa di mille parole. E proprio l’immagine di una riunione (nonostante le restrizioni dovute all'”epidemia” di Coronavirus) tenutasi, purtroppo, nella mia città natale, Roma, la città “eterna” (lo sarà ancora a lungo? Speriamo!), di una massa considerevole di decerebrati, ops, pardon, volevo dire giovani benintenzionati, mi ha ispirato questo post.
L’immagine in questione, o meglio il filmato, è quello che trovate qui in calce dove, appunto a piazza del Popolo, migliaia di giovani si sono “spintaneamente” radunati per gridare il loro sdegno per quanto accaduto a George Perry Floyd, uomo di colore (quale?), come si usa dire al giorno d’oggi (perché nero, o peggio ancora negro – termine derivante dal latino nĭger – sembra che sia diventato politicamente “non corretto” da utilizzare), ucciso da un poliziotto, anche questo di colore (bianco. In questo caso il colore non è offensivo), nella città statunitense di Minneapolis, in Minnesota. Con questa ironica (s’era capito?) distinzione non intendo dire che non vi sia discriminazione razziale (in questo caso il termine razza lo si può usare, secondo i benpensanti), ma che un criminale è tale a prescindere dal colore della pelle.
C’era una volta l’uomo nero
Il punto è proprio questo: la discriminazione razziale c’era anche ai tempi del tanto venerato Barach Obama, il Presidente “democratico”, quello del Premio Nobel per la pace per capirci (il fatto che, dopo aver ricevuto il riconoscimento internazionale, abbia fatto ben 7 guerre in giro per il mondo è del tutto marginale, s’intende). Omicidi da parte di bianchi, poliziotti o no, nei confronti dei neri ce n’erano in abbondanza anche allora (come ce ne sono stati praticamente da sempre nella storia degli Stati Uniti e non solo). Anzi, se volessimo fare una conta dei morti, il picco si registrò nel 2015, quando a capo della Casa Bianca c’era il “nero” Obama. A questo aggiungiamoci il fatto che il sindaco di Minneapolis, il 38enne (dato questo importante) Jacob Frey, è di parte democratica, come si evince bene anche da questa evocativa immagine (sempre il potere che le immagini suscitano), esplicativa del suo endorsement (come dicono le persone colte) per quell’agnellino di Hillary Clinton. Ebbene, il giovane (fino ai 40 si è giovani oramai) pollo d’allevamento, ops, scusate, il giovane brillante politico, in prima battuta aveva deciso solo di licenziare i colpevoli dell’omicidio, senza processarli per tale reato. Solo quando si è sollevata la protesta da mezzo mondo ha “prontamente” messo rimedio a questo disguido. Ma si sa, la notte porta consiglio. Ora, quello che è passato, complici soprattutto i mass media americani (e non), è che il cattivone, colpevole di questo ennesimo atto di violenza della polizia (a questo proposito ci sarebbe da sottolineare che ci sono altrettanti, anzi di più, atti di violenza compiuti da neri su bianchi, poliziotti e non), come ovvio è stato Donald Trump. #hastatotrump, per dirla in termini moderni. Inoltre, come per magia, allorquando sono scoppiate le rivolte in tutto il Paese e nel resto del mondo (evidentemente ci sono stati episodi analoghi in ogni nazione dell’orbe terracqueo), si sono visti poliziotti preparare pietre lungo il percorso dei “manifestanti” che, spintaneamente, sono scesi in strada per testimoniare il loro sdegno per la morte di Floyd brandendo lo slogan #BlackLivesMatter.
Le nuove crociate
Negli Stati Uniti è in corso una, neppure tanto velata, guerra civile, con tanto di coprifuoco e guardia nazionale in campo. Intere città sono state messe a ferro e fuoco da orde di manifestanti, la cui furia si è manifestata anche con un rigurgito di iconoclastia, insozzando o distruggendo statue di personaggi storici, a torto o a ragione, considerati “colpevoli” di essere stati in qualche modo coinvolti con la segregazione razziale o di averla quantomeno indirettamente favorita. Fra le illustri vittime si annoverano anche Cristoforo Colombo e Ghandi, notoriamente quest’ultimo colpevole di aver discriminato le truppe di sua Maestà britannica nel suo Paese, la ricca (per gli autoctoni, ovviamente) India. È scoppiata una furia di stampo talebano, dove le vittime sono non solo le statue o i simboli, ma anche le persone. Episodi di follia collettiva, assalto ai negozi e ai negozianti, e una serie varia di atti di violenza pura gratuita girano in rete, filmati un po’ ovunque. Sembra di vivere in uno di quei film tipo “1997: fuga da New York”. Tutto sommato, a ben pensarci, in tempo di Coronavirus, chi avrebbe tutto l’interesse di aggravare la già precaria situazione? Ovvio, non di certo Donald Trump, che vorrebbe essere rieletto il prossimo novembre. E allora? E allora potrebbe venire il dubbio che siano i suoi avversari, formati ovviamente dai “Democratici” (mai nome fu più sviante dalla realtà) e da parte dei Repubblicani, i cosiddetti falchi del “deep State” che con i primi hanno diversi obiettivi in comune. Il biondo Donald, sarà pure uno sporco affarista, ma non è uno stupido come lo dipingono. Non è manovrabile e non è possibile farlo fuori con mezzi “leciti”, minacciandogli le aziende, come fu fatto in Italia con quella mezza calzetta di Berlusconi. E allora come si fa? Ma ovvio! Si mette su una bella “rivoluzione” colorata, dopo che si è provato inutilmente per 4 anni a farlo fuori dipingendolo come il diavolo in persona tramite i mass media, completamente venduti (ecco alcuni esempi: qui, qui e qui) eccezion fatta per la Fox che sta dalla sua di parte. In questo caso non d’arancione, ma di nero è colorata la rivolta. Il malcontento, più che giusto della comunità nera già c’è, quindi versare benzina sul fuoco è un gioco da ragazzi. Un po’ come il famoso terrorismo islamico (che guarda caso è un po’ che non salta fuori con qualche attentatuccio da qualche parte nel mondo), messo su come messinscena dai servizi segreti di mezzo mondo, fomentando qualche “povero” invasato che poi, guarda tu sempre il caso, regolarmente viene fatto fuori dalle efficientissime forze d’intervento (che prima avevano, ma guarda tu sempre la casualità, fatto acqua da tutte le parti, tanto da non prevedere l’attentato).
