Un uomo diverso

Un uomo diverso

Ci sono momenti della vita in cui il pudore ci rende ancor più deboli.
La debolezza è parte del pudore stesso, del sentirsi inadeguati, del vergognarsi di come si è diventati.
Non si vorrebbe che gli altri ci vedessero in quei momenti. Non si vorrebbe che la nostra debolezza ci esponesse al giudizio di chi non ci conosce, di chi sa poco di noi, di chi in altri momenti ci ha visti sotto un’altra luce, di chi per noi era importante che serbasse un ricordo migliore. Ma la vita non sempre c’è amica, anzi a volte s’accanisce e ci atterra. E’ difficile reagire in quei momenti ed il solo sostegno alla nostra dignità è ciò che conosciamo meglio, ciò che sappiamo fare meglio, ciò di cui ci siamo nutriti nei tempi migliori. Ciascuno cerca rifugio in se stesso per cercare di sopravvivere: forse è per questo che ho iniziato questo blog, visto che non m’è riuscito fare altro. Mi sarebbe piaciuto essere un uomo diverso, migliore forse: non è andata bene.
E’ umano, ma fa male, fa molto male!
Storia di un Paese morto 2

Storia di un Paese morto 2

Sono di ieri le notizie del voto contrario della Camera all’arresto del deputato del Pdl Nicola Cosentino e del voto contrario all’ammissibilità del Referendum per l’abolizione dell’attuale legge elettorale, la cosiddetta “porcellum” del deputato leghista Calderoli, da parte della Consulta di Stato. Il primo di fatto ha visto il trionfo del teatrino della nostra politica da strapazzo, portata avanti da gente da strapazzo, messa a scaldare i banchi di Montecitorio da altra gente da strapazzo come loro. Il noto piduista, nonché referente, per aver ricevuto abbondanti fondi per creare il suo impero economico, da parte della mafia, il deputato Sillvo Berlusconi, nonché l’altro noto inciucione celodurista, ruttatore ed elargitore del dito medio alle telecamere, ovvero il sen. Umberto Bossi, assieme ad una schiera di gentucola, come sembrano essersi ridotti i Radicali, nonché assieme ad un folto gruppo di loro sodali di schieramenti vari, hanno dato il meglio di sé votando “no” all’arresto di colui che secondo la magistratura, o meglio, secondo tre giudici, è il referente del clan dei Casalesi in Parlamento. Fin qui la cronaca riportataci da giornali e televisioni, ma in realtà questo episodio è stato semplicemente l’ennesima conferma che il nostro Parlamento altro non è che un’accozzaglia del fior fiore della società italiana, che va dai ladri, ai corrotti e corruttori, ai delinquenti fino alle ballerine e le puttane (non che le due cose spesso non siano unite). Per lo più sembra un circo, visto dall’esterno. Dall’interno, cioé da casa nostra, è una drammatica farsa.
Il secondo fatto del giorno (mai giornata negli ultimi tempi fu più feconda di chicche a livello politico) è stata l’inamissibilità dell’abrogazione, tramite referendum popolare, della legge anche grazie alla quale è possibile vedere il bello spettacolo di cui sopra in Parlamento, cioé quella che ha permesso di creare un Parlamento di nominati dai “signori” della politica e non di eletti dal popolo. Il sospetto che abbia ragione il leader dell’Idv Antonio di Pietro è effettivamente molto forte, cioé che la decisione sia stata presa per fare “un favore” al nostro esimio presidente della Repubblica, re Giorgio Napolitano, che poco avrebbe gradito la possibilità di vedere “in pericolo” l’attuale compagine governativa di “tecnici”, da lui tanto caldeggiata, a causa di uno sconquasso a livello istituzionale creato da questa cosa.
Se a tutto ciò aggiungiamo altre notiziole tipo quella dell'”espatrio” di fondi da parte, proprio della forcaiola Lega nei confronti di Roma ladrona (pecunia non olet, dicevano saggiamente i latini), nonché vessillifera di una politca nettamente contraria a coinvolgere qualunque cosa che contemplasse il recarsi a più di 3 km a sud di Fantasilandia, ops… della Padania, in quel di Tanzania (solo 4,5 milioni di euro dei nostri rimborsi elettorali di cui godono tutti i partiti in barba al referendum sull’abolizione del loro finanziamento pubblico), nonché qualcosina anche in quel di Cipro, sempre abbastanza a sud dell'”isola che non c’è” del popolo leghista, e qualcosina anche in quel di Norvegia, dove i tassi di rendimento sono inferiori a quelli dei fondi d’investimento italiani, ma stanno al “fresco” essendo al Nord, dicevo, se il quadro è questo, mi sembra che altro non sia che la descrizione molto realistica di un bel Paese morto. Amen!
Io so

