Phänomenologie des Renzismus

Phänomenologie des Renzismus

I termini filosofici si sà spesso sono indigesti. Devo dire che in questo caso però nulla di più del termine di origine tedesca Fenomenologia s’attaglia maggiormente al fenomeno di trasformazione prodigiosa che accompagna parte del panorama politico italiano. Quello del PD in particolare, ma non solo.
Iniziando dal Presidente del Consiglio che è il capostipite di questa specie nuova e vecchia nel contempo: i trasformisti. Già, perché nella politica italiana nobili ed alti esempi di trasformismo ci sono sempre stati, a partire da Depretis e Giolitti (e si faccia attenzione che, indipendentemente dal tipo di politica attuata, si trattava pur sempre di gente “preparata”). In quel caso però si trattava di manovre per rimanere sempre in sella al cavallo in prima persona. Erano loro i cavalieri. Oggi ci sono gli stallieri che fanno a gara per seguire l’esempio del fantino, e nessuno sembra scandalizzarsi per questo. Non che ce l’abbia in particolare con il PD, dal momento che quasi tutta la politica italiana ha visto negli ultimi anni un fiorire di tale fenomeno, tuttavia il partito di maggioranza relativa raccoglie alcuni esempi eccellenti di coerenza, tralasciando l’aspetto della competenza.
Si può partire dal vicesegretario Debora Serracchiani, bersaniana di ferro della prima ora, che a me ha sempre dato l’impressione d’essere la reincarnazione di una suffragetta di stampo prettamente cattolico prestata non si sa bene come alla “sinistra”. In pratica una Rosy Bindi più giovane. Altro fulgido esempio è Alessandra Moretti, anche lei bersaniana di ferro della prima ora, lanciata (è il caso di dirlo) verso una candidatura in Europa che vedrà certamente fare quello che sta facendo ora nel Parlamento italiano, cioé la bella statuina. Si arriva così a Pina Picierno, ovvero la figlia mancata di De Mita, altro noto “comunista” di ferro. Lei associa il nulla assoluto ad una faccia da meerkat, il piccolo mammifero africano dal muso appuntito.E’ lei l’abile massaia che riuscirebbe a mandare avanti una famiglia con i famosi 80€. Caliamo un velo pietoso. Altra freccia all’arco della squadra del Presidente twittatore è Simona Bonafé, ex margherita del tutto senza colore. L’unica cosa che sa fare sono le pessime figure nei vari talk show. Maria Elena Boschi, Ministro della Repubblica per le Riforme Costituzionali, per capirci una che dovrebbe condurre la Repubblica verso un cambiamento delle norme create da gente come Calamandrei, Terracini, Iotti, Pajetta, Dossetti, Zaccagnini, Einaudi, Treves, Basso, Pertini, La Malfa, Parri solo per citarne alcuni. Lasciamo perdere ogni commento. Sarebbe superfluo. Poi c’è Peppa Pig, al secolo il Ministro Mari Anna Madia. Nota alle cronache per essere stata fidanzata con il figlio di Re Giorgio I e per essere stata uno degli assenti alla votazione dello scudo fiscale nel 2009 perché era a fare “accertamenti clinici” in Brasile. Si sà, i medici brasiliani come nessun altro mai.
Poi c’è la categoria dei giornalisti, ed ecco comparsa come dal nulla il mastino Maria Teresa Meli. Prima critica verso i governi precedenti poi, improvvisamente, il combattente più arcigno nei vari talk d’intrattenimento di sottofondo. Interessante anche la sua di trasformazione in paladina dell’ex sindaco di Firenze.
Ci sarebbero molti altri campi della società che hanno visto gente comune ed imprenditori abbracciare la moda della camicia bianca con le maniche rimboccate, vezzo del giovanilistico Renzi, ma lasciamo stare. Si può dire che l’Italia è il Paese della moda per eccellenza. Ora va alla grande uno stilista fiorentino.

