Unjustified expectation

Unjustified expectation

To suffer is like not to pick a flower to give it to our love
To regret is like to not say I love you when you should have done it
To remember is like to open your soul to the lake of our past
All these things bring to us an huge weight on our soul
Nevertheless we continue to suffer, to regret, to remember, to cry

A very strange creature is the human being: we use to be so presumptuous to think to have the right to happyness!

L’uomo va trattato come un fine e non come un mezzo…

L’uomo va trattato come un fine e non come un mezzo…

I. Kant aveva provato ad enunciare un’etica basata sulla pura ragione, secondo la quale l’uomo doveva essere al centro di tale etica: il nostro mondo non è andato, direi, in tale direzione, anzi…
L’immigrato è considerato non come essere umano in sé e per sé, ma solo in quanto essere che può produrre e contribuire all’economia; lo stesso concetto è valido per noi stessi, non immigrati, ma esseri che devono produrre, attraverso la tecnica, e che valgono solo in quanto mezzi di produzione.
Non c’è futuro in un mondo dove l’essere non ha scopo alcuno se non quello di manifestare se stesso attraverso la produzione, lo sfruttamento dell’esistente, di ciò che lo circonda e di chi lo circonda. Come diceva Nietzsche Gott ist tot, Dio è morto, cioé non c’è più nel mondo moderno la spinta emotiva creata dal concetto fideistico-escatologico di un Essere verso cui tendere. Non c’è più il concetto di un “possibile futuro” che dia un senso al vivere quotidiano, che dia speranza verso un domani migliore: “l’immortalità” dell’uomo è scomparsa con la perdita di senso del futuro verso cui tendere, qualunque esso sia, religioso, politico, sociale. Ciò che rimane è un senso di vuoto ed inutilità che rende il vivere quotidiano la cosa più difficile da portare avanti, senza più speranza, senza più illusioni, senza più stupore e passioni: rimane, per chi ne ha il coraggio, la mera sopravvivenza!
Goldman Sachs ed il destino del mondo

Goldman Sachs ed il destino del mondo

A discapito del titolo che ho dato a queste mie riflessioni, che a dire il vero ricorda qualche titolo di film tratto da fumetti fantastici, il problema suscitato dall’intervista rilasciata alla fine di settembre alla BBC da un sé dicente broker finanziario è serio. Già il bell’articolo di Federico Rampini, scritto per Repubblica il 16 aprile del 2010, metteva in rilievo l’importanza avuta dalla banca d’investimenti americana nei “guai finanziari” della Grecia. Il punto è che la politica europea “sembra” non accorgersi di ciò che sta accadendo e il FMI si comporta allo stesso modo.
In Italia, così dicono gli analisti, la situazione non è come quella greca: è peggiore, secondo me! Io lo sostengo da più di un anno (non che la mia opinione conti qualcosa, ma possibile che fossimo in pochi ad accorgercene fra la cosiddetta pubblica opinione?) per due motivi: primo perché l’Italia ha un debito pubblico molto più elevato di quello greco, secondo perché l’economia italiana, visto il mancato investimento in rinnovo di tecnologia, in ricerca, in politiche per lo sviluppo, non avrà modo di risollevarsi nel momento in cui se ne desse l’opportunità anche per migliorato contesto internazionale. E’ vero che le famiglie italiane sono sempre state portate ad un maggior risparmio personale, rispetto alla media europea, ma visto il mancato sviluppo in cui ci troviamo dubito che tali fondi possano rappresentare una valida ancora di salvezza per il piccolo risparmiatore. 
Vista la situazione generale possibile che la classe politica europea e nostrana non si rendano conto che il conto salato delle speculazioni altrui non possono pagarlo sempre e soltanto i soliti noti? Non percepiscono che si rischia concretamente la sollevazione popolare determinata da un diffuso malcontento socio-economico? Spero di sbagliarmi, da un lato, dall’altro mi auguro che qualche manifestazione in tal senso possa far capire a chi di dovere che è ora di far pagare il conto a chi non l’ha mai fatto finora ed ha, al contrario, beneficiato degli aiuti delle economie di mezzo mondo facendosi passare per “vittime” che avrebbero trascinato alla rovina tutti. E’ forse ora che, in particolare da noi, inizi a pagare chi non l’ha mai fatto e che la ricchezza venga ridistribuita in modo più equo, rendendo possibile vivere in modo dignitoso a tutti e non solo ad una piccola oligarchia di privilegiati, protetti ed intoccabili.
Il destino del mondo è nelle mani di chi deciderà di dire basta a tutto questo.
Peggiore la classe politica o la società civile?

Peggiore la classe politica o la società civile?

