Mi pongo alla finestra di me stesso

Mi pongo alla finestra di me stesso

Mi pongo alla finestra di me stesso ed attendo di vederti passare
Ho abbandonato i sentimenti che mi legavano al tuo ricordo
Sei un’ombra pallida nel fondo della mia anima.
Mi rimane il sapore amaro del tuo profumo in un angolo dei miei pensieri.
Non credo che dalla mia bocca uscirà più il tuo nome
Semmai un giorno il destino dovesse farmi incrociare di nuovo il tuo cammino.
Lo devo a me stesso, alla mia residua voglia di vivere e al mio incerto domani.

Una questione di scelta

Una questione di scelta

Nella vita di un individuo accade, a volte, che gli eventi lo portino a compiere delle scelte radicali. Tali scelte vanno ben ponderate perché, qualunque sarà la via che lo porteranno a seguire, saranno in ogni caso definitive. Sono scelte che non vanno prese sull’onda delle emozioni: sono troppo importanti per lasciarle al refolo di un sentimento momentaneo ed è per questo che richiedono un giusto tempo per essere considerate e metabolizzate. Per questa ragione ho smesso di scrivere appunti sparsi su questo blog, perché è per me arrivato il tempo delle scelte radicali. Ho da tempo preparato un post che espliciti una delle due strade possibili da percorrere, l’alternativa ancora non la vedo e non so se troverà mai uno sbocco che mi consenta di continuare ad aver voglia di esternare pensieri sparsi in questa forma pubblica. Mi scuso con chi ha avuta la pazienza di passare una piccola parte del suo tempo a soffermarsi su queste pagine, ma sono altre le cose serie che mi devo far perdonare, soprattutto da me stesso!
La bellezza di una donna

La bellezza di una donna

“Non est formonsa cuius crus laudatur aut brachium, sed illa cuius universa facies admirationem partibus singulis abstulit”
Lucius Annaeus Seneca, Epistularum moralium ad Lucilium, IV, 33, V

Una bella donna non è colei di cui si lodano le gambe o le braccia, ma quella il cui aspetto complessivo è di tale bellezza da togliere la possibilità di ammirare le singole parti.

Io ne ho conosciuta una: era talmente bella a miei occhi da togliere il respiro, ma gli occhi della mente, alle volte, si perdono nella complessità non volendo cogliere il particolare che rovina il tutto.

σύν πάθος (post che avevo pubblicato e poi ritirato a febbraio)

σύν πάθος (post che avevo pubblicato e poi ritirato a febbraio)

Il tuo dolore è il mio
La tua anima sofferente è la mia
La tua solitudine è la mia.
I miei occhi vedono attraverso i tuoi
Il tuo respiro riempie i miei polmoni
Il mio cuore batte accanto ai vostri.
Io ci sarò sempre, a prescindere.
Se tutto questo solo tu lo “sentissi”
ci sarebbero due esseri meno disperati sulla terra!

L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro… o meglio lo era!

L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro… o meglio lo era!

“L’Italia non può fallire, fallirebbe l’Europa”. Questo quanto da più parti si è affermato in quest’ultimo periodo a commento della situazione economica del nostro Paese. Già, ma che Paese è quello in cui vedi in strada, camminando, una giovane ragazza mal vestita, con ai piedi il suo fagotello, mentre sta fingendo di suonare un flauto dolce che palesemente non sa neanche da che parte tenere in mano per chiedere le elemosina a passanti distratti e frettolosi? E come lei ne ho visti altri di giovani ragazzi e ragazze, scalzi, magri, coperti di un vecchio cappotto al semaforo allungare la mano con lo sguardo perso nel vuoto, in attesa che qualcuno infagottato nella propria auto gli desse qualche spiccio. Oppure che Paese è quello in cui incontri un tuo coetaneo, appartentemente vestito in modo non lacero, che ti chiede qualcosa per mangiare perché è stato licenziato e non riesce a trovare lavoro? Già, che Paese è? E’ un Paese morto! E’ un Paese che non sa dare risposte alla necessità di dignità delle persone che vi vivono e che contribuiscono o hanno contribuitio al suo sviluppo. Basterebbero i primi 4 articoli della nostra costituzione a dare il segno del fallimento del nostro Bel Paese: sono bellissimi articoli dove si sancisce il diritto alla dignità economica, sociale e politica di chiunque, nessuno escluso. Furono ben pensati e sarebbero il cardine bellissimo su cui basare lo sviluppo sociale e culturale di qualsiasi Paese, a maggior ragione il nostro dalla millenaria cultura e tradizione di civiltà; invece, purtroppo, stanno lì a testimoniare il fallimento di una classe politica e di dirigenza economica che hanno portato alla disperazione e, talvolta, a gesti estremi chi tali principi ha visti calpestati senza il benché minimo scrupolo proprio da costoro. Purtroppo mi rendo conto, pensandoci da ormai diverso tempo, che la nostra società s’accorgerà troppo tardi del punto in cui siamo giunti, un punto senza ritorno, o almeno di qualche tipo di rinascita, ma a scapito di vere sofferenze intestine che dureranno per anni. E’ triste, ma la sola cosa che a mio parere rimane è, per chi può, andare a cercare quella dignità e quelle speranze di possibilità di una vita degna altrove, lontano da qui!
La caratteristica del genio