Il coraggio e la volontà

Il coraggio e la volontà

Cosa lega Ghilarza, un piccolo paesino nella provincia di Oristano, a Berlino? Uno dei più grandi intellettuali e filosofi italiani, ovvero Antonio Gramsci. Si è tenuta infatti lo scorso fine settimana, prima presso il locale Oblomov di Kreuzkölln poi presso la scuola di lingue “Pirandello” di Friedrichshain, la lettura di “La tua eredità”, un articolo scritto dal pensatore sardo per l’organo del partito socialista l’Avanti, nel maggio del 1918.
Come ha ben spiegato la direttrice della casa-museo di Gramsci della piccola cittadina sarda, la dott.ssa Alessandra Marchi, il filosofo italiano è attuale più che mai, soprattutto fuori dai confini italiani. È uno degli autori più studiati non solo in tutto il sud America, soprattutto dalla classe politica brasiliana e venezuelana, ma anche da Paesi islamici quali l’Egitto e presso i salafiti siriani.
Il concetto moderno di società è stato ben delineato nei suoi scritti che sono stati oggetto numerose volte di attenzione tanto da parte di movimenti politici di “sinistra”, quanto da quelli di “destra”, come è avvenuto ad esempio in Francia. “È un autore controverso e complesso che ha spesso dato luogo ad interpretazioni fuorvianti da parte di quanti si sentivano e si sentono, per svariate ragioni, perseguitati politici. È un paladino di ideali di libertà e come tale suscita interesse e provoca discussioni, oggi più che mai”, mi conferma la ricercatrice Marchi.
È vero, suscita forti emozioni ancora oggi, a quasi 100 anni di distanza, sentire recitare quel testo da parte di una brava attrice sarda, Clara Murtas, accompagnata al violoncello in questa performance dalla giovane compositrice, per l’occasione anche autrice delle musiche, Stella Veloce. Le due interpreti tengono ferma l’attenzione dei numerosi giovani presenti all’evento e non lasciano spazio alcuno ad un possibile calo di tensione negli ascoltatori.
Venti minuti di riflessione profonda sulla società dei primi anni del secolo scorso, una società che allora come oggi aveva ed ha bisogno di punti di riferimento forti per non cedere al nichilismo dell’omologazione. E’ un appello-esortazione quello di Gramsci, fatto a quanti leggevano le colonne del giornale, a perseguire il valore fondante della libertà attraverso l’atto di volontà fermo, necessario a conquistarla.
Occorre partecipare nell’ambito sociale attraverso l’associazione e l’organizzazione. La consapevolezza di se stessi quali soggetti agenti attivi nell’ambito sociale dona agli individui una forma di libertà che, altrimenti, per censo e classe sociale gli sarebbe negata. Un esempio attualissimo al giorno d’oggi, in particolare in Italia dove molta polemica è sorta per le battaglie fra il Governo e le parti sociali (i sindacati in testa).
Comunque la si pensi il filosofo italiano rimane un’eredità per il pensiero contemporaneo internazionale ed è un peccato che, tranne poche eccezioni, sia poco valorizzato in patria e lo sia molto di più all’estero, come dicevamo prima.
Meritevole risulta quindi quest’iniziativa del Sardisches Kulturzentrum Berlin per far conoscere soprattutto ai più giovani un autore probabilmente a loro noto più per il brano Odio gli indifferenti, tratto dal libro “La città futura”, letto durante uno degli ultimi festival di Sanremo dai comici Luca e Paolo. In futuro, secondo quanto mi conferma la stessa signora Murtas ci saranno nuove iniziative che tenderanno a coinvolgere i giovani (e “diversamente giovani” come me) a Berlino, forse anche in collaborazione con l’Istituto italiano di cultura.
L’uomo di Potsdamer Platz