Da un po’ di tempo a questa parte in Italia sembra destare l’interesse dei media il “dibattito” circa la presunta superiorità della società civile rispetto alla classe politica che la rappresenta. Di qui fiumi di parole in trasmissioni di tutti i tipi in cui “giornalisti”, “esperti” e “politici” s’affannano a riportare ciascuno la propria opinione in proposito, ora sostenendo l’una, ora l’altra parte con argomentazioni che, a volte, sfiorano il ridicolo e con un tono da ripicche degne di bambini delle scuole elementari.
Francamente penso che tutto ciò sia solo un falso argomento, un falso far finta di ragionare su una tematica che in realtà va presa da un punto di vista diverso: la classe politica di un Paese è quella che lo rappresenta in Parlamento, sicuramente è quella che, a torto o a ragione, è stata “democraticamente” eletta, sicuramente però è quella che si merita. Mi spiego meglio: il solo strumento in possesso della “società civile” è l’espressione del voto che esercita ogni qual volta viene chiamata a decidere circa il futuro politico, in tutti i sensi, del Paese; se in queste occasioni la scelta compiuta è quella di dare la propria fiducia alle stesse persone (destra, sinistra e centro, senza distinzione alcuna), non decidendo di mandarli a casa semplicemente non eleggendoli, non ci si può poi lamentare che sia una classe politica “brutta”. Sono una classe politica indecente! Sono l’espressione di quanto di peggio vi possa essere nell’ambito sociale: corrotti, incapaci, incompetenti, rozzi, ineducati, ma… ed è questo il punto, in un modo o nell’altro mandati a ricoprire quel ruolo da chi, direttamente o indirettamente ha dato il voto a loro o alla loro compagine politica. Dunque perché fare distinzioni? E’ pur sempre vero che nell’ambito sociale ci siano le stesse identiche “povertà” che si vedono ogni giorno in quello politico, ma il punto è che la rappresentanza politica dovrebbe avere lo scopo di vedere al vertice del Paese il fior fiore delle personalità che quel Paese può esprimere e non gente mediocre, nel migliore dei casi, che mai eleverà il livello medio di chi rappresenta nelle Istituzioni. Si racconta di Luigi Enaudi, secondo presidente della Repubblica, che quando andò via per fine mandato, al Quirinale lasciò perfino le valigie che gli erano state regalate da una nota casa di moda dell’epoca (non avendone di sue per i viaggi di rappresentanza all’estero, o almeno di degne di un capo di Stato), ritenendo che fossero una cosa non sua, bensì di proprietà dello Stato. Bene un comportamento del genere che abitualmente non ci aspetteremmo da un “cittadino qualunque”, lo dovremmo pretendere invece da chi, pro tempore, occupa una carica in “nostra vece”, non essendo le cose che utilizza per questo scopo proprietà sua, bensì della Repubblica, ovvero di tutti noi. A sanzionare il singolo cittadino sono preposte le leggi dello Stato, dunque se un singolo non si comporta secondo le regole del vivere civile comune, viene, o meglio dovrebbe essere sanzionato dalla Legge. Il parlamentare è “più” cittadino degli altri, in quanto ne rappresenta molti assieme e dunque il decoro, parola mi rendo conto desueta oramai, dovrebbe essere la sua cifra distintiva. Se così non è bisogna chiedersi il perché e di chi è la colpa che tutto ciò accada impunemente. Basta guardarsi allo specchio et voilà, trovata la risposta!
Which way to survive?

Which way to survive?

Sometimes in the life of an human being there are moments in which it’s important to understand which way to follow, and these moments are the most difficult that you have ever had in your life.
Sometimes you haven’t the mental clarity to understand what help you to come out from this situation so the best way it’s to learn from your own experiences and values that you have learnt from what you have studied, from what you have absorbed from the classics, from the milestones of your culture.
Rebuilding a soul is a very complex job, but as all the hardest things it’s easier to start from the origin. So, my personal experience says to me to start from here again: ancient greek and roman writers, philosophy, literature, history, art, music. All the things that I’ve loved, I have learnt, should be my way to rebuilt myself, my soul. What is a man? He’s the result of his experiences, of his culture, of his feelings, of his sensations. The love for beauty, for culture, for curiosity for knowledge: without these is there anymore a reason to survive? I think not!
So I have decided to try again from here: THE MUSIC, PHILOSOPHY, HISTORY, ART, LITERATURE, and many others. Could be a good start to try to survive! I’ll check!
Lettera aperta al mio Paese