Io so

Senofonte nella sua Anabasi distingueva tra i verbi greci οἶδα (sapere perché si è visto) e γιγνώσκω (sapere perché ci è stato riferito). Anche il verbo μαρτυρέω sta a significare la testimonianza. Di seguito il famoso passo di uno dei più grandi intellettuali italiani, uno che, al contrario di quanto troppo spesso avviene oggi, non aveva paura di testimoniare le proprie idee, per le quali ha dato la propria vita.


Cos’è questo golpe? Io so

di Pier Paolo Pasolini

Io so.
Io so i nomi dei responsabili di quello che viene chiamato “golpe” (e che in realtà è una serie di “golpe” istituitasi a sistema di protezione del potere).
Io so i nomi dei responsabili della strage di Milano del 12 dicembre 1969.
Io so i nomi dei responsabili delle stragi di Brescia e di Bologna dei primi mesi del 1974.
Io so i nomi del “vertice” che ha manovrato, dunque, sia i vecchi fascisti ideatori di “golpe”, sia i neo-fascisti autori materiali delle prime stragi, sia infine, gli “ignoti” autori materiali delle stragi più recenti.
Io so i nomi che hanno gestito le due differenti, anzi, opposte, fasi della tensione: una prima fase anticomunista (Milano 1969) e una seconda fase antifascista (Brescia e Bologna 1974).
Io so i nomi del gruppo di potenti, che, con l’aiuto della Cia (e in second’ordine dei colonnelli greci della mafia), hanno prima creato (del resto miseramente fallendo) una crociata anticomunista, a tamponare il ’68, e in seguito, sempre con l’aiuto e per ispirazione della Cia, si sono ricostituiti una verginità antifascista, a tamponare il disastro del “referendum”.
Io so i nomi di coloro che, tra una Messa e l’altra, hanno dato le disposizioni e assicurato la protezione politica a vecchi generali (per tenere in piedi, di riserva, l’organizzazione di un potenziale colpo di Stato), a giovani neo-fascisti, anzi neo-nazisti (per creare in concreto la tensione anticomunista) e infine criminali comuni, fino a questo momento, e forse per sempre, senza nome (per creare la successiva tensione antifascista). Io so i nomi delle persone serie e importanti che stanno dietro a dei personaggi comici come quel generale della Forestale che operava, alquanto operettisticamente, a Città Ducale (mentre i boschi italiani bruciavano), o a dei personaggio grigi e puramente organizzativi come il generale Miceli.
Io so i nomi delle persone serie e importanti che stanno dietro ai tragici ragazzi che hanno scelto le suicide atrocità fasciste e ai malfattori comuni, siciliani o no, che si sono messi a disposizione, come killer e sicari.
Io so tutti questi nomi e so tutti i fatti (attentati alle istituzioni e stragi) di cui si sono resi colpevoli.
Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi.
Io so perché sono un intellettuale, uno scrittore, che cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace; che coordina fatti anche lontani, che mette insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro politico, che ristabilisce la logica là dove sembrano regnare l’arbitrarietà, la follia e il mistero.
Tutto ciò fa parte del mio mestiere e dell’istinto del mio mestiere. Credo che sia difficile che il mio “progetto di romanzo”, sia sbagliato, che non abbia cioè attinenza con la realtà, e che i suoi riferimenti a fatti e persone reali siano inesatti. Credo inoltre che molti altri intellettuali e romanzieri sappiano ciò che so io in quanto intellettuale e romanziere. Perché la ricostruzione della verità a proposito di ciò che è successo in Italia dopo il ’68 non è poi così difficile.
Tale verità – lo si sente con assoluta precisione – sta dietro una grande quantità di interventi anche giornalistici e politici: cioè non di immaginazione o di finzione come è per sua natura il mio. Ultimo esempio: è chiaro che la verità urgeva, con tutti i suoi nomi, dietro all’editoriale del “Corriere della Sera”, del 1° novembre 1974.
Probabilmente i giornalisti e i politici hanno anche delle prove o, almeno, degli indizi.
Ora il problema è questo: i giornalisti e i politici, pur avendo forse delle prove e certamente degli indizi, non fanno i nomi.
A chi dunque compete fare questi nomi? Evidentemente a chi non solo ha il necessario coraggio, ma, insieme, non è compromesso nella pratica col potere, e, inoltre, non ha, per definizione, niente da perdere: cioè un intellettuale.
Un intellettuale dunque potrebbe benissimo fare pubblicamente quei nomi: ma egli non ha né prove né indizi.
Il potere e il mondo che, pur non essendo del potere, tiene rapporti pratici col potere, ha escluso gli intellettuali liberi – proprio per il modo in cui è fatto – dalla possibilità di avere prove ed indizi.
Mi si potrebbe obiettare che io, per esempio, come intellettuale, e inventore di storie, potrei entrare in quel mondo esplicitamente politico (del potere o intorno al potere), compromettermi con esso, e quindi partecipare del diritto ad avere, con una certa alta probabilità, prove ed indizi.
Ma a tale obiezione io risponderei che ciò non è possibile, perché è proprio la ripugnanza ad entrare in un simile mondo politico che si identifica col mio potenziale coraggio intellettuale a dire la verità: cioè a fare i nomi.
Il coraggio intellettuale della verità e la pratica politica sono due cose inconciliabili in Italia.