L’uomo di Potsdamer Platz

Se ne stava lì seduto con le mani aperte a conchiglia sotto il viso e le braccia poggiate sulle gambe piegate verso il petto; fermo, con lo sguardo fisso ed incantato a guardare dall’altra parte della strada.
Era proprio affascinante, pensava fra sé e sé, quel fantastico edificio con la grande cupola di vetro e cemento che ospitava l’Hotel Kampinski. Hans lo aveva sempre guardato come fosse un parco giochi e aveva mille volte fantasticato d’essere un facoltoso uomo d’affari che puntualmente s’aggirava fra quei saloni con fini broccati alle pareti e lussuosi divani di velluto rosso porpora sparsi per i vari saloni che conteneva al piano terra.
Stava un po’ lì a guardarlo, con l’aria sognante, appollaiato su di un basso muretto di mattoni rossi che delimitava un’aiuola, proprio dall’altra parte della strada.
Intanto lo sferragliare delle ruote del tram sui binari si mischiava al rumore degli zoccoli dei cavalli che trascinavano lussuose carrozze. Si alzò e si diresse verso la Leipziger Straße. Lo divertiva molto giocare correndo attorno alle colonne dei due “tempietti greci” costruiti diverso tempo prima da Schinkel e che avevano delimitato un tempo la Potsdamer Tor; ma questo Hans non lo sapeva.
S’era fatto mezzogiorno ed era l’ora di andare a vedere i treni che arrivavano alla stazione ferroviaria, proprio lì difronte. Com’era grande e maestosa! Anche se a dire il vero il gusto del dodicenne Hans era più vicino, per così dire, alla bellezza dell’altra stazione ferroviaria posta poco più a sud di quel posto: l’Anhalter Bahnhof. Oh se era bella la stazione fatta di mattoncini rossi! Sembrava quasi un palazzo di un re d’altri tempi.
Soprattutto lo incantavano quelle due statue poste in cima all’entrata, “il giorno” e “la notte”, che indifferenti presidiavano al continuo via vai delle innumerevoli persone in arrivo o in partenza per chissà dove. D’altra parte era, quella, la “Porta del sud”, quella che consentiva di andare giù, fino a Vienna o addirittura Roma, Napoli oppure Atene. Che bello sarebbe stato poter partire per quei luoghi, pensava Hans.
Un altro giro della piazza, passando davanti ai lussuosi Palast e Fürstenhof Hotel, e poi via verso casa. Non prima però di aver fischiato al vigile posto là, in alto sulla colonnina del primo semaforo d’Europa. Com’era bella la Potsdamer Platz. Già!
Poi venne la guerra e Hans partì per il fronte. Fu fortunato perché, al contrario di molti altri suoi compagni di giochi di quei giorni spensierati e felici, riuscì a tornare a casa. O forse è meglio dire a ciò che ne restava. La guerra, orribile falciatrice di uomini e speranze, aveva irrimediabilmente cambiato il bambino spensierato di una volta.
Oltre le vite di milioni di uomini, anche i posti erano fisicamente cambiati. Il giovane uomo passeggiava fra le rovine della città ed i ricordi di un tempo felice, quello in cui quegli stessi posti pullulavano di vite, di pensieri, sentimenti e grandi speranze non c’erano più. Distrutti per sempre.
Poi venne il Muro e quel luogo tanto amato da Hans divenne la più vasta landa desolata della città: la cosiddetta “terra di mezzo”. Una dozzina d’ettari di terreno senza più vita, senza bellezza, senza più anima.
Servivano solo a ricordare al mondo che la follia umana era sempre pronta a trasformare le vite ed i luoghi secondo logiche che poco avevano a che fare con i sentimenti di chi ne era stato parte integrante ed attiva.
Fu così che la vidi anch’io per la prima volta, quando venni a visitarla subito dopo la caduta del Muro. Sarà perché ho sempre amato Omero, così seguivo le orme del film di Wenders Il cielo sopra Berlino. Ero rimasto affascinato dalle scene in cui il regista faceva vedere l’antico poeta aggirarsi per quei luoghi.
Vedevo la spianata senza nulla davanti, se non i ruderi dell’Anhalter Bahnhof in lontananza, eppure sentivo che quel posto era particolare. Provavo una sensazione già vissuta in altri momenti della mia vita; era come uno struggente desiderio di vedere quella piazza in un altro tempo, piena di altra gente che aveva altre speranze, altri sogni per un altro futuro, per un’altra vita.
I tedeschi molto probabilmente tradurrebbero questa sensazione, questo struggente sentimento, con il termine Fernweh, ovvero “la nostalgia dell’altrove”. Ecco, mi mancava quest’”altrove” e lo stavo cercando con lo sguardo, girandomi su me stesso di 360 gradi.
Forse per questo attirai l’attenzione di un signore che, ad occhio, doveva avere oltre settant’anni. Si avvicinò, mi guardò bene in viso come a voler capire qualcosa, poi mi disse: «Lo sta cercando anche lei, vero?» «Cosa?», risposi io stupito. «Il senso ultimo di questo posto, quello che lo rende magico, che è ancora nell’aria. Gli altri non possono vederlo, ma io ce l’ho qui e qui» e m’indicò con una mano la testa ed il petto.
Capii subito che avevo trovato parte di ciò che stavo cercando in quel luogo. Lo guardai e gli dissi: «Piacere, Alessandro. Lei è il signor?». «Hans», mi rispose. «Bene signor Hans, che ne direbbe se ci andassimo a bere una birra? Sono sicuro che lei ed io abbiamo molto di cui parlare».