Lettera aperta al mio Paese

Gli antichi Greci o Romani avrebbero detto che si tratta di un segno distintivo di civiltà, ma oggi sembra essere solo una bella utopia destinata alle pagine di un blog come questo o a qualche articolo di giornale considerato “di parte”. In ogni caso sarebbe bello poter vivere in un Paese che offra ai suoi cittadini la possibilità di vedere applicati i principi in base ai quali poter vivere, crescere, studiare, lavorare e morire in modo dignitoso, sufficiente, appagante, giusto. E’ forse proprio il senso di giustizia che è oramai venuto meno nella nostra società: un diffuso senso d’impunità, a tutti i livelli, fa sì che ciascuno si senta in diritto di violare le regole del “vivere civile”, da quando si guida la propria auto a quando si fa la fila in un ente sanitario, da quando si aspetta il proprio turrno d’entrata in un museo a quando si devono pagare le tasse.
Molti sono i fattori che, a mio parere, hanno contribuito, soprattutto in questi ultimi anni, al continuo degrado sociale:
  • una classe politica non all’altezza del compito cui era chiamata a svolgere indistintamente, senza differenze significative tra partiti politici di destra, sinistra o centro, tanto che non si apprezzano più peculiarità che facciano distinguere le une dalle altre: la politica è diventata un mestiere, ma non per professionisti bensì per mestieranti che hanno visto in questo tipo di carriera un facile modo per arricchirsi e raggiungere un “potere” che difficilmente sarebbe stato loro concesso in altro modo, men che mai in un altro Paese;
  • altro contributo sostianziale, per quanto paradossale possa sembrare, l’ha dato la televisione, soprattutto le televisioni dell’attuale presidente del Consiglio, con i suoi programmi di vasto pubblico, programmi molto “popolari”, nell’accezione peggiore del termine, che hanno fatto leva sulla parte voyeuristica della cosiddetta “gente comune”. Maestri nell’aprire il campo a tali tipo di programmi sono stati due veri “boss” della televisione italiana: Maurizio Costanzo e sua moglie Maria de Filippi. Da ottimi cavalli di razza nel precorrere le tendenze di facile percorrimento nel raggiungimento del più vasto pubblico possibile per la tv commerciale hanno, prima di altri, colto la possibilità infinita di sfruttamento data dal rendere “protagonista” appunto la “gente comune” della tv in diretta. In pratica hanno aperto la possibilità a chiunque di apparire, senza badare al talento personale o alla professionalità, dando a chiunque l’illusione di essere il protagonista di una realtà fantastica facilmente raggiungibile solo attraverso il proprio mostrarsi in pubblico con tutti i proprii difetti e carenze umane,  non rendendosi conto di essere in realtà al centro di una farsa ben architettata. Di qui i vari protagonismi dei “grande fratello”, piuttosto che dei programmi della cosiddetta tv del dolore, dove l’esporsi porta ad una notorietà rapida seppur a scapito della propria dignità e del senso del pudore. 

Platone nel Protagora dice che Zeus diede a tutti gli uomini aido e dike, cioè il pudore (o meglio la capacità di provare vergogna) e la giustizia: bene, proprio questi due sono ormai venuti meno nella nostra società e per questa ragione non si ha più il senso della misura. Ciò va inteso nel senso più laico possibile, scevro da considerazioni di carattere religioso che non m’appartengono.

Dunque l’incapacità di provare vergogna, il diffuso senso d’impunità e, quindi, l’esser venuto meno il senso di giustizia hanno giocato un ruolo decisivo nel progressivo decadimento del Paese, ma secondo me non basta a spiegare il fenomeno. Purtroppo a questi fattori determinanti va aggiunto l’atavico senso d’attaccamento del popolo italiano al proprio “orto”: la res publica non fa più parte del costume intimo di questa nazione dalla caduta dell’impero romano in poi. L’arte d’arrangiarsi e del fare da sé e per se stessi hanno caratterizzato per secoli l’indole italica. E’ inutile andare ad analizzare qui le cause profonde di questo fenomeno principalmente italiano: sarebbe lungo e complicato. Il risultato purtroppo si vede nell’ambito sociale. Ciò non toglie che gli italiani presi singolarmente, individuo per individuo, non siano senza dubbio alcuno fra le persone più “comprensive” e piacevoli da frequentare; nell’analisi di un’intera società, però, non possono trovare accoglimento valido a spiegare i valori sui quali questa si fonda.
I danni arrecati al Paese da anni di “assenza politica”, intesa nel più largo senso del termine, saranno a mio parere estremamente difficili da riparare. Pochi sono ancora i fermenti sociali che tentano di ribellarsi a questo andazzo tristemente consolidato. La crisi economica forse costituirà una base comune, di larga scala, per stimolare un cambiamento. Il principio è più o meno lo stesso che spinge un individuo malato nella psiche a rivolgersi all’analista: finché non prova un bisogno insopprimibile d’aiuto non si rende neanche conto di essere ammalato; quando lo farà sarà allora sulla via della guarigione. Così il Paese: finché non ci sarà un diffuso malcontento che richieda una seria pausa di riflessione circa i principi sui quali stiamo fondando il nostro incerto futuro, finché non ci si renderà conto che per iniziare la salita occorre partire dal basso, eliminando le basi sulle quali ci siamo tutti mossi fin qui, iniziando dal cambiare radicalmente la classe politica che ci avrebbe dovuti guidare verso un futuro migliore del nostro attuale presente, finché non torneremo a capire che la cultura è un valore irrinunciabile perché su di essa si fonda la capacità di distinguere ciò che è importante e ciò che è superfluo, rendendoci individui autonomi nei confronti del mondo, fintanto che non capiremo che investire ora sul progresso scientifico, sull’innovazione tecnologica, pensando al futuro e non al guadagno prestente sarà la più certa garanzia di successo per le generazioni a venire, evitando gli sbagli fatti da quella dei nostri padri, finché non impareremo ad accettare che il bene comune è anche il nostro bene privato, temo che il mio Paese, il Paese che in fondo amo come non mai, non avrà futuro nel mondo che sta cambiando a vista d’occhio e che di certo non ci aspetterà.
Un pesce fuor d’acqua