Utili idioti di tutto il mondo, unitevi!
Ma lo stigma negativo affibiato a Trump (che sottolineo, a scanso di equivoci, non riscuote le mie simpatie in quanto affarista, con tutto quello che ne consegue) deve travalicare i confini degli USA. Così movimenti di protesta simili a quelli statunitensi si sono “magicamente” espansi in tutto il mondo. Sono stati arruolati per primi gli “utili idioti”, allevati dal sistema nel corso degli ultimi 30/40 anni, come ho scritto ne “L’altra faccia della Luna“. Quindi, istigati dai mass media, si sono mossi i vari movimenti, soprattutto giovanili, che sono scesi in piazza con slogan e canti contro l’odiato dittatore. La furia iconoclasta ha colpito le principali capitali mondiali, distruggendo e insozzando quelli che sono stati indicati come simboli (che stavano lì da decine di anni, se non secoli) della discriminazione e dell’oppressione. In nome di questa “necessaria” liberazione da tali simbologie si sono messe in atto devastazioni e violenze varie (anche omicidi, sempre in nome della libertà, s’intende). E arriviamo dunque a noi, il laboratorio sociale per eccellenza in Europa, assieme a Svezia e alla città di Berlino. Come si evince dal filmato di cui parlavo all’inizio, sono state mobilitate le “truppe cammellate”, in prevalenza giovanili, che gravitano attorno a quella che ancora viene spacciata per “sinistra”, ma che altro non è che la gentaglia di appoggio creata appositamente dal grande Capitale internazionale per operare nel nostro disgraziato Paese. Della Sinistra storica non hanno proprio più un bel niente, se non negli slogan sbiaditi e nei titoli dei giornaloni italiani (tutti allineati, s’intende. Ci mancherebbe pure che non fosse così!). Così come la “Destra” storica non esiste più. Ebbene sono scesi in piazza, in tutta Italia. Soprattutto Bologna è un laboratorio perfetto per testare questo tipo di movimenti “spintanei”. Non scordiamoci che è la città dove abita e opera Romano Prodi, artefice della svendita del patrimonio economico italiano assieme ad altri personaggetti come Beniamino Andreatta ed altri ancora, considerati quest’oggi “padri della Patria”. L’ex Presidente della Commissione Europea (1999-2004) nonché fondatore di Nomisma, società di consulenza e ricerche di mercato dove il Capitale italiano forma i giovani rampolli che serviranno a rimpiazzare i vari “Cottarelli & Co.” nel prossimo futuro. Insomma un crogiolo dove far crescere le “nuove” tendenze per influenzare i giovani (su come sia stata destrutturalizzata la Scuola ho già parlato sempre in “L’altra faccia della Luna”). E infatti dove sono nate le “Sardine”? Ma a Bologna, ovviamente! Poi si sono “espanse” un po’ ovunque, anche fuori dei confini patrii. A Berlino, ad esempio, ce n’è una rappresentanza (sparuta, a dire il vero), ma che ricalca lo stesso cliché di quelle italiane. Le idee sono le stesse e si muovono in rete, soprattutto sui vari gruppi Facebook presenti in Germania e nella Capitale in particolare. Lo scorso 14 giugno, in concomitanza con una ben più grande manifestazione organizzata da circa 130 gruppi per “non permettere che i diritti umani, la giustizia sociale e la giustizia climatica siano messi l’uno contro l’altro”, sotto il motto #SoGehtSolidarisch e formando una catena umana ideale lungo diversi km nella città, le Sardine berlinesi si sono mobilitate per manifestare anche loro lo sdegno nei confronti di quanto accaduto a Floyd. Purtroppo però a Berlino c’erano circa 28 gradi e si sa, più che i principi poté la voglia di fare il bagnetto in qualche lago nei dintorni e dei circa 2mila e 100 membri iscritti al gruppo c’erano (evidentemente in rappresentanza) appena una ventina di eroici protestatori. Ma va apprezzato lo sforzo. Un po’ meno la capacità critica dei nostri connazionali e di tutti gli altri giovani (anche quelli della manifestazione principale #Unteilbar erano per più dell’80 per cento sulla ventina o poco più). Sono una generazione che non è più abituata a pensare con il proprio di cervello e, come spugne, assorbono ciò che gli viene propinato in Rete o tramite il tam tam collettivo ripetendolo con slogan e modalità anch’essi preparati per loro ad hoc. Coronavirus o meno mala tempora currunt, come dicevano i Romani e il redde rationem sembra essere sempre più vicino. Molto più di quanto noi tutti ci aspettiamo, temo.