Νόστοι

Νόστοι

Νόστοι, ovvero i ritorni dei Greci in Patria dopo la distruzione di Troia. Impareggiabili i greci ed immortali i versi che hanno raccontato quei percorsi, quelli di Omero in testa.
 
 Salto ai giorni nostri, altro scenario, altra guerra.
“Te voglio n’ata vota ‘int’a sti bbraccia… Torna! ‘Sta casa aspetta a te…” così recita una bella canzone napoletana. E così “recitano” da più parti i vari politici che con frasi ad effetto vogliono dare da intendere che è possibile, oltre che auspicabile, il rientro in Patria dei cosiddetti “cervelli in fuga”. Fenomeno quest’ultimo che sembra proprio che vada per la maggiore, oramai. Chissà perché! Già, perché a ben guardare in un Paese dove il tasso di disoccupazione è fra i più alti d’Europa (12,3% a giugno di quest’anno), dove le aziende chiudono a decine ogni giorno, dove la spesa per l’istruzione è stata tagliata (siamo l’unico Paese dell’Unione, secondo l’Ocse, ad aver fatto tagli in tale settore negli ultimi 16 anni. -4% per la precisione), il futuro si prospetta roseo. Evidentemente così pensano le grandi menti che governano a vario titolo l’Italia. Piccolo particolare da notare è che le cosiddette riforme del lavoro (vedi abolizione dell’art. 18, tanto cara ad una classe sociale che l’ha auspicata da anni) e le lotte con i sindacati (di principio anche con un fondo di verità nelle argomentazioni che le supportano) sono tutto quello che dovrebbe far aumentare l’occupazione. A parte tutto ciò, quello che non si dice sia per malafede, sia per crassa ignoranza di carattere politico-economico, è che l’occupazione nel Bel Paese non potrà salire se non cambieranno le regole imposte altrove, dove ci sono le vere leve del comando, a Bruxelles. Non si muove foglia che Dio non voglia, diceva un adagio di altri tempi. Lo si potrebbe tranquillamente aggiornare con “Non cambia niente finché non si cambiano gli uomini al comando”, e per comando intendo oltre a quelli italiani, soprattutto quelli che siedono ai vertici del Parlamento europeo. 
“Eh, ma finché le nostre menti più brillanti scappano all’estero non si potrà mai fare nulla per cambiare le cose in Italia!”. Già le sento le vocine sagge che dispensano i buoni consigli come Gesù nel tempio. Non mi sembra che il loro rientro li agevoli in alcun modo ad avere un futuro. Il problema è che finché gli italiani non avranno capito che è ora di sprovincializzarsi, aprendo le loro menti al di fuori del piccolo orto natìo, capendo che il loro futuro dipende anche da come vedono il mondo che li circonda, non si staccheranno da un destino che li tiene letteralmente incatenati ad una realtà stantìa. Bisogna prima cambiare gli uomini affinché questi cambino le Istituzioni e diano un nuovo corso agli eventi, altrimenti è inutile. Uomini nuovi, con un pensiero nuovo non più legato ad una visione del mondo che non varca i confini dello Stivale. Finché non capiremo questo non potremo affrancarci da una schiavitù materiale e psicologica che ci lega mani e piedi. E sì che ne avremmo di mani operose per dar sfogo a quelle menti che abbiamo e che, purtroppo, molto spesso fugguno all’estero per disperazione.
The sailor who row against