La caratteristica del genio

Il famoso adagio secondo cui “Il genio è una lunga pazienza”, attribuito a diversi scrittori che vanno da Goethe a Gide, l’ho sempre trovato molto particolare. Il significato ultimo di tale affermazione è che anche la genialità è frutto delle cognizioni che l’hanno preceduta nel corso del tempo. Questo è vero senz’altro: ciascuno di noi si forma attraverso ciò che apprende, ciò che lo circonda, chi lo circonda. E’ pur vero, però, che la genialità è al medesimo tempo la capacità di osservare la realtà, ciò che ci circonda, chi ci circonda, sotto un profilo del tutto nuovo, che mai altri prima di allora avevano saputo trovare od esporre. Da Einstein a Bach, da Platone a Dante, da Leonardo a Galileo la caratteristica comune è data dalla capacità di vedere il mondo, di dare un quadro della propria epoca, d’interpretare il senso comune in modo del tutto nuovo ed originale. Dunque a cosa si potrebbe ricondurre la genialità? A quel quid che solo alcuni hanno innato, alla rielaborazione della realtà che li circonda e direi alla libertà di cui hanno potuto godere per esperire questa loro capacità. La libertà è essenziale tant’è che, nel corso dei secoli, chi ha individuato un pericolo in tale genialità ha in tutti i modi cercato di limitarne se non addirittura stroncarne le capacità creatrici: Galileo ne è un esempio per tutti. Il genio è dunque anche manifestazione tipica di anticonformismo, spesso in dura polemica con la visione del mondo a lui contemporanea: è proprio per questo che va al di là del periodo temporale che ne vede l’esistenza. Spesso solo le epoche a lui successive lo riconosceranno e ne apprezzeranno le doti. Qualcuno ha nomi da fare a candidato rappresentativo della nostra di epoca? Si accettano proposte!
Honni Soit Qui Mal Y Pense

Honni Soit Qui Mal Y Pense

Il celebre motto dell’Ordine della Giarrettiera, istituito da Edoardo III d’Inghilterra (nato peraltro a seguito di un episodio tutto sommato di banale galanteria), sembra essere uscito dalla bocca dei difensori dello “status quo”, di qualsiasi epoca, in qualsiasi Paese. Ciò è più vero che da altre parti in Italia, Paese notoriamente dormiente, un po’ per indole, un po’ per convenienza, un po’ per ignoranza. Già, l’ignoranza, il potente mezzo utilizzato da chiunque voglia rendere gli altri schiavi, nel fisico, ma soprattutto nelle menti. In un mondo più o meno tecnolocizzato come il nostro, i media sono oramai il piffero usato per incantare, per rendere uniforme il pensiero, per rendere innocui i fruitori passivi di ciò che vi si fa transitare. Quegli stessi media che, in realtà, sarebbero in potenza la chiave di volta per scardinare il “pensiero unico” dilagante. Nell’antichità c’erano i maestri del pensiero che distribuivano per pochi fortunati il sapere ed i suoi aspetti più progressisti, quel sapere che nelle sue forme più alte s’è tramandato attraverso la filosofia, la letteratura, le arti in generale fino ad arrivare ai nostri giorni. Poi si è arrivati finalmente all’istruzione di massa e chiunque, in teoria, ha avuto la possibilità di accedere direttamente al sapere, rendendosi in tal modo capace di scegliere in modo autonomo il “pensiero” a cui aderire in modo libero e non per imposizione. Con la tecnologia alla portata di tutti, teoricamente, chiunque potrebbe essere in grado di cercare di capire ciò che nella vita comune, quella di tutti i giorni, quella in cui milioni d’informazioni vengono messe a disposione nel mondo intero, è vero distinguendolo dal verosimile. Filippo il Cancelliere sosteneva che “bonum et verum convertuntur” (concetto di antica origine), ed in fondo è vero, ma ciò che ci viene spesso propinato come essere il nostro bonum non sempre è in realtà tale. E’ disarmante seguire i commenti della gente alle notizie che vengono loro propinate per giustificare decisioni prese da governanti, finanzieri, personaggi che detengono il potere a diverso titolo e in diverse situazioni e che riguardano la loro stessa vita sociale, economica, di pensiero. Un proverbio dice che ci si abitua a tutto, e sembra che sia proprio così, anche se così non dovrebbe mai essere. “Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza” diceva padre Dante nel canto XXVI dell’Inferno, ma rimane un’esortazione inascoltata ai tempi dei cibi precotti, del tempo tiranno, dei pensieri perduti e di quelli corrotti, al tempo presente, che ricorda molto da vicino quello più oscuro passato o forse futuro di un’umanità molto, ma molto distratta.
Magritte –Golconde
Forza Roma, forza lupi…