Il titolo potrebbe essere fuorviante. In un periodo di tensioni varie, rese ancor più palesi dalla crisi del Coronavirus, parlare di “difesa” dei tedeschi potrebbe sembrare un paradosso per molti italiani. Tuttavia la mia “difesa” del popolo tedesco non riguarda direttamente gli aspetti squisitamente di politica internazionale o di economia, sui quali chi mi segue sa benissimo quanto io sia critico (almeno tanto quanto lo sono nei confronti delle identiche tematiche, per motivi differenti, affrontate nel nostro di Paese), quanto piuttosto per il modo in cui tutta la vicenda legata alla “pandemia” del Covid-19 è stata affrontata, sia a livello governativo che da parte della popolazione tedesca. Non è certamente un caso che il “Criticismo”, come indirizzo filosofico, sia nato in questo Paese cui tanto l’umanità deve negli ultimi tre secoli in questo di campo, così come in quello scientifico, letterario e musicale. Ovviamente i tedeschi non hanno bisogno di una mia “difesa”: sanno benissimo farsi valere da soli. Tuttavia sento l’esigenza di esporre, per senso civico e per amore della verità (merce rara in periodi confusionari come questi, soprattutto da noi in Italia), il modo in cui la Germania ha affrontato l’emergenza determinata dal Coronavirus.
Lascio la cronaca, pur importante, dei vari passaggi susseguitisi in questi mesi di “emergenza pandemia” al riquadro che troverete in fondo all’articolo, e preferisco soffermarmi su un altro aspetto della questione: quali sono state le differenze, di metodo e sostanziali, adottate nei due Paesi nell’affrontare tutte le varie problematiche dovute al Covid-19.
Il primo caso conclamato di infezione per il virus si registrò ufficialmente il 27 gennaio, nel distretto bavarese di Starnberg. Ne parlammo anche noi a fine febbraio, quando oramai in Italia si era passati dagli aperitivi fra la cosiddetta movida milanese (proprio il 27 gennaio) e l’abbraccio fraterno dei cittadini cinesi presenti sul territorio italiano, allo scoppio del caso del “paziente zero” di Codogno (per l’esattezza il 20 di febbraio). La linea del ministro della Salute tedesco, il cristiano democratico Jens Spahn, fu quella della prudenza. «Wenn man mir in zwei Wochen vorwirft, übertrieben vorsichtig gewesen zu sein, bin ich zufrieden – denn dann hat sich alles gut entwickelt» (Se tra due settimane sarò accusato di essere stato troppo prudente, sarò soddisfatto – perché allora tutto sarà andato bene). La differenza si commenta da sé.
Il 13 febbraio il Bundestag, per la prima volta nella storia della Repubblica federale tedesca, discusse in un’unica sessione una legge in prima, seconda e terza lettura, approvandola lo stesso giorno all’unanimità e senza astensioni. Era quella che autorizzava il Governo federale ad adottare alcune misure immediate (indennità di lavoro a tempo parziale, in pratica la nostra cassa integrazione) con un decreto legislativo.
Il 26 di febbraio il Ministro della Salute dichiarò ufficialmente “l’inizio di un’epidemia in Germania” e dal giorno seguente si iniziarono a prendere misure quali la costituzione di un’unità di crisi tra il ministero dell’Interno e il ministero della Salute. Principali punti di riferimento scientifici per il Governo sono stati il Robert Koch Institut e l’Accademia delle Scienze Leopoldina.
Il 17 marzo il ministro degli Esteri, il socialdemocratico Heiko Maas, annunciò un poderoso piano di rimpatrio (da 50milioni di euro) dei cittadini tedeschi (e non solo) che si trovavano all’estero.