The sailor who row against

I don’t know exactly how the people will vote in Scotland, however I hope that if it will mean that England will exit from EU I will be happy. Usa a little bit less, I suppose. Right, why until now the watchdog of their policy in Europe has been London. They didn’t use the Euro but they have been the best fellow of the american interest into the decisions of EU. They have their independence but they influence many political and economical choices among the other states of the Union. It will signify probably that Scotland will accept to use the euro instead of the pound and maybe that for the first time they will have at home somebody who row against their own interests. We will see!
Divide et impera

Divide et impera

La formazione degli Stati nazionali esaminata da F. Chabod vedeva la spinta “romantica” come molla potente nella costruzione di un pensiero nuovo. Le realtà esaminate erano altre, gli uomini erano altri, le componenti socio-economiche erano altre. Eppure un fondo di verità rimane in quell’analisi storico-sociologica. C’è bisogno di una coscienza nazionale per rendersi indipendenti da un pensiero “unico” che non è più europeo (come quello esaminato dallo storico italiano), bensì globale. A partire dalle identità nazionali, oramai prive di contenuti “forti” (leggi ideali e pensiero autonomo), si può e si deve passare ad un’identità di continente; questo perché il mondo si è fatto “piccolo”, molto stretto per singolarismi che non avrebbero futuro alcuno. Quel che intendo dire è che, non essendoci un pensiero comune, le singole identità vengono tenute separate ed attaccate nei loro valori fondanti, proprio per raggiungere lo scopo appena enunciato. Separare per comandare.
“Divide et impera”, il detto attribuito a Filippo il Macedone, è più che mai attuale. Si controllano meglio le nazioni se si pongono le basi necessarie a mantenerle disunite. Di qui l’attacco alla forza economica in primis e politica poi. Rendere deboli, per non dire schiave, le singole nazioni da un punto di vista economico è la prima strategia da mettere in atto per ottenerne il controllo politico. Se a questo aggiungiamo il controllo politico attraverso propri uomini nei posti chiave delle decisioni legislative e sociali, il gioco è fatto. Per avere un maggior controllo, quale migliore tattica del porre a capo dei maggiori organismi economici-legislativi delle di per sé deboli istituzioni europee propri esponenti? Insisto ancora una volta: uomini nuovi per un pensiero nuovo. Questo ci vorrebbe all’interno dei singoli Paesi europei. Riappropriarsi delle identità nazionali, minate dall’interno delle proprie Istituzioni, e pensare ad una vera unione politica europea. Altrimenti non c’è futuro e la catastrofe sarà inevitabile.
Il bastone e la carota

Il bastone e la carota

Questa è la storia di un Paese dei balocchi dove gli abitanti, decisamente sonnacchiosi, si riunivano giorno dopo giorno sulla pubblica piazza per sentire il sermone dell’imbonitore di turno che guidava il Paese medesimo. E’ una storia un po’ noiosa, perché sempre uguale, ed un po’ triste, perché fa intendere la fine non proprio gloriosa. Giorno dopo giorno l’imbonitore, comandato da sottili fili trasparenti che abili burattinai tenevano da lontano, raccontava una favola sul futuro del Paese e tutti lo ascoltavano a bocca aperta, come se ciò che dicesse fosse realmente rilevante per un domani migliore rispetto al mesto presente. Lo schema era sempre lo stesso: “…bla, bla, bla… Dobbiamo riformare il Paese, sennò nella Grande Nazione non saranno contenti e la nostra condizione rimarrà quella che è”.
Così gli anni passavano e la massa pendeva dalle labbra del solito imbonitore con deferente atteggiamento, come fosse un salvatore della Patria. Historia magistra vitae, diceva Cicerone, ma in questo caso non risultava essere vero, purtroppo.
Un altro anno è passato. E’ cambiato l’imbonitore. I problemi sono aumentati ed i cittadini del piccolo Paese sono rimasti sempre gli stessi, cioé sonnacchiosi e privi di senso critico. Forse, anzi no, senza il forse, se li meritano gl’imbonitori e la loro condizione. Visto che gli piace tanto il bastone, s’accontentano dell’illusione della carota.

