It’s too late to pay!

It’s too late to pay!

Unfortunately nobody can help Italy to save itself! This is what I think about my country in this historical moment. I say this because analyzing this country from different points of view it’s destiny is written, or has been written from a long time. I have written many times about this topic, but looking just now to the different social partners that lead the main sectors of our civil life, from politics to the industrial managers, from the journalists to the cultural leader class, from the trade union to the common people nobody seems to have a real vision of the situation: this is a dead country. Foolish politics of the past apart, there aren’t new ideas, there isn’t the real will to change, everything is always the same and there are a lot of unfruitful discussions about the same problems: this is an old country with no future! It’s sad to talk about the own country in this way, anyway it’s realistic. When people talk about economy, about solutions to the crisis, about how to perk up the job market, is talking about the same old things, without a point of view on the future. It’s too late to change now years of wrong way to live, thinking that somebody else would have paid the bill. That moment has arrived, but nobody has the right money to pay!
Dedicato

Dedicato

μετανοέω in greco antico, come ho già avuto modo di dire in questo blog, è la capacità dell’essere umano di cambiare il proprio pensiero, nel senso più profondo del termine, nel senso di “correzione” del proprio sentire ed essere. E’ la caratteristica prettamente umana che non è un pentimento in senso stretto, bensì la capacità di cambiare i convincimenti fondanti la propria esistenza. E’ stato il convincimento, del tutto laico, per il quale sono stato da sempre contrario ad esempio alla barbarie della pena di morte, perché ciascun individuo ha diritto di poter esperire la propria μετάνοια ed è segno distintivo di civiltà in una società che voglia definirsi tale. Ebbene, ammetto pubblicamente che questo processo mentale è un’esperienza che mi sono trovato a vivere nel “mezzo del cammin di mia vita” e devo dire che mi sono piacevolmente scoperto ancora capace di mettermi in gioco, di provare in prima persona ciò che avevo sempre sostenuto “sulla carta” come principio sacrosanto dell’essere umano. Ho deciso, senza troppo esitare, di vivere la mia μετάνοια, di abbandonare la mia “anima bella” hegeliana,  direi con la gioia di mettermi alla prova come individuo; direi in senso ultimo di vedere se come uomo ero ancora capace di provare stupore di me stesso. Il cammino è ancora lungo, ma conto di poter imparare ancora molto!




Francesco Musante – Nel golfo del tempo perduto


Trinacria, terra di civiltà, mafia, arance profumate e… forconi

Trinacria, terra di civiltà, mafia, arance profumate e… forconi

Mentre a Roma il Governo Monti emanava il primo decreto “finte” liberalizzazioni, pilotato dai partiti (vedi Gianni Letta richiamato a consiglio) e dai cosiddetti poteri forti (banche, società d’energia, assicurazioni, ecc.), in Sicilia, fra l’iniziale silenzio complice dei mass media, un sempre più crescente movimento di protesta sta coinvolgendo a macchia di leopardo variegati strati sociali, dai camionisti ai pescatori, dagli agricoltori ai pastori, fino ad inglobare un po’ tutta la popolazione. Sembra che la loro protesta si allarghi fino a coinvolgere un altro “popolo” protagonista di lunghe sofferenze ed orgoglio indomito, quello dei sardi. Che siano queste due realtà la vera “Occupy Wall Street” italiana? Francamente, come ho avuto già modo in altri post di affermare, il movimento italiano di protesta mondiale contro lo strapotere della Finanza a scapito di intere popolazioni, s’è visto ben poco qui da noi e, per quel poco che s’è visto, con esiti decisamente disastrosi. Una speranza per il nostro vecchio, tanto vecchio Paese, può forse venire proprio da questi movimenti, sicuramente più “motivati” e “strutturati” di quelli organizzati in modo a dir poco semplicistico dai giovani che, pur avendo aderito ad un sentimento comune, non riescono a far emergere esigenze concrete, sentite dal resto della gente. Non riescono, per così dire, a svegliare gli italiani, popolo notoriamente dormiente nel difendere il sociale. Il detto di Jean de La Fontaine, ripreso a sua volta da Terenzio, che recita: “Uno stomaco affamato non ha orecchie” è quanto di più vero possa chiarire le crescenti proteste siciliane ora, magari di tutto il resto del Paese poi. Credo che i contadini siciliani, piuttosto che i pastori sardi, abbiano capito molto meglio dei nostri “politici” a tutti i livelli, quanto andrebbero considerate le agenzie di rating americane ed i fondi d’investimento da cui dipendono.