Il 18 di marzo la Cancelliera Angela Merkel (CDU) con un messaggio alla nazione dichiarò: «Es ist ernst. Seit der Deutschen Einheit, nein, seit dem Zweiten Weltkrieg gab es keine Herausforderung an unser Land mehr, bei der es so sehr auf unser gemeinsames solidarisches Handeln ankommt», ossia: “È una cosa seria. Dalla riunificazione tedesca, no, dalla seconda guerra mondiale, non c’è stata più una sfida per il nostro Paese, che dipende così tanto dalla nostra solidarietà comune”. Così furono annunciate le prime misure “restrittive” per limitare il contagio e la Cancelliera fece appello alla responsabilità di ciascuno per limitare la diffusione dello stesso. Ma, cosa molto importante, precisò: «Es geht darum, das Virus auf seinem Weg durch Deutschland zu verlangsamen. Und dabei müssen wir, das ist existentiell, auf eines setzen: das öffentliche Leben soweit es geht herunterzufahren. Natürlich mit Vernunft und Augenmaß, denn der Staat wird weiter funktionieren, die Versorgung wird selbstverständlich weiter gesichert sein und wir wollen so viel wirtschaftliche Tätigkeit wie möglich bewahren. Aber alles, was Menschen gefährden könnte, alles, was dem Einzelnen, aber auch der Gemeinschaft schaden könnte, das müssen wir jetzt reduzieren», “Si tratta di rallentare il virus nel suo percorso attraverso la Germania. E nel farlo, dobbiamo fare affidamento su una cosa, che è esistenziale: chiudere il più possibile la vita pubblica. Naturalmente con la ragione e il senso delle proporzioni, perché lo Stato continuerà a funzionare, l’approvvigionamento continuerà naturalmente ad essere garantito e vogliamo preservare quanta più attività economica possibile. Ma tutto ciò che può mettere in pericolo le persone, tutto ciò che può danneggiare l’individuo, ma anche la comunità, dobbiamo ora ridurlo”. Continuò poi: «Lassen Sie mich versichern: Für jemandem wie mich, für die Reise- und Bewegungsfreiheit ein schwer erkämpftes Recht waren, sind solche Einschränkungen nur in der absoluten Notwendigkeit zu rechtfertigen. Sie sollten in einer Demokratie nie leichtfertig und nur temporär beschlossen werden – aber sie sind im Moment unverzichtbar, um Leben zu retten», ovvero: “Lasciate che ve lo assicuri: Per una come me, per la quale la libertà di viaggio e di movimento erano un diritto conquistato a fatica, tali restrizioni possono essere giustificate solo in caso di assoluta necessità. In una democrazia, non dovrebbero mai essere decise con leggerezza e solo temporaneamente – ma sono indispensabili al momento se si vogliono salvare delle vite”. Mi limito in questo caso a sottolineare il senso dello Stato, indipendentemente dalla parte politica, espresso dalla leader tedesca che mai ha negato il ruolo del Parlamento e delle opposizioni nel prendere decisioni così importanti per il suo Paese.
A questo proposito, ciò che mi preme rimarcare è il ruolo preponderante della Politica in Germania in questa enorme vicenda, che tutto il mondo ha visto coinvolto. La Scienza e i “tecnici” sono stati sì consultati, come è giusto che sia in casi del genere, ma le decisioni ultime sono state di carattere squisitamente politico. Niente annunci mediatici, ma concrete decisioni e comunicazioni chiare ai cittadini, cercando il coinvolgimento attivo di questi ultimi attraverso un’esortazione alla responsabilità dei singoli. In altre parole la Politica tedesca ha considerato il cittadino tedesco come parte attiva e non passiva, costretta a subire decisioni prese dall’alto come fosse un bambino a cui dare regole restrittive in quanto “irresponsabile” per natura. E questo nonostante il fatto che in Germania si siano svolte numerose manifestazioni di protesta e dissenso verso le pur ragionevoli e decisamente non eccessive restrizioni messe in atto per cercare di arginare il più possibile gli eventuali effetti negativi del potenziale contagio. La libertà di dissenso rimane un cardine essenziale, in qualunque democrazia. Altrimenti quest’ultima non sarebbe tale, bensì assumerebbe i tetri caratteri di una dittatura.
In genere non mi sento di poter elogiare in modo continuativo la Stampa tedesca, ma devo dire che in questo caso sia riuscita a mantenere un atteggiamento sostanzialmente di servizio. I telegiornali nazionali, al contrario dei nostri, hanno dedicato il “giusto” spazio alle notizie relative al Covid-19, laddove per giusto intendo il tempo necessario e sufficiente per informare i cittadini sui molteplici aspetti dell’epidemia, ma non dedicando le intere notizie ad una quotidiana conta morbosa di decessi, infetti e “casi umani” come si sono viste, ahimè, sui nostri canali televisivi. Ci sono stati sì approfondimenti, anche sulla carta stampata, ma sempre con toni poco sensazionalistici o tendenti ad incutere nei lettori e negli ascoltatori il terrore del contagio. Compito della nostra categoria dovrebbe essere quello di fungere da veicolo di notizie utili e variegate, mettendo a disposizione della popolazione il più ampio spettro di informazioni senza censure preventive. Come nel caso dell’azione politica, anche il compito dell’informazione non può essere quello di trattare il cittadino come un bambino da tutelare preventivamente da possibili notizie false, o fake news come piace chiamarle in questo periodo. Il lettore (o l’ascoltatore) deve essere libero di farsi un quadro della situazione e un’opinione da sé, essendo sufficientemente “adulto” da poter capire e discernere i messaggi che gli vengono comunicati.