Laura Mengani – Il bastone e la carota

 

Gli uomini nuovi

Gli uomini nuovi

Eppure sì, ne sono convinto, un’Europa diversa è possibile. Forse proprio la crisi ucraìna potrebbe essere la spinta verso il cambiamento. 
La politica espansionistica degli Stati Uniti con le sanzioni imposte alla Russia potrebbe rappresentare il volano che spinga le nazioni europee al cambiamento, Germania in testa. Gli interessi economici in gioco stanno diventanto talmente pesanti che persino la miope politica estera della Cancelliera tedesca potrebbe cambiare. Se così fosse sono sicuro che la Francia s’accoderebbe a tale cambio di direzione, producendo a cascata un “ripensamento” delle strategie di molte altre nazioni più deboli politicamente.
Occorrerebbero uomini nuovi; gente in grado di cambiare le alleanze finora messe in atto. Partendo dall’Economia, finora punto divisivo e non aggregativo all’interno dell’Unione, si potrebbe sperare in un cambiamento generale che coinvolga, finalmente, il livello politico.
Il gioco politico degli americani si sta rivelando un boomerang per tutti gli Stati europei e voci discordanti circa l’opportunità di continuare su questa strada iniziano a levarsi anche negli alti vertici delle classi dirigenti nazionali. E’ a questo punto che gli “uomini nuovi” dovrebbero intervenire e prendere le redini della situazione, trascinando quelle forze sopite che auspicano un cambiamento verso nuovi orizzonti. Possibilmente verso una rifondazione dell’Unione stessa, su altri presupposti e basi. La Politica deve ritornare a fare il suo mestiere, anche a vantaggio della stessa Economia. E questo gli economisti europei lo stanno ben comprendendo. E’ una questione d’interessi, s’intende, ma questa volta tali interessi sono contrari a quelli imposti da oltre oceano e dalla Gran Bretagna. Ripeto, potrebbe essere la volta buona che s’inizi ad intravedere la fine del tunnel senza uscita nel quale la miopia dei nostri politici ha finora accompagnato trionfante la Finanza specualtiva. E’ ora che la Germania capisca che non è più il caso di fare il battitore libero e s’assuma la responsabilità morale e politica di fare da trait d’union di una nuova Unione Europea, su base federale, che pur rispettando le singolarità sia veramente un’unione politica. La sola che abbia un senso.
Chi aiuterà… la Merkel?

Chi aiuterà… la Merkel?

Eh sì, la Crisi è ovunque. Mal comune, mezzo gaudio come si suol dire. Soprattutto quando si ha bisogno di “armi di distrazione di massa”, in questo caso di tipo economico. Così gli “analisti” italiani, seguiti a ruota in pompa magna dai nostri media, noto esempio di indipendenza e competenza, si sono sperticati nel dichiarare ai quattro venti che “perfino la Germania frena”, udite udite, con un bel -0,2% del Pil. E’ come dire che un elefante ha rallentato la sua corsa perché un orecchio gli si è piegato contro il vento, rallentandone la corsa. Ovviamente non si analizza più di tanto il perché di questo “enorme” calo nell’economia tedesca, perché altrimenti si vedrebbe che non è di certo dovuto a motivi occupazionali, i più alti dal dopoguerra ad oggi, bensì ai recenti eventi dell’Ucraina e le sanzioni stabilite dagli Usa e dalla Ue nei confronti della Russia, di cui la Germania è il 1° partner commerciale europeo. Già vedo orde di tedeschi ammassarsi sul confine polacco in cerca di pane e possibilità di lavoro. A noi va bene perché siamo divisi da questo Paese “stagnante”, secondo quanto dichiarato dal nostro show man per eccellenza, il venditore di fuffa a cottimo Matteo Renzie, dai monti svizzeri ed austriaci, sennò chissà che non si potrebbero vedere anche per le strade di Milano o Torino, oppure fra le calli di Venezia gentili Fräuleins in cerca di cibo per le proprie famiglie. Già vedo Frau Merkel fortemente preoccupata per questa china che la sua debole economia sta prendendo. Poverina, lei.




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