All’intellettuale – profondamente e visceralmente disprezzato da tutta la borghesia italiana – si deferisce un mandato falsamente alto e nobile, in realtà servile: quello di dibattere i problemi morali e ideologici.
Se egli vien messo a questo mandato viene considerato traditore del suo ruolo: si grida subito (come se non si aspettasse altro che questo) al “tradimento dei chierici” è un alibi e una gratificazione per i politici e per i servi del potere.
Ma non esiste solo il potere: esiste anche un’opposizione al potere. In Italia questa opposizione è così vasta e forte da essere un potere essa stessa: mi riferisco naturalmente al Partito comunista italiano.
È certo che in questo momento la presenza di un grande partito all’opposizione come è il Partito comunista italiano è la salvezza dell’Italia e delle sue povere istituzioni democratiche.
Il Partito comunista italiano è un Paese pulito in un Paese sporco, un Paese onesto in un Paese disonesto, un Paese intelligente in un Paese idiota, un Paese colto in un Paese ignorante, un Paese umanistico in un Paese consumistico. In questi ultimi anni tra il Partito comunista italiano, inteso in senso autenticamente unitario – in un compatto “insieme” di dirigenti, base e votanti – e il resto dell’Italia, si è aperto un baratto: per cui il Partito comunista italiano è divenuto appunto un “Paese separato”, un’isola. Ed è proprio per questo che esso può oggi avere rapporti stretti come non mai col potere effettivo, corrotto, inetto, degradato: ma si tratta di rapporti diplomatici, quasi da nazione a nazione. In realtà le due morali sono incommensurabili, intese nella loro concretezza, nella loro totalità. È possibile, proprio su queste basi, prospettare quel “compromesso”, realistico, che forse salverebbe l’Italia dal completo sfacelo: “compromesso” che sarebbe però in realtà una “alleanza” tra due Stati confinanti, o tra due Stati incastrati uno nell’altro.
Ma proprio tutto ciò che di positivo ho detto sul Partito comunista italiano ne costituisce anche il momento relativamente negativo.
La divisione del Paese in due Paesi, uno affondato fino al collo nella degradazione e nella degenerazione, l’altro intatto e non compromesso, non può essere una ragione di pace e di costruttività.
Inoltre, concepita così come io l’ho qui delineata, credo oggettivamente, cioè come un Paese nel Paese, l’opposizione si identifica con un altro potere: che tuttavia è sempre potere.
Di conseguenza gli uomini politici di tale opposizione non possono non comportarsi anch’essi come uomini di potere.
Nel caso specifico, che in questo momento così drammaticamente ci riguarda, anch’essi hanno deferito all’intellettuale un mandato stabilito da loro. E, se l’intellettuale viene meno a questo mandato – puramente morale e ideologico – ecco che è, con somma soddisfazione di tutti, un traditore.
Ora, perché neanche gli uomini politici dell’opposizione, se hanno – come probabilmente hanno – prove o almeno indizi, non fanno i nomi dei responsabili reali, cioè politici, dei comici golpe e delle spaventose stragi di questi anni? È semplice: essi non li fanno nella misura in cui distinguono – a differenza di quanto farebbe un intellettuale – verità politica da pratica politica. E quindi, naturalmente, neanch’essi mettono al corrente di prove e indizi l’intellettuale non funzionario: non se lo sognano nemmeno, com’è del resto normale, data l’oggettiva situazione di fatto.
L’intellettuale deve continuare ad attenersi a quello che gli viene imposto come suo dovere, a iterare il proprio modo codificato di intervento.
Lo so bene che non è il caso – in questo particolare momento della storia italiana – di fare pubblicamente una mozione di sfiducia contro l’intera classe politica. Non è diplomatico, non è opportuno. Ma queste categorie della politica, non della verità politica: quella che – quando può e come può – l’impotente intellettuale è tenuto a servire.
Ebbene, proprio perché io non posso fare i nomi dei responsabili dei tentativi di colpo di Stato e delle stragi (e non al posto di questo) io non posso pronunciare la mia debole e ideale accusa contro l’intera classe politica italiana.
E io faccio in quanto io credo alla politica, credo nei principi “formali” della democrazia, credo nel Parlamento e credo nei partiti. E naturalmente attraverso la mia particolare ottica che è quella di un comunista.
Sono pronto a ritirare la mia mozione di sfiducia (anzi non aspetto altro che questo) solo quando un uomo politico – non per opportunità, cioè non perché sia venuto il momento, ma piuttosto per creare la possibilità di tale momento – deciderà di fare i nomi dei responsabili dei colpi di Stato e delle stragi, che evidentemente egli sa, come me, non può non avere prove, o almeno indizi.
Probabilmente – se il potere americano lo consentirà – magari decidendo “diplomaticamente” di concedere a un’altra democrazia ciò che la democrazia americana si è concessa a proposito di Nixon – questi nomi prima o poi saranno detti. Ma a dirli saranno uomini che hanno condiviso con essi il potere: come minori responsabili contro maggiori responsabili (e non è detto, come nel caso americano, che siano migliori). Questo sarebbe in definitiva il vero Colpo di Stato. 
 