Altro elogio che mi sento di fare è quello al popolo tedesco. Onestamente non ho mai visto autentiche scene di panico isterico (eccezion fatta per l’incetta di generi alimentari e di carta igienica nel primo periodo) o letto commenti su giornali o blog tedeschi che lanciassero allarmi e invettive nei confronti di possibili comportamenti “a rischio”. Al contrario m’è capitato di leggerne su blog e gruppi Facebook di italiani residenti in Germania, che criticavano la “sconsideratezza” del comportamento “libertino” dei tedeschi, colpevoli ai loro occhi di continuare ad avere una vita sociale quasi normale, almeno fino a quando non gli è stato espressamente richiesto dai politici di limitare i contatti interpersonali. Ovviamente tali commenti da parte dei nostri connazionali sono cambiati radicalmente, facendosi per così dire più “accondiscendenti”, al primo farsi avanti della primavera allorquando, con le dovute precauzioni, la gente si è riversata nei parchi e all’aperto per godere dell’aria fresca e del piacevole tepore del Sole. In quel caso gli “irresponsabili” tedeschi mostravano al contrario le irreprensibili qualità teutoniche del rispetto delle regole, senza il bisogno di essere trattati come bambini cretini. Ma si sa, cambiare opinione è sinonimo di maturità ed intelligenza, anche se a fasi alterne, e la bella stagione porta con sé una visione delle cose più ottimistica. Questo, evidentemente, contribuisce a sfatare il mito che il popolo pessimista sia quello tedesco.
Ovviamente ciascuno può avere la propria opinione sui metodi più opportuni per combattere una minaccia come quella del Coronavirus, ma rimane pur sempre un fatto incontestabile che, al di là delle senz’altro migliori condizioni del suo sistema sanitario (è da notare che le numerose terapie intensive non si sono mai riempite) la Germania è uscita decisamente meglio del nostro Paese dal periodo clou dell’epidemia, tanto da un punto di vista sanitario, che sociale ed economico. Alla prova dei fatti, anche considerando soltanto i primi due di questi aspetti (il terzo richiederebbe un articolo a parte) in un Paese di circa 83milioni di abitanti (23milioni più dell’Italia) il numero complessivo degli infetti e dei deceduti è rispettivamente, al momento in cui questo articolo è stato scritto, di 184.193 e 8.674. In Italia, ahinoi, 234.119 e 32.354. E questo nonostante oltre due mesi di pressocché totale blocco del Paese, durante il quale la vita degli italiani è stata regolata da una serie di decisioni prese da gruppi di “esperti” (task force) cui la Politica ha demandato il compito di “dirigere” l’intera nazione.
Ora delle due l’una: o le decisioni prese non erano le più adeguate, oppure bisogna per forza di cose presupporre che i tedeschi siano un popolo dotato di un sistema immunitario superiore (cosa che peraltro ho letto in Rete), in pratica degli Übermenschen di nietzschiana memoria, o magari, semplicemente, estremamente fortunati. Tutto ciò, ovviamente, al netto del fatto che il virus possa essersi presentato in forma più virulenta da noi che altrove. O magari il metodo adottato dal sistema Paese è stato più efficace, non lasciando che il panico avesse il sopravvento, con una classe politica che ha saputo guidare la nazione, senza abdicare le decisioni ad altri, pur avvalendosi delle indicazioni della Scienza.
Sì, la Ragione, Die Vernunft, propria di quel Criticismo che ho citato all’inizio, non ha abbandonato la Germania, nonostante il Coronavirus.
Le principali misure prese in Germania durante l’epidemia di Covid-19
Il primo caso conclamato di infezione per il virus si registrò ufficialmente il 27 gennaio, nel distretto bavarese di Starnberg. Ne parlammo anche noi a fine febbraio, quando oramai in Italia si era passati dagli aperitivi fra la cosiddetta movida milanese (proprio il 27 gennaio) e all’abbraccio fraterno dei cittadini cinesi presenti sul territorio, allo scoppio del caso del “paziente zero” di Codogno (per l’esattezza il 20 di febbraio). La linea del ministro della Salute tedesco, il cristiano democratico Jens Spahn, fu quella della prudenza. «Wenn man mir in zwei Wochen vorwirft, übertrieben vorsichtig gewesen zu sein, bin ich zufrieden – denn dann hat sich alles gut entwickelt» (Se tra due settimane sarò accusato di essere stato troppo prudente, sarò soddisfatto – perché allora tutto sarà andato bene).
A fine febbraio, durante la celebrazione del carnevale, numerose persone contrassero l’infezione nel distretto di Heinsberg, nel Nord Reno-Westfalia, causando allarme e facendo sì che venissero cancellati i primi grandi eventi, ad iniziare dalla più grande Fiera del turismo al mondo, l’ITB di Berlino (il 29). Sempre a fine febbraio furono confermate infezioni da Coronavirus anche nel Baden-Württemberg. Entrambi gli Stati istituirono un gruppo di gestione delle crisi, sostenuto dall’Istituto Robert Koch e dal ministero federale della Sanità. Altri casi si registrarono in Renania-Palatinato, Amburgo e in Assia. Tutto ciò fece sì che il ministro Spahn dichiarasse: «…die Epidemie jetzt Deutschland erreicht hat», ossia “l’epidemia ha ora raggiunto la Germania”.