Amore e Psiche

Amore e Psiche

Apuleio nel suo bellissimo Metamorphoseon (Metamorfosi), conosciuto anche come Asinus aureus (L’Asino d’oro) racconta la bellissima storia d’amore fra ψυχή (Psiche) bellissima fanciulla ed ἔρως (Amore), figlio di Venere. Lunga e travagliata la loro storia d’amore, ma in ultimo coronata da un lieto fine. In ambito filosofico la psiche è un insieme di facoltà mentali che portano alla conoscenza del mondo esterno ed interno dell’individuo, mentre eros ha da sempre rappresentato il coinvolgimento emotivo, passionale, delle pulsioni. Un giusto mix delle due, ben amalgamato probabilmente rendono l’essere umano quel coacervo di raziocinio ed irrazionalità del tutto unici nel mondo animale. Alle volte, nella vita di un individuo, può accadere che una o l’altro si perdano strada facendo, lasciando l’essere umano solo, indifeso, con tutta la sua umanità fallace messa a nudo. E’ in quei momenti che è fondamentale incotrare sul nostro cammino qualcuno che sia in grado di capire questo “smarrimento” e si faccia carico anche per la nostra parte d’indirizzare le nostre energie mentali (psichiche) e passionali (erotiche, nel senso greco del termine) a far si che non ci si perda verso strade anche senza ritorno. Abbiate sempre cura di non chiudervi mentalmente al mondo e lasciate la possibilità all'”altro” di tendervi la mano: sono mani preziose, sono quelle che più contano nella vita. Stringetele forte e proteggetele sempre.

Canova – Amore e Psiche

Il Faust che emerge

Il Faust che emerge

Nel suo Faust Zweiter Teil J. W. Goethe ci descrive, come solo i grandi sanno fare, l’aspirazione umana, rappresentata da un ormai anziano Faust, all’infinito. Sarà la sua dannazione, perché Mefistofele lo farà morire per conservargli questo “attimo di felicità” e reclamare così la sua anima. Bene, ci sono momenti della nostra vita in cui pagheremmo volentieri con la nostra stessa anima per poter fermare il tempo, per aspirare a vedere un futuro migliore, per aspirare a vedere realizzata la felicità, ma come si sa, la felicità non è di questo mondo. Come biasimare allora chi decide di fermare il tempo per serbare per sempre il momento in cui si è stati felici?

Donami destino la tua faccia  più bella,                                                    

Portami davanti al cammino infinito,
Fammi ascoltare la voce di un dio:
Di me non rimane che il corpo di un uomo.
Non m’importa di ciò che il mondo ha creduto,
Ho vissuto momenti di gioia completa,
Mi rimane l’illusione che l’avrei fermata,
Non voglio restare sconfitto e deriso.
Son pochi coloro che mi sapranno capire.
Di loro è l’amore ch’ho saputo donare.
Storia di un’anima infinita