 
 
Galeotto fu il libro e chi lo scrisse…

Galeotto fu il libro e chi lo scrisse…


Quali colombe dal disio chiamate
con l’ali alzate e ferme al dolce nido
vegnon per l’aere, dal voler portate;

cotali uscir de la schiera ov’ è Dido,
a noi venendo per l’aere maligno,
sì forte fu l’affettüoso grido.

«O animal grazïoso e benigno
che visitando vai per l’aere perso
noi che tignemmo il mondo di sanguigno,

se fosse amico il re de l’universo,
noi pregheremmo lui de la tua pace,
poi c’hai pietà del nostro mal perverso.

Di quel che udire e che parlar vi piace,
noi udiremo e parleremo a voi,
 mentre che ‘l vento, come fa, ci tace.

Siede la terra dove nata fui
su la marina dove ‘l Po discende
per aver pace co’ seguaci sui.

Amor, ch’al cor gentil ratto s’apprende,
prese costui de la bella persona
che mi fu tolta; e ‘l modo ancor m’offende.

Amor, ch’a nullo amato amar perdona,
mi prese del costui piacer sì forte,
che, come vedi, ancor non m’abbandona.

Amor condusse noi ad una morte.
Caina attende chi a vita ci spense».
Queste parole da lor ci fuor porte.

Quand’ io intesi quell’ anime offense,
china’ il viso, e tanto il tenni basso,
fin che ‘l poeta mi disse: «Che pense?».

Quando rispuosi, cominciai: «Oh lasso,
quanti dolci pensier, quanto disio
menò costoro al 114 doloroso passo!».

Poi mi rivolsi a loro e parla’ io,
e cominciai: «Francesca, i tuoi martìri
a lagrimar mi fanno tristo e pio.

Ma dimmi: al tempo d’i dolci sospiri,
a che e come concedette amore
che conosceste i dubbiosi disiri?».

E quella a me: «Nessun maggior dolore
che ricordarsi del tempo felice
ne la miseria; e ciò sa ‘l tuo dottore.

Ma s’a conoscer la prima radice
del nostro amor tu hai cotanto affetto,
dirò come colui che piange e dice.

Noi leggiavamo un giorno per diletto
di Lancialotto come amor lo strinse;
soli eravamo e sanza alcun sospetto.

Per più fïate li occhi ci sospinse
quella lettura, e scolorocci il viso;
ma solo un punto fu quel che ci vinse.

Quando leggemmo il disïato riso
esser basciato da cotanto amante,
questi, che mai da me non fia diviso,

la bocca mi basciò tutto tremante.
Galeotto fu ‘l libro e chi lo scrisse:
quel giorno più non vi leggemmo avante».