Il 10 di marzo si decise di vietare le riunioni con più di mille partecipanti e subito dopo si invitarono i cittadini tedeschi e no, presenti sul territorio nazionale e che fossero rientrati da Italia, Austria o Svizzera di mettersi volontariamente in quarantena per due settimane prima di circolare liberamente.
Il 18 di marzo ci fu il discorso alla nazione della Cancelliera Angela Merkel
Il 20 marzo la Baviera e il Saarland furono i due primi Stati federali ad imporre restrizioni di spostamento, seguiti poi da altri, e il 22 la stessa Cancelliera si pose in quarantena per essere stata a contatto con un medico risultato contagiato dal virus. Tra il 23 e il 27 di marzo si decisero sostanziosi finanziamenti per l’economia tedesca (oltre un trilione di euro in totale) e il giorno seguente la Cancelliera, attraverso il suo podcast settimanale, ringraziava i cittadini per aver rispettato le regole, chiedendo ulteriore pazienza, e il 3 aprile finì il suo periodo di quarantena. Nel frattempo il Parlamento aveva deciso di prolungare fino a dopo Pasqua le restrizioni alla vita pubblica e la limitazione dei contatti personali.
L’11 aprile il Presidente della Repubblica, Frank-Walter Steinmaier, pronuncia un discorso alla tv tedesca rivolto ai suoi connazionali sottolineando: «Ich bin tief beeindruckt von dem Kraftakt, den unser Land in den vergangenen Wochen vollbracht hat» (Sono profondamente colpito dall’atto di forza che il nostro Paese ha raggiunto nelle ultime settimane). Due giorni dopo l’Accademia delle Scienze Leopoldina (la più antica società scientifica e medica nel mondo di lingua tedesca e la più antica accademia permanente di scienze naturali del mondo) presenta una dichiarazione in cui vengono formulate le condizioni per una graduale normalizzazione della vita pubblica. La dichiarazione sarà inclusa nelle consultazioni tra il Governo federale e i Länderil 15 aprile successivo. Tra il 17 e il 29 aprile viene decisa la riapertura (pur se con l’obbligo dell’uso della mascherina) delle funzioni pubbliche e il 30 aprile la Cancelliera e i capi dei vari Länder decidono di riaprire i parchi giochi e le istituzioni culturali, come i musei, zoo e i monumenti commemorativi, pur se a determinate condizioni.
Non tutto, però, si è svolto senza contestazioni. Ed è qui che lo spirito di critica tedesco, comunque la si pensi riguardo tanto il virus, quanto riguardo le misure prese per contenerne il contagio, è emerso chiaramente rispetto ad altri Paesi, compreso il nostro. Il primo maggio, quest’anno più degli altri anni, ci sono state proteste e disordini a Berlino, soprattutto nello storico quartiere di Kreuzberg, seguite già dal giorno seguente, per la prima volta, da centinaia di persone che nella Germania centrale hanno manifestano contemporaneamente in più luoghi, appunto contro le restrizioni e le normative per contenere il virus. In Sassonia la protesta, secondo gli organi di polizia, era stata organizzata da vari gruppi di destra. Ci sono state numerose violazioni delle regole sulla distanza e di altri regolamenti.
Tra il 4 e il 6 maggio si applicarano ulteriori allargamenti rispetto alle proibizioni iniziali (che più che altro erano consigli), ma già il 9 in diverse città tedesche migliaia di persone manifestarono contro le restrizioni di contatto interpersonale e contro le normative d’igiene messe in vigore, la qual cosa mise in allerta i servizi di polizia criminale e destò la preoccupazione dei ministri dell’Interno dei singoli Länder. Il 16 maggio migliaia di persone manifestano contro le restrizioni in diverse città. Il Primo ministro della Sassonia, Michael Kretschmer (CDU), fa scalpore a livello nazionale perché a Dresda cerca di parlare senza maschera con i manifestanti che lo insultavano. Dal 18 maggio riaprirono i ristoranti, pur se con severe regole di distanziamento tra i tavoli e rigide norme igieniche. Il 24 il Primo ministro della Turingia, Bodo Ramelow (Linke) suscita critiche a livello nazionale con il suo progetto di abolire le restrizioni generali contro il Coronavirus a partire dal 6 giugno, pur senza abolire le distanze minime interpersonali e l’utilizzo della mascherina nei luoghi pubblici al chiuso.
Lo scorso 3 giugno il Governo ha deciso un ulteriore pacchetto di aiuti economici di altri 130miliardi di euro (in totale sono ben oltre il trilione di euro), oltre ad una diminuizione dell’IVA dal 19 al 16 per cento. Venticinque miliardi saranno dedicati al settore del turismo e dell’intrattenimento nel periodo tra giugno ed agosto. Inoltre ogni famiglia con figli a carico riceverà 300 euro per ogni bambino. «La Germania deve uscire dalla crisi il più rapidamente possibile e rafforzata. Ci occupiamo di questo con il programma di stimolo economico più completo per i cittadini e l’economia nella storia della Germania», ha dichiarato il ministro degli Affari economici Peter Altmaier (CDU).