Un pesce fuor d’acqua

Have you ever had the sensation to be like a fish out of the bowl? Well, this is the exact sensation that I always had since I was a child.
To feel yourself into unsatisfactory clothes, to be in the wrong place, in the wrong time.
First of all in my family: the only person that had the same kind of sensibility was my grandmother: she hadn’t an huge culture (she was orphan when she was 7, with 3 brothers and 1 sister, the most adult of which was 17, and we were in 1918), however she was very sensitive, probably too much, like me!
To attend school with rich stupid people, to think about my future in another country while I was like in jail at home. Studying philosophy when the world around you were completely oriented to practical matters, hoping for the future, hoping for the best, hoping that the things will going better…
Unfortunately hope after hope the good willing have crashed down: why? I don’t know… Maybe I have been too little clever, or persistent… maybe that an envious god had decided that it should have to be so…
I have tried, this is the only thing that I can say to myself to justify to be still alive!
As Somebody said: “the real is rational, and the rational is real”, that’s the only thing that counts! However in the life of everybody there are some imponderable variables that don’t allow to change the flow of the events, even if you fight with all your strenght: if we were ancient greeks we could say that it’s your own fate!

Maybe that I have  unconsciously ever known my own fate, and this is the reason why I have ever felt myself a fish out of the bowl.

Le cose belle della vita

Le cose belle della vita

Il primo vagito del neonato che urla tutta la sua disperazione per il trauma d’essere venuto al mondo
Il primo fiore che s’apre al Sole del mattino appena sorto
Il primo amore provato all’improvviso un giorno
Il primo bacio inaspettato ricevuto
La prima volta che hai pianto per profonda commozione
La prima volta che hai provato il dolore profondo della disperazione
L’ultima volta che sei stato capace di provare stupore
La prossima volta che t’aprirai ad un sorriso

Se nella tua vita c’è stato, c’è o ci sarà ancora tutto questo varrà la pena aver vissuto

La vallata delle ombre morte

La vallata delle ombre morte

Avrei voluto fare l’ingegnere quando la mano non arrivava a prendere i biscotti sulla tavola
Avrei voluto fare l’avvocato quando la vita inizava a fiorire verso l’altra metà del mondo
Avrei voluto sposarmi, avere dei figli, una vita proiettata verso altre nazioni quando la società stabiliva che ero “cresciuto”
Avrei voluto una compagna, nel cuore e nello spirito, con cui condividere il mondo che si apriva a mille prospettive quando avevo oramai abbandonato gli ideali familiari
Avrei voluto qualche soddisfazione tratta dalle scelte difficili fatte in precedenza, perché il mondo mi doveva un po’ di giustizia, quando ancora avevo la voglia di lottare
Avrei voluto, forse non ho saputo, forse avrei dovuto fare di più, forse avrei dovuto andare via, forse avrei dovuto… forse…

Ora non voglio più niente ed anche i forse fanno parte della vallata delle ombre che sono morte

Once upon a time

Once upon a time

C’era una volta un Bel Paese dove vivevano milioni di cittadini felici, governati da un sovrano giusto e lungimirante.
C’era una volta un Bel Paese dove chi s’impegnava e dava il proprio contributo alla crescita comune veniva ripagato da una società che lo gratificava e supportava nei suoi bisogni.
C’era una volta un Bel Paese dove l’ingiustizia ed il nepotismo non avevano posto alcuno.
C’era una volta un Bel Paese dove le proprie idee trovavano il giusto rispetto ed accoglimento e dove non v’erano altri che ti dicevano cosa e come pensare su ogni cosa.
C’era una volta un Bel Paese dove non c’erano rappresentanti di “esseri superiori” che condizionavano la vita dei cittadini nati liberi nei corpi e nei pensieri per natura.
C’era una volta un Bel Paese dove l’essere umano era al primo posto.

C’era una volta un Bel Paese, ma questa è tutta un’altra storia: è la favola di una vita che non c’è!

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