Forza Roma, forza lupi…

Ma come è buono George Soros in questa intervista in cui parla della situazione economica italiana! E’ come dire che il lupo piange per l’agnello che ha appena sbranato. Già, perché l’ungherese finanziere, naturalizzato statunitense, è considerato uno dei maggiori artefici di diversi mutamenti a livello economico e no in molteplici parti del mondo. Sue le “macchinazioni” finanziarie che hanno visto il mezzo tracollo finanziario di numerose nazioni (Gran Bretagna, Francia, Malesia, solo per citarne alcune), nonché suo il coinvolgimento in alcuni degli avvenimenti di sollevazione popolare in chiave anti governativa più significativi di questi ultimi anni: Polonia, Cecoslovacchia, Unione Sovietica, Ucraina a titolo d’esempio. Meno male, però, che per l’italiano medio è meglio conosciuto per il suo interessamento nel 2008 all’acquisizione della Roma calcio: l’italico pane quotidiano dei calci di rigore e delle rimesse laterali l’ha reso sicuramente popolare e più simpatico a tutti, o quasi! Peccato non l’abbia acquisita, altrimenti ora avremmo potuto tutti gridare: “Forza Roma, forza lupi, so’ finiti i tempi cupi”. Magari, sono appena iniziati!
La dura lotta per la conquista dell’osso

La dura lotta per la conquista dell’osso

Nel pur attento articolo dell’altro ieri di Alessandro Gilioli sul suo blog dell’Espresso si metteva in luce il caratterre frammentario delle proteste sorte in reazione alla manovra finanziaria e di finte privatizzazioni messe in atto dal Governo presieduto da Mario Monti, o meglio dal sorgere di reazioni tendenti a mettere ciascun “pezzetto” sociale di Paese l’uno contro l’altro armati. Il problema però che, a mio parere, viene a galla è che la serie di iniqui provvediementi presi da questo Esecutivo altro non è se non la prosecuzione, con  altri mezzi, della politica da sempre adottata in Italia negli ultimi 50 anni almeno. Le classi “privilegiate” continuano ad essere tali, così come lo erano ai tempi della Democrazia Cristiana o ai tempi della cosidetta seconda Repubblica, solo con altri metodi, con altro savoir faire. Il carattere frammentario della società italiana, in realtà, non è mai venuto meno fin dal Medioevo: l’Italia è sempre stata il Paese delle corporazioni ed i particolarismi. Ai tempi di Dante esistevano già le categorie sociali che si riunivano per dare maggiore forza alle proprie aspettative economiche e di diritti in un contesto che di “diritti” ne dava certamente ben pochi, ma per l’appunto era il tempo di una nascente borghesia quale punta di diamante di una classe sociale in fortissima espansione, come si vedrà poi durante il Rinascimento fino ad arrivare al 20° secolo. La contrapposizione fra classi dunque è sempre esistita e quella dominante ha sempre teso a perpetuare i propri privilegi a scapito, ovviamente, di quella più povera e con meno garanzie sociali. Ciò che è cambiato, come ho più volte scritto, è che le classi sociali si sono trasformate: la borghesia in senso stretto non è più tale, né tanto meno la classe “operaia”. Oggi la classificazione andrebbe spostata sul concetto, molto più semplificativo, di abbienti e poveri, là dove il grado di povertà si misura in una scala che va da chi non ha di che mangiare nel vero e proprio senso della parola, a chi manifesta il suo grado di benessere comprandosi l’ultimo cellulare uscito sul mercato come fosse segno distintivo di opulenza. E mentre queste due sub-categorie di nuovi poveri si scannano fra di loro per difendere i più elementari diritti, i primi, e le più effimere “conquiste” simboliche di una ricchezza non più tale, se non nell’immaginario indotto dalla vera classe dirigente, i secondi, chi detiene la vera ricchezza del nostro Paese e del mondo intero guarda dall’alto lo “scannarsi” infruttuoso del resto dell’umanità. I cani s’azzannano per un tozzo di pane, mentre loro mangiano comodamente seduti al tavolo della ricchezza godendosi lo spettacolo che hanno sapientemente preparato ai loro piedi. Il vero problema è che nessuno sembra riuscire a far capire ai “cani” che s’azzuffano, che c’è chi  li guarda dall’alto dare questo spettacolo. I “Mangiafuoco” della nostra società hanno cambiato pelle, ma i fili continuano a tirarli loro. A noi, poveri burattini manovrati, non rimane altro che continuare, a quanto sembra, recitare una parte già scritta, con un copione tragico e ripetitivo!
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