Un triangolo importante quello ideale tra Francoforte sul Meno, sede della Banca Centrale Europea (BCE), Karlsruhe, sede della Corte costituzionale federale tedesca (Bundesverfassungsgericht), e Parigi. Tra queste tre località si giocano infatti i destini dell’Unione Europea (per la terza vedremo in seguito il perché) come conseguenza della sentenza emessa lo scorso martedì dall’alto tribunale tedesco a seguito del ricorso presentato cinque anni fa da tre imprenditori tedeschi, Heinrich Weiss, Patrick Adenauer e Juergen Heraeus, e dall’economista e fondatore dell’AfD (Alternative für Deutschland) Bernd Lucke. I quattro sostenevano infatti che la BCE con il “Quantitative easing” (QE), ossia l’acquisto massiccio di Titoli di Stato dei Paesi più in difficoltà dell’Eurozona, voluto nel 2015 dall’allora Presidente Mario Draghi (famosa la frase da quest’ultimo pronunciata in difesa dell’Euro che rischiava di crollare del 2012: “Whatever it takes”), stesse usando il flusso illimitato di denaro per effettuare finanziamenti statali proibiti e – contro il suo statuto – stesse effettuando una politica economica invece che monetaria. «Consideriamo queste misure economicamente sbagliate e un palese superamento del mandato senza alcuna legittimazione democratica», ebbe a dire Weiss. Poco più di un anno fa anche la Corte di giustizia dell’Unione Europea (CGUE) si era occupata di questo problema, ritenendo però l’operato della BCE del tutto legittimo. Ebbene la Corte tedesca, presieduta per l’ultima
volta da Andreas Voßkuhle, ex rettore dell’Università di Friburgo e che era a capo dell’istituzione dal 2010, ha così sentenziato: “La Corte Costituzionale federale non è legata dalla decisione della Corte di Giustizia dell’UE, ma deve attuare la sua propria interpretazione per determinare se le decisioni dell’Eurosistema sull’adozione e l’esecuzione del programma di acquisto dei titoli pubblici (PSPP) resti dentro le competenze affidategli nell’ambito del diritto dell’UE primario. Dal momento che queste decisioni sono prive di sufficienti criteri di proporzionalità arrivano a eccedere le competenze della BCE”.
La Corte ha dunque chiesto a Francoforte di passare ad una valutazione della proporzionalità dell’acquisto dei titoli sul mercato secondario, e ha ordinato al Governo e al Parlamento di fare i passi necessari per verificare che la BCE si muova effettivamente in questo senso.
GERMANEXIT?
Il pezzo forte della sentenza è però alla fine della stessa, quando la Corte afferma: “La Bundesbank potrebbe non partecipare ulteriormente all’attuazione e all’esecuzione delle decisioni della Bce, a meno che il Consiglio direttivo della BCE adotti una nuova decisione che dimostri in una maniera comprensibile e sostanziata che gli obbiettivi di politica monetaria perseguiti dall’acquisto di titoli del debito pubblico non siano sproporzionati rispetto agli effetti fiscali e di politica economica del programma”. Ora, essendo la Germania attraverso la Bundesbank, il finanziatore principale della BCE con il 21 per cento delle quote partecipate, ritirandosi dall’acquisto dei titoli sul
mercato secondario determinerebbe di fatto il crollo dell’Eurozona. La BCE ha tre mesi di tempo per chiarire (ossia fino al 5 di agosto). Per il momento si è limitata a prendere atto della sentenza e a ribadire che il suo mandato è quello di mantenere la stabilità dei prezzi attraverso il tentativo di far crescere l’inflazione nell’area Euro. E attenzione, la Germania ha tutto il diritto di mettere in discussione i desiderata di Bruxelles, come ha bene messo in evidenza Luciano Barra Caracciolo, ma ne dovrebbe poi trarre le dirette conseguenze. Siamo solo noi, come vedremo più avanti, che sembriamo non capirlo.
La crisi morde anche l’economia della “locomotiva” d’Europa, che poi tanto locomotiva non è, avendo pensato in questi anni principalmente ad accumulare un grandissimo avanzo commerciale, o come lo chiamano in Germania, uno spazio finanziario, accumulato grazie alle politiche di esportazione, principalmente in Europa (come si evince dai dati ufficiali del Ministero federale dell’Economia e dell’Energia), sforando sistematicamente i limiti imposti dalla Procedura per gli squilibri macroeconomici (MIP) imposta dall’Unione. Questa prevede che un Paese non dovrebbe avere un saldo positivo della bilancia commerciale superiore al 6 per cento del Pil nella media a tre anni. La Germania viola sistematicamente questo dato e, anzi, nel 2019 ha visto il saldo delle partite correnti crescere dal 7,3 per cento al 7,6 del Pil. Valore questo simile all’8 per cento registrato tra il 2015 e il 2017. Per capirci il 7,6 per cento del Pil implica un saldo commerciale positivo delle
partite correnti (flusso di beni, servizi e investimenti) pari a circa 262miliardi di euro. La crisi, che ha colpito soprattutto il comparto dell’auto e tutti i servizi a questo associati (che in totale fanno il 16 per cento delle esportazioni e ben il 20 per cento del valore delle produzioni industriali tedesche), non ha tuttavia rallentato questo suo record di surplus di esportazioni (a danno del mercato interno, ma questa è un’altra storia). Dunque che vantaggio avrebbe la Germania ad “accollarsi” il rischio di rimanere garante economicamente parlando delle difficoltà altrui (Eurobond)? Ovviamente nessuno. E dal suo punto di vista a ragione. Semmai, forse, avrebbe più vantaggio ad uscire lei dal “sistema Euro”, che oramai palesa tutti i suoi limiti.