Storia di un’anima infinita

LE RICORDANZE
Vaghe stelle dell’Orsa, io non credea
Tornare ancor per uso a contemplarvi
Sul paterno giardino scintillanti,
E ragionar con voi dalle finestre
Di questo albergo ove abitai fanciullo,
E delle gioie mie vidi la fine.
Quante immagini un tempo, e quante fole
Creommi nel pensier l’aspetto vostro
E delle luci a voi compagne! allora
Che, tacito, seduto in verde zolla,
Delle sere io solea passar gran parte
Mirando il cielo, ed ascoltando il canto
Della rana rimota alla campagna!
E la lucciola errava appo le siepi
E in su l’aiuole, susurrando al vento
I viali odorati, ed i cipressi
Là nella selva; e sotto al patrio tetto
Sonavan voci alterne, e le tranquille
Opre de’ servi. E che pensieri immensi,
Che dolci sogni mi spirò la vista
Di quel lontano mar, quei monti azzurri,
Che di qua scopro, e che varcare un giorno
Io mi pensava, arcani mondi, arcana
Felicità fingendo al viver mio!
Ignaro del mio fato, e quante volte
Questa mia vita dolorosa e nuda
Volentier con la morte avrei cangiato.
Né mi diceva il cor che l’età verde
Sarei dannato a consumare in questo
Natio borgo selvaggio, intra una gente
Zotica, vil; cui nomi strani, e spesso
Argomento di riso e di trastullo,
Son dottrina e saper; che m’odia e fugge,
Per invidia non già, che non mi tiene
Maggior di sé, ma perché tale estima
Ch’io mi tenga in cor mio, sebben di fuori
A persona giammai non ne fo segno.
Qui passo gli anni, abbandonato, occulto,
Senz’amor, senza vita; ed aspro a forza
Tra lo stuol de’ malevoli divengo:
Qui di pietà mi spoglio e di virtudi,
E sprezzator degli uomini mi rendo,
Per la greggia ch’ho appresso: e intanto vola
Il caro tempo giovanil; più caro
Che la fama e l’allor, più che la pura
Luce del giorno, e lo spirar: ti perdo
Senza un diletto, inutilmente, in questo
Soggiorno disumano, intra gli affanni,
O dell’arida vita unico fiore.
Viene il vento recando il suon dell’ora
Dalla torre del borgo. Era conforto
Questo suon, mi rimembra, alle mie notti,
Quando fanciullo, nella buia stanza,
Per assidui terrori io vigilava,
Sospirando il mattin. Qui non è cosa
Ch’io vegga o senta, onde un’immagin dentro
Non torni, e un dolce rimembrar non sorga.
Dolce per sé; ma con dolor sottentra
Il pensier del presente, un van desio
Del passato, ancor tristo, e il dire: io fui.
Quella loggia colà, volta agli estremi
Raggi del dì; queste dipinte mura,
Quei figurati armenti, e il Sol che nasce
Su romita campagna, agli ozi miei
Porser mille diletti allor che al fianco
M’era, parlando, il mio possente errore
Sempre, ov’io fossi. In queste sale antiche,
Al chiaror delle nevi, intorno a queste
Ampie finestre sibilando il vento,
Rimbombaro i sollazzi e le festose
Mie voci al tempo che l’acerbo, indegno
Mistero delle cose a noi si mostra
Pien di dolcezza; indelibata, intera
Il garzoncel, come inesperto amante,
La sua vita ingannevole vagheggia,
E celeste beltà fingendo ammira.
O speranze, speranze; ameni inganni
Della mia prima età! sempre, parlando,
Ritorno a voi; che per andar di tempo,
Per variar d’affetti e di pensieri,
Obbliarvi non so. Fantasmi, intendo,
Son la gloria e l’onor; diletti e beni
Mero desio; non ha la vita un frutto,
Inutile miseria. E sebben vòti
Son gli anni miei, sebben deserto, oscuro
Il mio stato mortal, poco mi toglie
La fortuna, ben veggo. Ahi, ma qualvolta
A voi ripenso, o mie speranze antiche,
Ed a quel caro immaginar mio primo;
Indi riguardo il viver mio sì vile
E sì dolente, e che la morte è quello
Che di cotanta speme oggi m’avanza;
Sento serrarmi il cor, sento ch’al tutto
Consolarmi non so del mio destino.
E quando pur questa invocata morte
Sarammi allato, e sarà giunto il fine
Della sventura mia; quando la terra
Mi fia straniera valle, e dal mio sguardo
Fuggirà l’avvenir; di voi per certo
Risovverrammi; e quell’imago ancora
Sospirar mi farà, farammi acerbo
L’esser vissuto indarno, e la dolcezza
Del dì fatal tempererà d’affanno.
E già nel primo giovanil tumulto
Di contenti, d’angosce e di desio,
Morte chiamai più volte, e lungamente
Mi sedetti colà su la fontana
Pensoso di cessar dentro quell’acque
La speme e il dolor mio. Poscia, per cieco
Malor, condotto della vita in forse,
Piansi la bella giovanezza, e il fiore
De’ miei poveri dì, che sì per tempo
Cadeva: e spesso all’ore tarde, assiso
Sul conscio letto, dolorosamente
Alla fioca lucerna poetando,
Lamentai co’ silenzi e con la notte
Il fuggitivo spirto, ed a me stesso
In sul languir cantai funereo canto.
Chi rimembrar vi può senza sospiri,
O primo entrar di giovinezza, o giorni
Vezzosi, inenarrabili, allor quando
Al rapito mortal primieramente
Sorridon le donzelle; a gara intorno
Ogni cosa sorride; invidia tace,
Non desta ancora ovver benigna; e quasi
(Inusitata maraviglia!) il mondo
La destra soccorrevole gli porge,
Scusa gli errori suoi, festeggia il novo
Suo venir nella vita, ed inchinando
Mostra che per signor l’accolga e chiami?
Fugaci giorni! a somigliar d’un lampo
Son dileguati. E qual mortale ignaro
Di sventura esser può, se a lui già scorsa
Quella vaga stagion, se il suo buon tempo,
Se giovanezza, ahi giovanezza, è spenta?
O Nerina! e di te forse non odo
Questi luoghi parlar? caduta forse
Dal mio pensier sei tu? Dove sei gita,
Che qui sola di te la ricordanza
Trovo, dolcezza mia? Più non ti vede
Questa Terra natal: quella finestra,
Ond’eri usata favellarmi, ed onde
Mesto riluce delle stelle il raggio,
È deserta. Ove sei, che più non odo
La tua voce sonar, siccome un giorno,
Quando soleva ogni lontano accento
Del labbro tuo, ch’a me giungesse, il volto
Scolorarmi? Altro tempo. I giorni tuoi
Furo, mio dolce amor. Passasti. Ad altri
Il passar per la terra oggi è sortito,
E l’abitar questi odorati colli.
Ma rapida passasti; e come un sogno
Fu la tua vita. Iva danzando; in fronte
La gioia ti splendea, splendea negli occhi
Quel confidente immaginar, quel lume
Di gioventù, quando spegneali il fato,
E giacevi. Ahi Nerina! In cor mi regna
L’antico amor. Se a feste anco talvolta,
Se a radunanze io movo, infra me stesso
Dico: o Nerina, a radunanze, a feste
Tu non ti acconci più, tu più non movi.
Se torna maggio, e ramoscelli e suoni
Van gli amanti recando alle fanciulle,
Dico: Nerina mia, per te non torna
Primavera giammai, non torna amore.
Ogni giorno sereno, ogni fiorita
Piaggia ch’io miro, ogni goder ch’io sento,
Dico: Nerina or più non gode; i campi,
L’aria non mira. Ahi tu passasti, eterno
Sospiro mio: passasti: e fia compagna
D’ogni mio vago immaginar, di tutti
I miei teneri sensi, i tristi e cari
Moti del cor, la rimembranza acerba.
Giacomo Leopardi, Canti, XXII
Torniamo a studiare i classici: hanno già detto tutto in modo impareggiabile!
Italia: il Paese delle polemiche sterili