Dante, Divina Commedia, I, V, 82-138

Solo et pensoso i più deserti campi

Solo et pensoso i più deserti campi

Solo et pensoso i piú deserti campi
vo mesurando a passi tardi et lenti,
et gli occhi porto per fuggire intenti
ove vestigio human l’arena stampi.

5Altro schermo non trovo che mi scampi
dal manifesto accorger de le genti,
perché negli atti d’alegrezza spenti
di fuor si legge com’io dentro avampi:

sì ch’io mi credo omai che monti et piagge
10et fiumi et selve sappian di che tempre
sia la mia vita, ch’è celata altrui.

Ma pur sí aspre vie né sí selvagge
cercar non so ch’Amor non venga sempre
ragionando con meco, et io co’llui.

Francesco Petrarca, Canzoniere, 35

Torniamo a studiare i classici: hanno già detto tutto in modo impareggiabile!

Il medioevo oscuro dell’umanità futura

Il medioevo oscuro dell’umanità futura

In una nota trasmissione televisiva della mattina, dove in genere giornalisti, politici ed “esperti” dibattono sui soliti argomenti di tutti i giorni, quest’oggi il senatore del Pdl, Mario Baldassarri, vice ministro alle Finanze del governo Berlusconi, ha criticato la “farsa” del blitz di Cortina e Portofino, sostenendo giustamente che si tratta di propaganda. Ha poi giustamente ricordato come per combattere l’evasione fiscale sia necessario, essendocene già gli strumenti che lui stesso ha visto crescere nel corso degli ultimi due decenni, incrociare le banche dati dei pubblici registri nazionali che, a suo stesso dire, sono fra i migliori in Europa se non nel mondo. “Ma che belle parole!” avrebbe detto l’ex presentatore Rispoli. Già, perché il bravo senatore Baldassarri si dimentica, e si sono dimenticati gli altri ospiti in studio, in primis il giornalista che conduceva il dibattito Andrea Pancani, che in quanto uno dei maggiori esponenti politici, per giunta con incarichi strettamente connessi alle questioni economico-fiscali del Paese, avrebbe potuto, anziché dare le buone ricette della brava massaia ora, applicare ieri, quando aveva incarichi di responsabilità di guida del Paese, i principi sbandierati come ovvii per chiunque. Il problema italiano è un’ipocrisia di fondo che pervade tutti gli ambienti, da quello politico a quello imprenditoriale, da quello culturale a quello produttivo a cui sembra non esserci rimedio alcuno. Si è ormai perduta la capacità d’indignarsi, di richiamare le persone alle proprie responsabilità in ogni campo della società. Questo forse perché la dignità è andata perduta: l’ha perduta una società come la nostra, in particolare quella italiana. Tutto è normale oramai, tutto è permesso. Il senso del peccato in senso religioso è caduto come tabù perfino per i credenti, il che vuol dire che il “senso del limite” non fa più parte dell’orizzonte culturale, neanche per chi non crede. I valori, dei quali più di una volta ho parlato in questo blog, sono invece quelle basi fondanti di una società civile di cui la moderna vita che conduciamo sembra essersi dimenticata, bollandoli come retrò, come cose d’altri tempi, come cose dal sapore ottocentesco. In realtà non è così: sono valori che vengono da molto più lontano nel tempo, sono valori che hanno reso la nostra una delle maggiori civiltà del mondo. Bisognerebbe recuperarli, è necessario farlo, altrimenti il futuro sarà il vero medioevo oscuro di un’umanità che non si accorge di dove sta andando.
Sono invecchiato una vita intera

Sono invecchiato una vita intera

Mi manca l’ultimo sguardo che ci scambiammo una notte d’estate,
Quanti anni fa?
Ricordo il suono severo della tua voce che t’allontanava,
Quante parole fa?
Svanisce il ricordo della felicità dei momenti passati assieme:
Sono invecchiato una vita intera, dal giorno che non t’ho più rivista!

Salvator Dalì – Vecchiaia, giovinezza, infanzia

Odi et amo

Odi et amo

Odi et amo. Quare id faciam, fortasse requiris.    Ti odio e ti amo. Come possa fare ciò, forse ti chiedi.
Nescio, sed fieri sentio et excrucior.                   Non lo so, ma sento che così avviene e me ne tormento.
Gaius Valerius Catullus, Carmen 85

Ad oltre 2000 anni di distanza una grande verità!

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Everybody lies