E noi italiani? Che diritto abbiamo di mettere in discussione le direttive che vengono da Bruxelles, noi che facciamo parte, secondo la vulgata oramai diffusa in Europa ed in Germania (opinione largamente supportata dalla Stampa teutonica ed italica), dei PIIGS, ossia di quei Paesi che non fanno i compiti a casa, gli Hausaufagaben, termine tanto caro a parte della politica e della nomenclatura economica-finanziaria tedesca? Nessuno, stando a questa visione delle cose. Ma in realtà noi, “popolo cicala ed irresponsabile”, siamo gli unici in Europa che i “compiti a casa” li hanno sempre fatti e da diversi anni (oltre 25), come messo in evidenza dai numeri ufficiali (qui anche), a costo di enormi sacrifici per le nostre strutture economico-sociali. Si è, purtroppo, visto bene in questo periodo di crisi conseguente alla “pandemia” del Coronavirus: Sanità al collasso (perfino nelle parti più ricche e produttive d’Italia), sistema scolastico che avrà non pochi problemi a far riprendere, rispettando le norme di sicurezza, il regolare corso di studi in classe a tutti gli alunni, imprese che saranno costrette a chiudere perché non sufficientemente supportate dal “sistema Paese”, principalmente da un punto di vista economico (e qui il capitolo da aprire sarebbe un altro e da trattare in separata sede). Perché bisogna dirlo, una volta per tutte, che il nostro è quel Paese che solo in Europa è sempre corso ad accettare le norme che Bruxelles vuole, da quelle
riguardanti la pesca dei mitili, a quell’autentica aberrazione rappresentata dal “pareggio di bilancio”, messa in Costituzione nel 2012 in soli sei mesi di iter parlamentare (la nostra di Costituzione sì che si può cambiare in base ai desiderata della UE) dal senatore Mario Monti, allora Presidente del Consiglio. Il mantra era all’epoca “Fate presto“. Ebbene, nonostante le “lacrime e il sangue” che tale cura da cavallo sono costati al nostro “indisciplinato” Paese il rapporto debito pubblico/Pil è costantemente aumentato, come dimostrano i dati. Segno evidente che la “cura” non era quella adatta o che il problema risiede altrove (è stata la caduta del Pil a far aumentare il rapporto, ma anche su questo argomento occorrerebbe aprire un discorso molto lungo a parte, che esula dal tema di questo articolo).
UN AIUTO DAI CUGINI?
Detto ciò la palla in mano ce l’ha la Francia. Ed è qui che torna la terza città, Parigi, nominata all’inizio di questo necessariamente lungo articolo. Il secondo contribuente dell’area Euro è infatti il Paese d’oltralpe (l’Italia è il terzo). Al momento i “cugini” francesi sembrerebbero non aver gradito la decisione della Corte tedesca. Il ministro dell’Economia Bruno Le Maire ha ribadito l’indipendenza della BCE e ha sottolineato che quanto stabilito a Karlsruhe “non è un elemento di stabilità”. E sulla stessa lunghezza d’onda critica si è dichiarato il Governatore della Banca Centrale Francese François Villeroy de Galhau. Secondo le previsioni l’economia francese sarà la quarta più colpita dalla crisi dovuta al Covid-19 (oltre a Grecia, Italia e Spagna). Pertanto o Parigi si scontrerà con Berlino, con tutte le conseguenze del caso, oppure, come accaduto fino ad ora, troverà un accordo che, molto probabilmente, non sarà anche a vantaggio del nostro Paese (leggi obbligo di utilizzo del MES).
IL VELO DI MAYA
Il filosofo tedesco Arthur Schopenhauer, nella sua opera maggiore “Il mondo come volontà e rappresentazione” (Die Welt als Wille und Vorstellung), parla di “velo di Maya”, intendendo con tale espressione quello che era il “fenomeno” kantiano, ossia la realtà. Secondo Schopenhauer il fenomeno (la realtà) è apparenza, illusione, sogno, ossia proprio quello che nella filosofia indiana è per l’appunto il “velo di Maya”. La realtà (sintetizzando) si nasconde dietro al sogno e all’illusione. Di qui l’espressione “sollevare il velo di Maya”, cioè mostrare la realtà per quello che effettivamente è. Ebbene sarebbe ora di sollevare questo velo d’ipocrisia e di dichiarare la realtà per quello che è, traendone tutte le conseguenze.
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