Italia: il Paese delle polemiche sterili

Di questi giorni è la polemica inerente alle cosiddette liberalizzazioni. In un Paese arcaico come il nostro, da un punto di vista sociale e non solo, l’eco suscitata da ogni tipo di iniziativa volta a scardinare i “secolari” privilegi accumulati nel tempo dalle varie componenti sociali ha sempre il tono dell’allarme suscitato da un macellaio all’interno d’un mattatoio. E’ ciclico vedere, ad ogni tentativo in tale direzione, tutte le categorie di parte interessate stracciarsi pubblicamente le vesti, gridando al complotto prima, e manifestando vittismo in cerca di comprensione dopo. Orde di conducenti di taxi nelle strade che lamentano il loro grado di povertà economica (conosco personalmente alcuni di loro e, se una cosa è sicura, non sono certo una categoria che muore di fame, oltre ad essere fra i servizi che maggiormente evadono le tasse con dichiarazioni dei redditi mendaci): poveri tassisti che lamentano, in caso di liberalizzazione del loro mercato lavorativo, la perdita di valore della loro licenza “pagata” molto cara e che dovrebbe costituire il loro “fondo pensione”. Piccolo particolare: la licenza per la conduzione di un taxi è pubblica, cioè rilasciata da un ente pubblico (per lo più comuni) ed è regolamentata dalla legge del 15 gennaio 1992, n°21 che ai paragrafi 8 e 9 regolamenta proprio tale questione: “La licenza per l’esercizio del servizio di taxi e l’autorizzazione per l’esercizio del servizio di noleggio con conducente sono rilasciate dalle amministrazioni comunali, attraverso bando di pubblico concorso, ai singoli che abbiano la proprietà o la disponibilità in leasing del veicolo o natante, che possono gestirle in forma singola o associata.” e ancora “La licenza per l’esercizio del servizio di taxi e l’autorizzazione per l’esercizio del servizio di noleggio con conducente sono trasferite, su richiesta del titolare, a persona dallo stesso designata, purché iscritta nel ruolo di cui all’articolo 6 ed in possesso dei requisiti prescritti, quando il titolare stesso si trovi in una delle seguenti condizioni:…”. Questo significa che è vero che possono “trasferire” la propria licenza pubblica (provvedimento preso immagino per tutelare all’interno di una famiglia la possibilità di avere qualche membro in stato d’occupazione) solo ed unicamente a titolo gratuito. In parole povere, anche se loro l’hanno “comprata” e a caro prezzo, la cosa è del tutto illegale. Se l’hanno fatto è segno che il servizio taxi è uno di quelli che maggiormente garantisce una buona retribuzione, altrimenti sarebbero stati dei folli a sprecare oltre 150.000€ anche per una sola licenza! Addirittura si parla della possibilità d’indennizzare costoro in caso di liberalizzazione per compensare tale perdita di valore. Ora la domanda è una sola: perché? E’ come dire che bisognerebbe costruire con denaro pubblico una casa a chi ha fabbricato abitazioni su suolo demaniale abusivamente e che, giustamente, vengono abbattute. Stesso discorso vale per tutte le altre feudali categorie quali quelle dei farmacisti, dei notai, degli avvocati, dei giornalisti, ecc. ecc. fin ad arrivare ai gestori nazionali di gas ed energia.
Il problema è che questo Paese morto non avrà mai la capacità di emendare se stesso, perché è nell’animo degli italiani, come più volte ho detto, il guardare al proprio orticello, senza una visione d’insieme, senza una visione di futuro, molto probabilmente proprio senza un futuro!
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